È davvero preferibile un ristorante frequentato solo da persone che hanno dai 30, 35 anni in su? La domanda è ormai sulla bocca di tutti, almeno a St. Louis, nello Stato del Missouri, dove ha da poco aperto il Bliss Restaurant i cui titolari hanno deciso di far sedere ai loro tavoli soltanto clienti con almeno 30 anni, se donne, e almeno 35 se uomini. L’obiettivo, spiegano sui social, è quello di «mantenere un'atmosfera piacevole, esclusiva e rilassante» escludendo il caos fatto dai più giovani.
Solo uomini di 35 e donne di 30 anni al ristorante
La diffusione del post, però, che nelle intenzioni avrebbe dovuto avere un effetto pubblicitario, ha invece aperto discussioni e polemiche infinite, tanto da richiamare anche i media che si sono affrettati ad andare a chiedere maggiori spiegazioni. Ma anche dal vivo le cose non cambiano: l'Assistant Manager Erica Rhodes alla quale sono state rivolte le domande dei reporter, ha ribadito che, dopo numerose esperienze negative, è stato deciso di rivolgersi a una clientela più adulta, che possa godersi il proprio happy hour o la propria cena senza preoccuparsi di giovani indisciplinati che fanno confusione. Il proprietario, Marvin Pate, ha aggiunto, anche che «per molti, il Bliss è una seconda casa. Venendo qui, la gente si sente come se fosse in vacanza. Dopo la pubblicazione del post siamo stati duramente attaccati e alcuni clienti hanno scritto che non verranno più. Va bene lo stesso. Abbiamo delle regole e ci crediamo fermamente e le rispettiamo». Il proprietario ha anche aggiunto che chi non ha l'età minima per sedersi a mangiare può comunque ordinare cibo d'asporto.
I commenti sui social si sono divisi, ovviamente, ma se molti hanno attaccato la scelta del ristorante, altri hanno espresso un parere diverso: «Suo il ristorante, sue le regole» dice un utente; «Se ci sono delle regole, è per un motivo», sentenzia un altro. Altri ancora hanno detto di non ritenere sbagliata la regola in sé, ma la differenza tra uomini e donne.
Si può impedire a qualcuno di entrare in un locale?
Non sappiamo come funzioni negli Stati Uniti, ma di certo non funziona così in Italia. Nel nostro Paese è, infatti, illegale impedire a qualcuno di entrare in un locale pubblico. E così, per esempio, il ristorante che applica quella che viene chiamata “selezione all’ingresso” obbligando a un dress code, sta commettendo un illecito. Essendo un esercizio pubblico, dice la legge, «non può senza un legittimo motivo, rifiutare le prestazioni a chiunque le domandi e ne corrisponda il prezzo».
Il caso dei ristoranti childfree
Nonostante questo, però, c’è chi ogni tanto prova a impedire l’entrata a una qualche categoria: è il caso dei ristoranti childfree, ovvero quelli dove è precluso l’accesso ai bambini, che si stanno diffondendo lentamente e che già hanno creato accese discussioni. Seguendo la legge ovviamente l’esercente non potrebbe farlo. E non può farlo nemmeno motivando che «il locale è mio e decido io chi farci entrare». Infatti, è vero che si tratta di un locale “privato aperto al pubblico”, ma secondo la legge, svolgendo «attività di somministrazione al pubblico di alimenti e di bevande» è da considerarsi un pubblico esercizio. Il ristoratore potrebbe ancora fare appello al legittimo motivo, ma deve averlo, perché sostenere che i bambini disturbano non basta. Quindi, cosa può fare il cliente se si vede opporre un rifiuto? Può sapere che la condotta del titolare del ristorante vale un illecito amministrativo sanzionato con una multa. Pertanto, la famiglia in questione, se non preferisce andare in un altro ristorante dove sarebbe meglio accolta, può segnalare il caso alle Forze dell’Ordine.
Un po' di sano buonsenso, meno polemiche
I ristoranti “vietati” ai minori nascono con una precisa ragione che è quella di garantire alla clientela un ambiente dove possa finalmente rilassarsi senza dover subire la confusione delle famiglie con bambini piccoli. Tale possibilità, però, infiamma lo scontro tra chi condivide la scelta, tra i quali ci sono anche gli stessi genitori che escono a cena proprio per non ritrovarsi nello stesso caos di casa, e chi ritiene che queste proposte siano discriminatorie e ghettizzino le famiglie. Entrambe le posizioni hanno motivazioni valide, forse, però, un maggiore buon senso da parte di tutti, renderebbe tutto più semplice.