Tra marginalità strette e aspettative esorbitanti, gli chef del fine dining fanno fatica ad arrivare a fine mese. "Il Venerdì" de La Repubblica pubblica un approfondimento con esperti e chef italiani: Viviana Varese, Enrico Cerea, Tommaso Melilli e Luciano Sbraga. Secondo il settimanale, i costi di gestione del fine dining sono troppo alti, e le aspettative da parte di chef (e clienti) sono alte. «Chi si concentra solo sul ristorante rischia troppo», afferma Luciana Sbraga, direttore del centro studi della Fipe (Federazione italiana pubblici esercizi). In pochi, infatti, nel mondo dell’alta ristorazione riescono a rendere sostenibile il progetto personale solo con un’attività della “fascia più alta”; in aggiunta c’è spesso merchandising, bistrot, fast food o programmi tv. Il prezzo da pagare però è quello di sembrare "oracoli multiuso", spiega meglio Tommaso Mellini, scrittore e chef: «È un cane che si morde la coda: fatichi, cominci a cercare altri canali, la concentrazione si abbassa e annaspi ancor di più», sottolineando il paradosso di dover diversificare le entrate per sopravvivere, il che può portare a una diminuzione della qualità e della concentrazione sul ristorante principale.
Poche eccezioni: la famiglia Cerea
Enrico Cerea, detto Chicco, è l’executive chef del ristorante "Da Vittorio" a Brusaporto, tre forchette del Gambero Rosso e tre stelle Michelin. Il ristorante, fondato dalla famiglia Cerea, è diventato un impero diversificato con oltre mille dipendenti tra ristoranti, pasticcerie e un rinomato catering. Nonostante il successo, Cerea riconosce le difficoltà intrinseche del settore. Racconta al Venerdì che l'alta cucina «soffre, soffre, soprattutto Oltralpe, con marginalità basse rispetto alla mole di lavoro. Scontano forse un po' di antica grandeur», evidenziando anche tutte le sfide economiche che gli chef devono affrontare, tra cui i costi elevati delle materie prime e del personale. Cerea lavora instancabilmente, insieme ai suoi fratelli, spesso dalle 15 alle 18 ore al giorno, per garantire la soddisfazione dei clienti. Spiega che per lui, il food cost ideale si aggira sul 25-27% del totale, mentre i costi del personale rappresentano il 40-42%. «È possibile: meglio una robiolina tre latti che una cucchiaiata di caviale» dice, suggerendo l'importanza di mantenere un equilibrio tra qualità e sostenibilità economica.
Lo chef inoltre ammette che il settore ha bisogno di evolversi verso una «cucina più rilassata, che se la tira un po' meno. Con cotture e prodotti attenti al benessere». Una visione che riflette un cambiamento, verso una gastronomia più accessibile, senza però compromettere l'eccellenza. Anche Melilli riconosce l'importanza dell'alta ristorazione come fonte di ispirazione per tutto il settore gastronomico: «Abbiamo bisogno dell'alta ristorazione come il prêt-à-porter ha bisogno dell'alta moda. Persone che fanno ricerca, possono impiegare una settimana a fare un piatto, tanto ne hanno parecchi altri in menu. Sono la nostra fonte di ispirazione» afferma, evidenziando il ruolo cruciale degli chef stellati.
La sostenibilità economica
Luciano Sbraga conferma che, con capienze limitate e aperture ridotte, i ristoranti stellati faticano a ottenere economie di scala: «La capienza limitata di 30, massimo 50 coperti, non consente economie di scala. E stanno aperti in media 4-5 giorni su 7, di rado a pranzo. A questa scarsa produttività vanno aggiunti, anzi detratti, i costi del personale, talvolta in rapporto 1 a 1 rispetto ai clienti. E quelli della materia prima che incide da un 20 a un 40 per cento sui costi. Se devi pagare anche un affitto sei fortunato se ti restano margini tra il 5 e il 10 per cento», dice, mettendo in luce le difficoltà di mantenere margini di profitto in un ambiente così competitivo. La sostenibilità economica richiede un equilibrio delicato tra qualità, costi e gestione efficiente. Il futuro dell'alta ristorazione potrebbe vedere una maggiore enfasi su una cucina più rilassata e attenta al benessere di chi ci lavora, come afferma Enrico Cerea, mantenendo comunque l'impegno verso l'eccellenza, la tecnica e la qualità, che hanno reso questi ristoranti iconici.