Mia nonna era molto brava, faceva poche cose ma buonissime. Mio nonno, poi, nato al principio del Novecento, era un “futurista ante-litteram” e cercava sempre le novità dell’industria alimentare post bellica, dal Philadelphia alla Fiesta, dalla mortadella ai dadi da brodo più strani. Mia mamma non ha preso quasi nulla dalle esperienze culinarie di mia nonna che era fantastica nel fare i supplì, il risotto o le fettuccine con le rigaglie di pollo, i frittelloni di Carnevale e una fantastica Mozzarella in carrozza.
L'arista della mamma, che noia!
Mia mamma aveva due must: una pasta con le verdure primaverili tagliate a julienne mischiate a fili di prosciutto cotto e l’arista di maiale in arrosto “morto” – ovvero in tegame – spesso con le prugne (alla fine insopportabile!) o – quando c’erano ospiti – il vitello tonnato. Era brava in queste preparazioni, ma erano sempre e solo quelle e solo quando c’era qualche ospite. Per il resto, il ver ricordo di lei, era quando avevo tre anni e passavo le mezz’ore sulla mia seggiolina gialla a guardare il vetro del forno dove cuoceva il pollo (spesso era un pollo “casereccio” portato in regalo a mio padre e scannato e spennato sul lavello della cucina) con le patate. Credo sia stata questa l’esperienza che mi ha legato alla passione per la cucina che poi, però, ho sviluppato a varie riprese e a modo mio.
L'ovetto fresco, ma è un fake
Un’altra cosa ricordo, raccontata da mia madre: io ero appena nato e nella cittadina dove vivevamo – inizio anni Sessanta – c’era una vecchietta che vendeva porta a porta le uova “di casa”, avvolte in fogli di carta di giornale. “L’ovetto fresco per il bambino, da bere”, diceva la vecchietta a mia mamma. Ma un giorno, uscita presto di casa, vide dietro l’angolo la vecchietta che impacchettava le uova una a una prendendole da un contenitore di quelli usati dai grossi produttori industriali di uova.
Aveva ragione Antonello Colonna
Ecco, era il segno dei tempi: la cultura dell’industria alimentare e dei supermercati cominciava a fare l’ingresso trionfale nelle nostre famiglie. E anche allora il mito del cibo genuino era un mito, forse meno praticabile anche di oggi. E sempre mi torna in mente una riflessione di quel provocatore di Antonello Colonna, quando collaboravamo per scrivere la storia di "Un anarchico ai fornelli", pubblicato dal Gambero ventiquattro anni fa. «Tutti idealizzano la cucina della nonna o della mamma - sorrideva Antonello - Ma la ricordo io mia nonna che appena scoperto il supermercato non cucinava più niente! Mortadella e fettine... ecco cosa faceva. Altro che cucina della nonna». Appunto.
I tempi però sono cambiati
Insomma, noi boomer abbiamo sostanzialmente inventato la "cucina della mamma" idealizzandola con il concetto che "piatti buoni come quelli della mamma non ce ne sono più". Forse in alcuni casi può anche essere, ma di fatto nella stragrande maggioranza dei casi non credo proprio sia così. Però, voglio anche aggiungere una riflessione che sfiora il paradosso: oggi forse le mamme stanno riacquistando peso nell'immaginario culinario dei figli. Si cucina sempre meno a casa, vero. L'offerta di piatti e cibi pronti attuale era inimmaginabile (ma non del tutto!) 50 anni fa. Eppure, le nuove dinamiche nei rapporti tra mamme e figli improntate alla necessità di maggiore vicinanza ed empatia, portano a costruire momenti di condivisione delle esperienze e quindi anche di quelle culinarie: a casa, ma anche fuori. E probabilmente questa nuova strada darà impulso a una nuova fenomenologia della "cucina della mamma". Saranno ricordi più saporiti dei miei? Può darsi. Ma io, alla fine, mi accontento delle salsicce sott'olio (rancido, certo, e difettato!) che faceva mia nonna con quel "rancetto" che - ancora vivo nel mio immaginario - riusciva anche a starci bene col grasso degli insaccati. va beh, resto un inguaribile boomer!