"Riaprire solo le attività che hanno i tavolini all’esterno, significa prolungare il lockdown per oltre 116mila pubblici esercizi. Il 46,6% dei bar e dei ristoranti della Penisola non è dotato di spazi all’aperto e questa percentuale si impenna se pensiamo ai centri storici delle città nei quali vigono regole molto stringenti". È questa la fotografia dell’Italia della ristorazione condivisa da Fipe Confcommercio all’indomani delle disposizioni per la graduale riapertura della attività anticipate dal Presidente del Consiglio Mario Draghi in conferenza stampa, che giungono al termine di una settimana calda per le proteste degli operatori del settore. Supportato dal ministro della Salute Roberto Speranza, il premier ha illustrato la prima tappa di una road map per la ripresa che fonda la sua validità sull’ormai chiacchieratissimo “rischio ragionato”. Dal 26 aprile, dunque, la ristorazione sarà autorizzata a ripartire, ma solo negli spazi all’aperto, e con servizio al tavolo, come già visto in altri Paesi del mondo che ci hanno preceduto. La discussione, ora, si polarizza su due punti centrali delle misure: il permanere del coprifuoco alle 22, che di fatto, specie nelle grandi città, complicherà il servizio serale di chi proverà a riaprire anche per cena; la discriminazione tra figli e figliastri posta in essere dal subordinare la possibilità di riprendere a lavorare alla disponibilità di un dehors all’aperto. Che, per l’appunto, taglia fuori quasi il 50% delle attività di ristorazione del Paese. In attesa che le disposizioni siano tradotte in decreto, il Governo si dice irremovibile sulla necessità di mantenere il coprifuoco, almeno fino al 30 maggio. E al momento sembra fissata al 1 giugno la possibilità di ricominciare a servire i clienti negli spazi al chiuso, ma solo a pranzo, che vale appena il 30% del fatturato.
Riapertura ristoranti: progetti e soluzioni per i tavoli all'aperto
Per quel che riguarda la querelle tavoli all’aperto, invece, la palla dovrebbe ora passare alle amministrazioni cittadine. Garantire parità di accesso al diritto al lavoro dovrebbe essere priorità delle istituzioni. E in questo caso, viste soprattutto le peculiarità urbanistiche dei centri storici delle principali città italiane, le amministrazioni avrebbero il compito di favorire la creazione di spazi di cui gli esercenti possano usufruire con pari opportunità, soprattutto nei contesti che non hanno permesso loro di ottenere un dehors su strada (pensiamo agli spazi di manovra super contingentati dei centri storici, ma anche alle lungaggini burocratiche e ai cavilli urbanistici che hanno portato molti, in passato, a desistere dal richiedere uno spazio esterno al ristorante).
Anche in questo caso, il buon esempio arriva dall’estero: l’abbiamo visto all’indomani del primo lockdown a New York, con il programma Open Streets, che ha trasformato molti isolati della città in vere e proprie piazze di ristorazione all’aperto. Come pure a Londra, dove la recente ripresa delle attività outdoor è stata favorita dal ripristino delle iniziative già messe in pratica nell’estate 2020. Perché dunque non pedonalizzare, anche a tempo (per esempio nei fine settimana, o nella fascia oraria che va dalle 19 alle 22), porzioni della città adatte a ospitare i tavoli all’aperto di coloro che non dispongono di un dehors? Per ora, in molte città d’Italia, l’impegno delle amministrazioni si è concentrato sulla concessione della gratuità dell’occupazione di suolo pubblico messa in atto – e già prorogata – da diversi Comuni nel 2020. E sullo snellimento della trafila per ottenere più spazio in prossimità della propria attività (ma solo nei contesti che lo consentono).
Riapertura ristoranti: dehors e pedonalizzazioni. Come si stanno muovendo le amministrazioni cittadine?
