Fumata nera. Una delle passioni meno note dei romani è quella per la cottura spinta, tirata o più propriamente ‘gnorante. Sulla pizza il fenomeno assume dimensioni di proporzioni bibliche, all’interno del Grande Raccordo Anulare non si segnalano differenze tra l’aspetto scrocchiarella e l’effetto carbonella, tutta l’attenzione è su quel piacevolissimo rumore sotto i denti. Sulle tonde, invece, spopola il bordo fiammante, diventato vero e proprio marchio di fabbrica di una Dop fantasma. Nemmeno lo chiedesse l’Europa. Addirittura, Brucio è anche una insegna capitolina che ha aperto di recente la terza location in pieno centro, in piazza delle Coppelle, dedicato proprio alla cucina romana: nomen omen?
Non solo di pizza parliamo...
Ma non è una questione solo di lievitati. Di recente, tra un assaggio e l’altro, ci siamo spinti tra i sampietrini del centro storico per tornare a testare une delle più celebri amatriciane all’ombra del Cupolone, quella della Matricianella, ristorante fondato nel lontano 1957. Sarebbe fin troppo facile addossare la cottura prolungata, per non dire scotta, alle flotte di turisti che da tutto il mondo vivacizzano questi vicoli, in realtà siamo in un filone tutto romano di tirare anche la pasta, senza particolari distinzioni tra fresca secca. Non è un caso che il New York Times abbia ripreso la ricetta della cacio e pepe di Roscioli, consigliando una pasta ‘fully cooked’. Stiamo esagerando o forse no, nei ristoranti del centro di Roma, ma possiamo estendere anche il filtro ai centri delle principali città italiane, la decantata consistenza al dente è un lontano miraggio. E non solo per il turismo di massa. Torniamo sul nostro bucatino all’amatriciana, il sottofondo è bruciato – anche qui - e incrocia l’affumicatura del guanciale. “Il 99% della clientela l’adora così”, ci dice la proprietaria, attenta e cortese.
E il caffè?
Crediamo nel pranzo storto, anche se segnaliamo sommessamente l’esistenza della possibile botta di culo, e ci rifacciamo con la carta dei vini: tante scelte classiche e ricarichi che per fortuna non sembrano allineati all’inflazione. Quindi, ringraziamo e ci regaliamo un caffè. Qui noi romani siamo a dir poco intransigenti: deve essere bruciato, non ci sono vie di mezzo. Ci è capitato più volte di assistere a clienti, anche amici, inferociti per non aver trovato nella tazzina quel rassicurante sapore arso capace di distillare e prolungare il piacere della sosta. Quella scossa è così utile per ripartire nel corso della giornata. Scovare un buon espresso nella Capitale è come pescare un buon Nebbiolo in California. Passeggiamo sulle sponde del Tevere, tra platani che iniziano a perdere le foglie e onde di motorini, siamo talmente abituati a immergerci nel flusso da sentircela addosso questa sensazione capitolina. E forse forse nemmeno ci dispiace del tutto.