Rigò a Londra e la cucina di Gonzalo Luzarraga. Nel ristorante Novità 2017 per Top Italian Restaurants

7 Nov 2017, 12:30 | a cura di

La squadra è italiana, come i capitali che sostengono il progetto. Ma Rigò non è un ristorante italiano come molti immaginano le tavole tricolore all'estero. Dietro c'è la personalità cosmopolita di Gonzalo Luzarraga, solide radici piemontesi ed esperienze di cucina in tutto il mondo. 


Bando alle etichette

Rigò è un'impresa italiana a Londra. Una tavola fine dining aperta appena tre mesi fa, eppure già meritevole di appuntarsi sul petto le tre forchette tricolore del Gambero Rosso, nuova apertura 2017 sulla guida Top Italian Restaurants, che censisce l'eccellenza dei ristoranti italiani nel mondo. Ma quell'etichetta di cui tanti scelgono di ammantarsi, lo scudo dell'autentica cucina italiana, Gonzalo Luzarraga ha scelto di metterla da parte. Lui che da una vita gira il mondo in cerca di suggestioni gastronomiche, mamma italiana (di Cuneo) e una profonda conoscenza del territorio piemontese dove è nato e cresciuto anche se il cognome tradisce origini latine, alle etichette di tendenza proprio non presta attenzione. Anzi, quasi le considera un limite alla libertà creativa di uno chef, alla possibilità di fare ricerca sul territorio, valorizzare storie e prodotti senza rigidi paletti campanilistici. Il risultato è un approccio assolutamente personale alle tradizioni gastronomiche respirate sin da bambino, un gusto affinato tra esperienze di vita personale che l'hanno portato a scoprire anche angoli remoti del mondo – dal Sudafrica più autentico alle regioni meno conosciute della Russia – e tappe formative di un Grand Tour d'eccellenza, tra Alain Ducasse e Walter Eynard, la Cina, il Giappone, le Maldive.

Rigò a Londra

All'esordio londinese, con il socio Francesco Ferretti, è arrivato dopo un impatto piuttosto straniante con la città: “Fino a qualche anno fa non amavo Londra, la vivevo da viaggiatore veloce, ne coglievo solo gli aspetti più superficiali. Poi mi è capitato di collaborare con un collega alla start up di un ristorante italiano qui in città, sono rimasto per 6-7 mesi. Ho finalmente compreso che qui c'è molta sostanza, anche se pochi, fatta eccezione per i grandi nomi, sono quelli che utilizzano a pieno la grande varietà di prodotti locali”. Pochi quelli che si spingono nelle campagne inglesi alla ricerca di un rapporto umano con i produttori, “un aspetto al quale noi italiani siamo molto inclini, e sorprendentemente ho ritrovato anche qui: Londra non è una città fredda.” Lui alla selezione della materia prima ha sempre riposto molta attenzione. E da quando è partita la nuova avventura londinese ha girato molto per scovare “chi produce con l'anima”: la domenica, nel giorno di chiusura, esce a scoprire il buono che lo circonda. Ci sono i raccoglitori di funghi e muschio della Scozia, l'allevamento di agnelli da latte “di straordinaria qualità”, i produttori di ortaggi della periferia londinese. Un lavoro sulle materie prime britanniche che non fanno neppure i ristoranti tradizionali, in affiancamento alla continua ricerca sull’Italia naturalmente. Insomma, “volevo aprire a Parigi, ora sono felicissimo di averlo fatto a Londra”. Dietro c'è anche una valutazione imprenditoriale oculata dei margini di profitto che offre la capitale inglese, “non è un caso che tutti scelgano di provarci qui, David Munoz per esempio sta per raddoppiare col suo StreetXo. Ma è necessario comprendere bene le dinamiche del lavoro: qui i ritmi sono diversi, turni del personale più corti, orari di apertura ridotti, servizi da ottimizzare. Questo permette di mantenere la concentrazione, lavorare con precisione. E chi fa qualità ha ottimi margini di profitto”.