Ma sul discorso delle pedonalizzazioni - ora invocato da più parti – chi ha ragionato o ha intenzione di ragionare concretamente e in tempi rapidi (al 26 aprile manca solo una settimana!)? “La procedura semplificata ideata l'estate scorsa dal Comune di Milano per la posa di tavolini e dehors leggeri ha salvato centinaia di attività che altrimenti avrebbero chiuso, favorendo la creazione di nuovi spazi pedonali in tutti i quartieri” spiega Pierfrancesco Maran, assessore all’Urbanistica, Verde e Agricoltura del Comune di Milano “Oggi siamo a quasi 2000 permessi concessi, pari a oltre 60mila mq di spazio pubblico occupato su marciapiedi, carreggiate, strade diventate temporaneamente pedonali”. E prosegue, sul futuro imminente, individuando comunque una criticità per chi non può disporre di spazi in prossimità del proprio locale: “Ci aspettiamo che, visto l'indirizzo dato dal Governo di far ripartire le attività in esterna, arriveranno nuove richieste e come fatto l'anno scorso, faremo il possibile per trovare delle soluzioni. Certamente è più difficile per chi non ha a disposizione spazi in prossimità della propria attività. Per questo chiediamo al Governo non solo la proroga della gratuità dell'occupazione suolo per tutto il 2021, ma anche di sostenere con maggior forza le attività che in questa prima fase non potranno riaprire".
Nella Capitale, la parola va ad Andrea Coia, Assessore allo Sviluppo economico, Turismo e Lavoro: “Roma è stata tra le prime città italiane a varare l’ampliamento delle occupazioni di suolo pubblico per andare incontro alle categorie che, sin dall’inizio della pandemia, sono state colpite dalle restrizioni legate alle norme anti contagio. Tale misura è stata accolta con favore dagli operatori che hanno risposto immediatamente installando all’esterno tavolini e pedane fino al 70% in più, grazie a procedure semplificate e rapide”, per cui si può allestire la pedana e nel frattempo presentare la pratica al Municipio, con controlli successivi per verificare la coerenza tra pratica e messa in opera. “Le prossime riaperture annunciate dal Governo sono una boccata d’ossigeno per migliaia di attività che rischiavano di chiudere. È però necessario permettere l'uso degli spazi interni anche se con adeguato distanziamento. Sono mesi che noi ci appelliamo all’esecutivo per chiedere che bar e ristoranti possano restare aperti a cena con norme di sicurezza ancora più stringenti di quanto sia previsto a pranzo. Ci siamo fatti portavoce delle istanze delle categorie perché l’ascolto e la collaborazione, soprattutto in una fase così delicata per l’economia locale, sono l’unica via per far ripartire la città. Ora, per coloro che non dispongono di adeguati spazi all’aperto, stiamo valutando una serie di ipotesi che possano conciliare impresa e decoro urbano. In ogni caso sarà necessario che il Governo garantisca a tutti gli enti locali coperture per l’osp gratuita per tutto il 2021 in modo da non mortificare ulteriormente gli operatori che hanno esercizi solo al chiuso” . In questa direzione vanno le richieste di Luciano Sbraga, direttore di Fipe Confcommercio Roma: “Chiederemo di sacrificare i parcheggi delle strisce blu a favore dei tavoli di bar e ristoranti, a questo punto è l’unico modo per salvare le aziende. La metà degli esercenti a Roma non ha tavoli è comprensibile che chi non sarà in grado di riaprire e vedrà invece altri colleghi farlo si arrabbierà, soprattutto dopo mesi di inattività”. Più esplicito ancora è Roberto Calugi, direttore generale Fipe, nel prefigurare una situazione di “concorrenza sleale” ai danni di tutti quegli imprenditori impossibilitati a beneficiare di un dehors per cause indipendenti dalla loro volontà: “Basta davvero poco per dare uno spiraglio ai tanti pubblici esercizi italiani impossibilitati a lavorare: una fioriera, un jersey, una transenna, un'automobile delle forze dell’ordine che possa far accedere solamente i mezzi di soccorso e di eventuali residenti”. Mercoledì 21 aprile Fipe incontrerà l’Anci (Associazione Nazionale dei Comuni) con l’obiettivo di spingere i sindaci a concedere spazi all’aperto extra, in via provvisoria, alle attività di ristorazione.
