Ho letto con divertimento il pezzo di Visintin sulla noia e prevedibilità dei ristoranti stellati e in parte sottoscrivo. Il fine dining è forse alla fine di un ciclo che ha sdoganato l’alta ristorazione dal piedistallo dell’esclusività, tutto è diventato un po’ scontato e, appunto, un po’ noioso. Ricordo le mie prime cene stellate, i menu degustazione rappresentavano l’attesa del mistero, si sognava, si risparmiava per sedersi in quelle tavole esclusive, si godeva dei rituali, anche quelli banali e rétro. Mi sono tolto quegli sfizi, ora li cerco meno, ma non per questo borbotto della pagnotta di pane al centro del tavolo (e vivaddio che l’alta ristorazione abbia reso nobile il pane!) o perché lo chef impone un suo menu (tema sul quale anche Arrigo Cipriani ha da dire la sua, come vi abbiamo raccontato) quando noi tutti, protagonisti di questo circo, abbiamo reso star gli chef (che, come le star, decidono come proporsi).
Il fine dining è solo alla fine di un ciclo
Siamo di fronte a un giro della ruota, prima si gode, si esalta, poi ci si stanca. Io invece mi sono stufato dei passi indietro dell’alta ristorazione, delle apparecchiature minimal, degli ambienti bianchi e grigi e asettici, rivorrei l’opulenza delle poltroncine di velluto (copyright Langone), rivorrei l’allegria festosa dell’Ambasciata. L’alta ristorazione è e deve restare una festa, con i suoi riti (anche se un po’ noiosi), i suoi capricci, i suoi eroi (e le sue meteore) e noi qui a criticarli e a esaltarli, ma che continuino a regalarci emozioni! Domani avremo altre polemiche, segnali di stanchezza, momenti di euforia, fughe in avanti e passi indietro, speriamo non altre pandemie, ma comunque ci divertiremo sempre molto con le gambe sotto al tavolo di un ristorante, stellato e non.