E nemmeno un tortellino. Vai a mangiare al Ristorante Famiglia Rana a Vallese d i Oppeano, nel Veronese, aperto dai signori della pasta fresca industriale e ti aspetti un link al core business aziendale e invece niente. Il nuovo chef Francesco Sodano, napoletano, che da poco ha sostituito il corregionale Giuseppe D’Aquino e che è il fratello di Salvatore alla guida del veneziano Local, non ha alcun bisogno di citare i prodotti di Giovanni Rana. Anzi la sensazione è proprio che il ristorante stellato che trova spazio in un casale nella affascinante Valle del Feniletto, un’oasi naturalistica con una palude e delle emergenze archeologiche risalenti all’Età del Bronzo, rappresenti un riscatto, una promozione sociale per una famiglia che ha fatto successo con un prodotto da supermercato e con decenni di massicce campagne pubblicitarie in tv di cui qui non si trova traccia. Un po’ come quegli attori che sbancano al botteghino con i cinepanettoni e poi recitano Ionesco nei teatri.
Ristorante Rana dalla doppia anima
Anche la figura popolare del patriarca Giovanni Rana, uno dei primi imprenditori a mettere la faccia negli spot per promuovere i suoi prodotti con quel piglio da nonno tutto ricotta-e-spinaci, è qui più che altro evocata. Il ristorante infatti è un progetto fortemente legato a figlio Gian Luca, amministratore delegato dell’azienda, una persona dalla visione imprenditoriale estremamente raffinata, che ha avuto l’idea di riempire l’Italia di locali in cui proporre una ristorazione veloce a base dei prodotti aziendali e poi ha alzato il livello con questa “capsule” di avanguardia, che nel 2022 ha ottenuto la sua prima stella Michelin.
Ambiente raffinato
Il ristorante Famiglia Rana, che sorge a pochi chilometri dal pastificio di San Giovanni Lupatoto, ha riaperto qualche settimana fa con il nuovo chef e dopo un accurato restyling che ha reso il locale, ricavato da un vecchio magazzino di tabacco e riso, un salotto di campagna suddiviso in tre ambienti: la sala vera e propria, con sei tavoli e un totale di 24 coperti, decorata con colori che richiamano i contrasti della natura circostante – sospesa al soffitto c’è anche una installazione dell’artista floreale Ottavia Bosco che inneggia alle erbe, alle radici e alle piante del circondario – poi c’è uno spazio nel primo piano dove vengono serviti i dolci e dove all’occorrenza possono trovare spazio eventi privati e infine una cantina con un unico tavolo, una specie di privé sotterraneo. Il design è stato curato dai giovani dello studio Cantieri Creativi, che hanno sviluppato i percorsi cromatici delle pareti, dai creativi di PÖI, che hanno curato le grafiche e le illustrazioni dei menu, e dalla cooperativa Quid, che ha realizzato tovaglie e tovaglioli con tessuti cuciti da persone provenienti da tutte le categorie a maggior rischio di esclusione lavorativa con la collaborazione dello stilista Antonio Marras.
Lo chef e i menu
Sodano, classe 1988, esperienze con Anthony Genovese e con Oliver Glowig, traccia un percorso estremamente personale, che inquadra il territorio che lo circonda con le memorie personali di una cucina campana casalinga e con una visione contemporanea, aperta a sguardi laterali, a tecniche espressive che spingono sulle acidità e sulle fermentazioni, ad accostamenti francamente inconsueti, che talora spiazzano e talora convincono. I tre menu spingono il primo sul biografismo (Ricomincio da tre, dodici portate in sei atti, 180 euro più 130 per l’eventuale pairing), il secondo sugli adesivi appiccicati alla valigia dello chef (Contaminazioni, sei portate a 130+80 euro o di otto portate a 150+10) e il terzo sul Vegetale (sei portate a 90+60 o otto a 120+80).
Cosa si mangia
A me è stato consentito di girovagare tra le tre ambientazioni, partendo da un Cannolo ripieno di stracotto di polipo e da un Finto nigiri con risone, vinaigrette orientale, emulsione di rafano e ventresca di tonno. Poi una memorabile Seppia sporca, cotta con tutta la parte delle pelli, con friarielli in versione classica e per estrazione, emulsione di quinto quarto di seppia e una bottarga sempre di seppia, chips di seppia servita su un osso di seppia (ho mica scritto seppia?); il Non hai Scampo, uno scampo frollato per otto giorni in un grasso di rognone affumicato, chutney di mango e curry, emulsione di cocco e lime; il signature dish di Sodano, un porro cotto ancestralmente sotto cenere e servito con emulsione di cipollotto con aglio nero, miso di limone e cenere di cipollotto edibile.
Eccolo poi un raviolo, ma di altro genere rispetto al blockbuster di famiglia, con asparagi, robiola ai tre latti tagliata con latte fermentato, bruscandoli, limone candito, palamita affumicata e frollata per dieci giorni, caviale, il Risone allo stoccafisso di storione, una Triglia leggermente frollata con rossetti marinati con un garum di triglia. Infine sono salito per i dolci, che si sono fatti largo malgrado una capienza al limite: Crema di foie gras lavorata con madeira e porto con aceto balsamico di cipolla, cioccolato affumicato e chips e burro di koji e un Negativo di pane e nutella. Carta dei vini di lotta e di governo, ma anche bevute alternative, sia alcoliche sia no. Servizio davvero familiare, ma con stile.