A Genova, dove un esercizio su tre ha solo spazi interni, si muove l’assessore al Commercio Paola Bordilli, invitando “chiunque abbia la necessità di dotarsi di dehors o di estendere quelli già esistenti a contattare i nostri uffici”. Intanto, a Bologna, l’assessore al commercio Alberto Aitini annuncia la proroga dei “dehors Covid” fino alla fine del 2021. E a chi lo scorso anno non avesse approfittato della concessione, ora il Comune promette risposta rapida: “Previa richiesta, siamo nelle condizioni di autorizzarli nell’arco di una settimana” spiega l’assessore “C’è la possibilità anche di realizzare dehors a distanza, nel rispetto del codice della strada. Chi ha bisogno ci faccia sapere: nel 95% dei casi una soluzione si trova”. Non esclusa neanche la possibilità di pedonalizzare alcune strade, e occupare piazze e parchi con i tavoli, previa presentazione di un progetto al Comune.
Riapertura ristoranti: cosa ne pensano gli addetti ai lavori?
Pedonalizzazioni temporanee? No, grazie
Nel pieno centro di Firenze, Marco Stabile è lo chef patron di Ora d’Aria, uno dei ristoranti d’autore più apprezzati in città. Da novembre il ristorante è chiuso, riadattato nella formula da asporto e delivery Ora d’Aria Lab: “Temo che questa strategia possa rivelarsi solo un modo per distogliere l’attenzione da certi paradossi: la folla sugli autobus, la mancanza di controlli per sanzionare che non rispetta le regole e permettere di lavorare a chi ha sempre agito con coscienza e rispetto per i clienti. E credo sia sbagliato non permettere ai ristoranti di tornare a lavorare al chiuso, perché nel rispetto di tutte le misure imposte abbiamo dimostrato di poter garantire la sicurezza. Ma bisogna lavorare sui controlli: invece di spendere miliardi in ristori che frazionati servono a poco, perché non investire davvero sui controlli? In piazza Santo Spirito, solo per citare un caso, è pieno di ragazzi all’ora dell’aperitivo. Per non parlare dei colleghi che non rispettano le regole”. Ora d’Aria non dispone di uno spazio all’aperto, ma Stabile sarebbe favorevole alla pedonalizzazione di spazi dedicati alla ristorazione? “L’estate scorsa abbiamo provato questa soluzione, la nostra strada è stata chiusa al traffico dalle 18 alle 23. Ma non lo rifarei: l’impegno di allestire e smontare ogni sera un dehors adeguato ai nostri standard di servizio è molto oneroso. Per non parlare della vicinanza con i tavoli di una trattoria molto chiassosa: i nostri clienti non hanno apprezzato. Può essere una soluzione per qualcuno, ma non per tutte le tipologie di attività”. E oltre al danno, si prospetta anche la beffa: “Se il 26 aprile la Toscana fosse in zona gialla e a Firenze potessero aprire le attività con servizio all’aperto, giustamente la gente si riverserebbe in quei locali, perché ha voglia di uscire. Risultato: calo del delivery, e quindi meno lavoro per noi. Ecco perché a maggio sto pensando di sospendere anche la formula Ora d’Aria Lab. Non sarebbe più conveniente”.
Cambiare gli orari di apertura
“Tra due o tre giorni apriremo l'Osteria alla Concorrenza per take away e vino; anche se non abbiamo ancora i tavoli, abbiamo spazio per occupare lo spazio di un paio di parcheggi, vedremo se ci danno la possibilità di servire fuori” fa Diego Rossi, veneto di stanza a Milano, che poi aggiunge: “Per Trippa però non abbiamo ancora deciso”. Il motivo? Un dehors piccolino – 3 o 4 tavoli – e un cantiere vicino che non permette loro di allargarsi. Non abbastanza per tenere in equilibrio l'attività, soprattutto con il coprifuoco alle 22. “Stiamo valutando se aprire anche a pranzo e prolungare l'apertura”. Se fosse concesso solo il pranzo, come è stato in zona gialla, avrebbero fatto orario continuato fino a chiusura, ma da mezzogiorno a sera è tutt'altro discorso, pur volendo semplificare qualcosa (ma senza stravolgere il menu): “Ci teniamo alla sostenibilità, anche dal punto di vista del lavoro”. E stare aperti per dieci ore implica turni infiniti. Senza contare che le incertezze non sono svanite, al contrario: il rischio di veder crescere i contagi alla ripartenza c'è sempre, “vogliamo aprire ed esser certi di poter restare aperti, altrimenti è un bagno di sangue”.
