Gli alberghi in bassa stagione applicano prezzi inferiori, le compagnie aeree durante alcuni mesi offrono tariffe più convenienti per stimolare la domanda di viaggi, i negozi di abbigliamento in alcuni periodi avviano la stagione dei saldi. E i ristoranti? Sono immobili. Immobili in un'economia che immobile non è. E se anche i ristoranti avessero dei prezzi dinamici? L’appello è stato lanciato dallo chef Alberto Gipponi in un'articolo pubblicato sul Gambero Rosso.
I prezzi dei menu in base alla stagione
Contestualmente, arriva la riflessione dello chef Giulio Terrinoni (Per Me a Roma) per rilanciare un dibattito florido in un settore che si sta scontrando con una realtà mutata e dinamica. «A luglio gli alberghi a Roma sono pieni nonostante non sia la stagione più alta per visitare Roma - chi può permetterselo va altrove, in Costiera, nelle isole - questo perché i prezzi sono diminuiti. La ristorazione, invece, è sempre ferma, non si muove. Almeno non qui in Italia. Ad esempio in Islanda in alcuni ristoranti gourmet c'è l'happy hour, dalle 18.30 alle 19.30 offrono un menu con prezzi ridotti». Lo si potrebbe applicare anche nei ristoranti italiani? «Se Per Me fosse l'unico ad abbassare i prezzi in bassa stagione, la cosa non funzionerebbe. Se si fa sistema sì. Pensate se tutti i ristoranti di Roma a luglio applicassero prezzi ridotti, ecco che nella Capitale arriverebbero persone da tutto il Lazio. Potrebbe essere un'opportunità», lancia l'idea lo chef.
Un problema enorme: il personale
Il quale, a onor del vero, quando ha inaugurato il suo ristorante in centro a Roma nel 2015 aveva un'offerta diversificata con la possibilità di scegliere i Tappi, delle sorta di tapas, ovvero una proposta più disinvolta rispetto al menu vero e proprio, che permetteva a chiunque di provare la sua cucina a partire dalle 18. «Un esperimento andato alla grande, ha reso ancora più vivo il ristorante», racconta Terrinoni. Poi cosa è andato storto? «Dopo il Covid i prezzi delle materie prime sono aumentati, così come tutto il resto, e non era più sostenibile. Avrei dovuto far pagare un tappo anche 20 euro, non avrebbe più avuto senso». E abbassare i prezzi durante la bassa stagione non comporterebbe le stesse problematiche? «Se si sistematizza la pratica no. A dirla tutta il vero problema è un altro: se anche avessi trovato soluzioni creative per tappi dal food cost minore, mi sarei scontrato immediatamente con l'annosa questione del personale. Mi spiego: se io devo servire dieci coperti con due camerieri me la cavo, ma se i coperti diventano venti, due persone in sala non bastano più. Non si trovano più persone che vogliano lavorare otto ore al giorno, anche se vengono trattate bene - qui la sostenibilità è a 360° dalla retribuzione dei dipendenti corretta al pagamento puntuale dei fornitori». E in alcuni casi lo chef si fa carico dell'alloggio degli stagisti che arrivano da fuori.
La settimana corta? "Una cavolata”
È anche per questo motivo che Terrinoni ha avviato una collaborazione con alcuni istituti alberghieri di Roma e provincia per fare delle lezioni di cucina a titolo gratuito: «Bisogna ritornare a far innamorare i ragazzi della cucina, non con le solite chiacchiere ma mostrando loro quanto è bello un fagiolino o quanto dà soddisfazione sfilettare una cernia. Poi tocca ristabilire la realtà delle cose: se si vuole diventare chef bisogna, ahimè, faticare. Altro che settimana corta e sei ore di lavoro al giorno. Quante ore hanno lavorato Cracco o Bottura per diventare Cracco e Bottura? Il talento va allenato». E se i giovani non volessero più ambire a diventare Cracco e Bottura? «Dubito fortemente sia questa la causa del problema, altrimenti non saremmo invasi da reel di sedicenti chef che vanno a fare la spesa al mercato». La tocca piano Terrinoni.