Pluma di cinta senese, ostrica, capesante, pastinaca

Una proposta originale

Da Rigò sono 7 in cucina, con rotazioni frequenti; 30 i coperti in sala, gestita con competenza dal giovane Federico Dadone, sommelier d'esperienza che per la cantina ha lavorato su molti piccoli produttori biodinamici, italiani e del mondo, per mettere insieme una carta originale quanto la cucina, con una buona ossatura di rough wine e le etichette più classiche e preziose a fare da corollario: “Lavoriamo molto bene sul pairing, e di questo siamo molto contenti”. Il merito è certamente di come gira tutta la squadra: a pochi mesi dall'esordio la critica locale è già generosa con l'insegna di Fulham, e la clientela non manca. All'inizio erano soprattutto italiani e francesi, ora si contano presenze internazionali da tutto il mondo, “e tra i londinesi abbiamo già diversi clienti abituali”. Tutti curiosi di scoprire la cucina di Gonzalo, che le ultime esperienze in Italia le ha avute a Le Clivie di Piobesi d'Alba e al Marachella di Cherasco.

L'idea gastronomica che mette in campo oggi, a suo parere, non necessariamente avrebbe successo in Italia: “Faccio un discorso molto personale, nelle ossa c'è l'italianità, poi la tecnica, le basi apprese da Ducasse, e tutto il meglio assorbito nel mondo”. In Russia, per esempio, ha imparato a ripensare ingredienti di contorno, dandogli nuova dignità, come le patate. In menu presenta anche un piatto di midollo di bue e caviale, “che in Italia non avrei mai pensato di proporre”.

Mortadella, topinambur, tartufo bianco

L'idea è quella di approcciarsi alla trasformazione degli ingredienti con la massima libertà: “La passione per le fermentazioni arriva dai Paesi del Nord, degli asiatici mi affascina il modo di trattare i prodotti italiani, del Giappone la padronanza dell'umami, delle Maldive la rivisitazione di una cucina indiana più gentile con le spezie”. Senza dimenticare le origini: “Il 40% dei prodotti che usiamo al ristorante arrivano dall'Italia, dai pomodori del Piennolo ai carciofi di Albenga, all'aglio di Vessalico, al riso Acquerello”.

Contro gli stereotipi

Si sceglie alla carta – breve, 5 antipasti e 5 main course, due di pasta, come i Cappellacci con cipolla fermentata e Parmigiano Reggiano 36 mesi – o il percorso degustazione di 6 portate, che racconta il viaggio di Gonzalo dall'infanzia agli ultimi ricordi, come Noci e caviale, dal piatto tradizionale del Mar Nero scoperto in vacanza dai genitori della sua fidanzata, sulla tavola di Rigò con noci fermentate e caviale di aringa. Anche per i dolci, esperienze meditate: la Creme brulée con castagne, porcini e sesamo nero, Cachi e amazake (un miglio fermentato giapponese), la Foresta Nera con cioccolato bio Original Beans e ciliege selvatiche scozzesi. In alternativa i formaggi piemontesi di Franco Parola. Il rischio maggiore? “Quando dici che sei italiano, molti pretendono lo stereotipo dell'Italia. Perché un cinese può cucinare italiano e io non posso proporre qualcosa di mio?”. Il discorso, per Gonzalo, vale anche per l'Italia, “dove non è facile proporre un discorso che esca dagli schemi, un ristorante come il mio potrebbe funzionare a Milano, forse a Torino”. Chi ci riesce bene? “Mi piace molto Yoji Tokuyoshi, è uno che ha avuto il coraggio di applicare l'estetica giapponese alla cucina italiana. E poi Max Poggi a Bologna, anche lui sta lavorando con qualità fuori dai percorsi battuti, in un contesto molto tradizionalista. A Milano c'è anche Eugenio Boer, che fa cose molto interessanti”. A Londra, invece, dove gli piace mangiare? “Sono un fan di Isaac McHale al The Clove Club. Nella sua cucina vedo molta della sensibilità italiana per la valorizzazione dei prodotti locali. Mi piace anche il britalish di Luca, un'idea dello stesso team. E poi The Kitchen Table al Bubble Dog. Per mangiare italiano, invece, la pizza di Matteo Aloe, da Radio Alice. E la carne del Macellaio. O la cucina italiana dell'Harry's Bar, peccato sia solo per i soci”.

 

Rigò | Londra | 277, New King's Road | www.rigolondon.com

 

a cura di Livia Montagnoli

Foto di Roberto Savio (roberto_savio photography)

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