Attendere la ripresa del servizio all'interno
Viviana Varese posticipa ai primi giorni di giugno la riapertura del suo Viva, all'interno di Eataly Smeraldo a Milano: “Non abbiamo spazi esterni” spiega, e non vuole spostare il servizio on the road. Impegnatissima su più fronti, affronta la ripresa dell'attività come un training: “Apriamo per tornare a lavorare e riabituarci al lavoro: in Lombardia abbiamo fatto tantissimi giorni di chiusura”. E poi aggiunge: “Riapriamo anche per i ragazzi, anche se con tutte le variabili del caso: Milano è una città che vive più d'inverno, senza turismo e senza chi viaggia per lavoro, è pressoché morta in estate”. Forse converrebbe rimandare direttamente a settembre, “con il Salone del Mobile, che in qualche modo ci sarà, e con l'avanzare delle vaccinazioni che spero aiutino il ritorno a una qualche normalità”. Per quanto riguarda le direttive di sicurezza sanitaria nessun problema: “Già quest'anno avevo aumentato la distanza tra i tavoli a 2 metri e mezzo”. E i coperti da 65 sono passati a 35.
I dubbi sui dehors
“Sarà la prefazione di un ritorno alla vita”, fa Matteo Zappile che annuncia un Pagliaccio in versione ridotta. “Modificheremo ancora una volta la nostra idea, dopo averlo fatto con il progetto del delivery Turné, nell'attesa di poter ripartire all'interno”. La pedana è in preparazione in questi giorni, nel vicolo del centro capitolino in cui ha sede il ristorante. Potrà ospitare solo un numero ridottissimo di tavoli, in cui godere della cucina di Anthony Genovese – senza cambiamenti di rotta - con i 4 menu degustazione (incluso il lunch). “Non saremo pronti prima di maggio, ma una data precisa non posso darla; aspettiamo che venga pubblicato il decreto” aggiunge, dando voce alle perplessità di molti: “Anche per capire come deve essere questo spazio esterno: cambia se i lati aperti devono essere due o più”. La vetrina del ristorante si aprirà, creando continuità tra dentro e fuori, mentre difficilmente la chiostrina interna sarà fruibile. “Inutile dire che siamo delusi e arrabbiati, ma rispettiamo le linee del Governo, anche perché statisticamente il rischio all'interno è più alto” commenta, mentre torna alla mente quella multa ricevuta lo scorso anno per un dehors regolare e già approvato, emblematica di un dialogo da sempre complicato con il Municipio.
“L’imperativo è aprire, anche se ci saranno investimenti da fare: non possiamo aspettare un altro mese” dice Valeria Zuppardo. Anche lei si scontra con la difficoltà di definire con precisione queste regole, nel suo locale capitolino: “La pizzeria TAC di Ostia è all’aperto e quindi non ci sono problemi, ma per Seu Pizza Illuminati stiamo cercando di capire se mettere una pedana con balaustre rimovibili è fattibile e conciliabile con il mercato di Porta Portese e poi se aprendo tutte le vetrate, i tavoli nella prima fila sono da considerarsi esterni, e quindi quella parte come una veranda dehors. Non è facile capire se sia possibile, a livello amministrativo, essendo un argomento nuovo”.
