Martinicano di origine, classe 1970, due stelle Michelin al Blue Bay del Montecarlo Blue Bay Resort, Marcel Ravin si è imposto sulla scena gastronomica con la sua cucina che unisce Caraibi e Mediterraneo e che va alla ricerca di quello che lui ama definire il “palato mentale del cliente”. Lo incontro in occasione del Festival des Étoilés all’Hotel de Paris di Montecarlo e mi sembra la persona giusta per parlare di avanguardia e fine dining, lui che si definisce “un venditore di piacere e non di sogni”.
Ravin, si può partire dal piacere per combattere la crisi del fine dining di cui in Italia si dibatte tanto?
Io penso che ci sia un movimento di restaurazione festosa che è molto di moda al momento. Ma penso ugualmente che noi chef al giorno d’oggi non solo dobbiamo adattare il servizio proposto ai clienti in modo che sia più fluido ma anche proporre tariffe ragionevoli.
Più felicità e meno sperimentazione?
Non dobbiamo stare dentro la sperimentazione, ma raccontare ai nostri ospiti una storia basata sulla nostra cultura e la nostra identità.
Una narrazione del genere in Italia di solito si finisce per farla attraverso il menu degustazione…
Ecco, io penso che i clienti siano stufi di vedersi imporre dei menu che facciano loro vivere un’esperienza. Un ristorante è un luogo dove poter scegliere, è per questo che io ho deciso di avere nel mio ristorante una carta, oltre ai nostri meni degustazione.
Come immagina il futuro della cucina avanguardista?
Ma che cos'è una cucina avanguardista? Guardi, io proprio non lo comprendo. A voler fare troppo i filosofi finiamo per annoiare, a voler far una cucina troppo intellettualizzata creiamo dei blocchi e i clienti dimenticano ciò che mangiano.
In Italia è sempre vivo il dibattito tra i partigiani della tradizione per la tradizione e gli innovatori. I primi pensano che una ricetta non vada toccata in nessun modo, nemmeno se a farlo è uno chef stellato. Che ne pensa?
La tradizione ha del buono, bisogna rispettarla ma non possiamo nemmeno impedirle di evolvere, come del resto accade in qualsiasi ambito. Io penso che gli chef debbano essere artigiani del gusto e artisti. Almeno, io mi considero tale.
Come descriverebbe la sua cucina?
Una singolarità basata su un’identità.
Ma l’identità come evolve nel tempo?
Evolve grazie a una creatività perennemente insoddisfatta. E comunque la mia cucina è in perpetua evoluzione, ancorata alla sua epoca.
E’ uno chef che ama avere dei piatti signature?
Io non ho piatti emblematici, anche se pare che i miei clienti abbiano deciso che l’Uovo Montecarlo lo sia. Ma tutti i miei piatti sono signature ai miei occhi a patto che siano buoni, belli e audaci.
Lei che è caraibico di origine come si trova a lavorare a Montecarlo?
Il principato di Monaco è un luogo d’eccezione, ogni evento che vi viene organizzato riflette l’immagine dell’eccellenza. E’ un luogo di gastronomia multiculturale dove ogni grande chef ha il suo posto.
E visto che l’Italia è là, a pochi chilometri, lei ci lavorerebbe?
Naturalmente, a patto di trovare un partner che mi proponga un buon progetto. Io trovo che la cucina italiana sia molto evoluta ed è certamente una delle cinque migliori a livello mondiale.