No ai tavoli su strada
“Con 8 coperti non riusciamo a garantire il solito servizio” spiega Daniele Camponeschi riferendosi a Menabò Voi e Cucina (ma Camponeschi è anche una delle anime del Collettivo Gastronomico di Testaccio) che nella periferia est di Roma ha conquistato una clientela affezionata. Merito di una cucina godibile, immediata pur se sottende una grande raffinatezza. “L'ipotesi più sensata è che alleggeriremo un pochino il nostro format, con un menu del giorno, una cucina di mercato che varierà ancora di più, per non andare in sofferenza; e magari individueremo delle fasce orarie in cui avere un'offerta dedicata all'aperitivo e una per la cena. Comunque al massimo potremmo fare 15 coperti alla sera e non più di 20 all'aperitivo”. Cambiare leggermente offerta per essere più competitivi e tagliare i costi è una soluzione temporanea per traghettare il locale fino a quando si allenteranno le restrizioni, “anche se le cose in cucina non puoi cambiarle tutte, può essere una formula temporanea, ma i costi di gestione non si possono sempre compattare: utenze, affitto e altre spese non cambiano mica”. Motivo per cui ha deciso di accendere i motori del delivery solo per le feste comandate. “Siamo tutti sul chi vive, aspettiamo di vedere la Gazzetta Ufficiale” dice “con questi requisiti non vedo un grande futuro: mi aspettavo di poter lavorare fino alle 24 e anche all'interno, magari anche con vincoli, per esempio l'areazione senza riciclo e le porte aperte. Invece sono 8 coperti fino alle 22. Mi auguro si torni al metro di distanza all'interno, con 2 passerei da 45 a 10 coperti”. In attesa di poter svolgere il servizio anche indoor, spera di poter ampliare lo spazio all'aperto. Il loro è su una parte rialzata del marciapiede, di proprietà dello stabile, e hanno chiesto al condominio il permesso di allargarsi con altri tavoli. “Potremmo arrivare anche a 15 coperti”. Ad aprire un secondo spazio outdoor non ci pensa proprio: “Mi pare un po' brutto avere un'area rialzata e separata e una pedana in mezzo alle macchine; è una cosa un po' arrabattata. Ovvio che in una situazione di emergenza può servire ma non sono mai superfici tali da soddisfare requisiti di remuneratività: con tre posti macchina non risolvi. E poi” conclude “non intendiamo investire migliaia di euro per una cosa temporanea, molto meglio sarebbe allargarci sulla piattaforma che già abbiamo, creare delle sinergie con proprietari spazi alternativi e pagare anche con un gettone un dehors più grande”.
Cambiare l'offerta
A Bologna, Lorenzo Costa e la sua squadra hanno utilizzato i mesi di stop per lavorare su nuovi progetti, proprio come ci si aspetterebbe da una squadra capace negli anni di dare vita a un bel numero di insegne di successo, da Oltre a Sentaku, fino agli ultimi nati Nasty e Ahimè: “Noi di proteste non ne abbiamo mai fatte, perché le energie possono essere incanalate in attività più utili. Al momento usiamo i nostri locali come uffici creativi. Di tempo per le lamentele non ce n’è”. La questione dehors, però, dalla prossima settimana riguarderà anche i locali del gruppo: “Con Oltre a Ahimè non abbiamo la possibilità di usufruire di spazi all’esterno, per questioni urbanistiche: stiamo decidendo se utilizzare i dehors Covid gratuiti, per cui già avevamo fatto domanda un anno fa. Parliamo però di spazi su asfalto, distanti anche 60 metri dai locali. Non possiamo pensare di servire piatti caldi, probabilmente proporremo solo cocktail e qualche snack correlato. Considerando sempre l’incognita della zona gialla: fino a venerdì sera non sapremo se lunedì possiamo partire col servizio, con tutto ciò che ne consegue per organizzare un dehors da un giorno all’altro. E da una settimana all’altra il quadro potrebbe cambiare ancora. A Bologna il Comune si è attivato rapidamente, ma in generale la questione è gestita male. Le incognite sono troppe. Sono comunque felice che si possa ripartire, sperando che si inneschi un processo continuativo. Perché tornare a chiudere sarebbe davvero un problema per tutti”. Nota a margine, una questione che sa tanto di beffa: “Viene da chiedersi, però, perché un locale con codice Ateco mensa può servire all’interno e noi no. A Bologna tre o quattro insegne abbastanza note del centro si sono trasformate dall’oggi al domani in mense. All’interno, ufficialmente, fanno mangiare chi usufruisce del servizio. E nei dehors gli altri clienti. Qualcosa non torna”.
a cura di Antonella De Santis e Livia Montagnoli