Ieri sera è andata in onda una nuova puntata di Report che tra le inchieste ha presentato un servizio sui “Supertuscan”, etichette iconiche dell’enologia toscana e del made in Italy enologico. “Ma non è tutto oro quello che luccica…”: già dai primi istanti nell’ascoltatore viene creata l’attesa di rivelazioni sconvolgenti. È lo stile di Report che ben conosciamo. Ma quelle rivelazioni non arriveranno mai.
Report, il solito sensazionalismo
Il repertorio è il classico del giornalismo d’inchiesta: riprese “rubate” da telecamere nascoste, interviste a personaggi anonimi come l'"esperto compratore di vino sfuso", volti sfocati e le voci degli intervistati elaborate per essere irriconoscibili. Un apparato degno delle migliori inchieste sul crimine organizzato o sul terrorismo. Solo che, come dicevamo, qui manca la sostanza. Sono state tirate in ballo alcune delle aziende più note della regione: la Tenuta di San Guido, Ornellaia e Masseto, Ricasoli, Cecchi, Rocca delle Macie, Ruffino, i Mazzei di Fonterutoli. Il presunto reato? Vengono esibite piccole parcelle tagliate e sottolineate di fatture di acquisto di vino sfuso che le prestigiose aziende hanno acquisito dalla cantina Borghi di Scandicci, specializzata nel commercio di vino sfuso, che acquista da produttori toscani e fuori regione.
Nessun vino annacquato
La tesi di Report è che alcune delle etichette toscane più prestigiose vengano “annacquate” con vini di altre regioni. L’unico personaggio intervistato, in qualità di Presidente del Consorzio Toscana IGT è Cesare Cecchi, che con il suo fare pacioso e ironico spiega che comprare vino da altre cantine non è un crimine, e che i commercianti di vino fanno proprio questo mestiere e forniscono le aziende che hanno bisogno di integrare la propria produzione per fare fronte alla domanda.
Comprare Chianti o Chianti Classico sfuso per imbottigliare Chianti o Chianti Classico non è un crimine. Sarebbe frode se in etichetta ci fosse la dicitura “integralmente prodotto e imbottigliato da…” (come nel caso di Sassicaia, Ornellaia, Masseto ecc. ecc.), mentre le aziende in questione hanno una serie di etichette meno costose dove è legale e normale fare ricorso ad integrazioni di vino dello stesso territorio. In questo caso c’è la dicitura “Imbottigliato all’origine da…”, che è lecita, anche secondo il legislatore, a condizione che sia assicurato, dal punto di vista quantitativo, la produzione globale dell’azienda agricola sia prevalente rispetto a quella delle citate partite di vino acquistate da terzi.
Insomma, nulla di strano o illegale, niente frode verso il consumatore. Del resto tra una bottiglia da 400 euro e una da 20 euro è lecito aspettarsi delle differenze qualitative. Ovviamente esiste la possibilità di frode, qualora venga provata la mendacità delle dichiarazioni. Ma qui si ricade nel detto e non detto. Intervistati anonimi con voce metallica e volti sfocati dichiarano che la magistratura ha insabbiato le inchieste, anonimi enologi - o presunti tali - asseriscono di poter costruire in laboratorio vini equivalenti alle etichette più pregiate dell’enologia italiana, si fanno passare legittime operazioni di cantina come la correzione del colore con piccole aggiunte di vino ancelotta o di lambruschi (il cosiddetto “rossissimo”) come frodi, e con riprese “rubate” ad inconsapevoli addetti all’accoglienza delle aziende visitate si fa dichiarare che i vini delle aziende in questione sono ottenuti esclusivamente dalle uve aziendali. E alle soglie del 2025 vengono mostrate fatture del 2015 di cui ovviamente non è facile ricostruire il percorso.
«Da anni ci chiedono ragione di un acquisto di vino Igt Toscana - peraltro di ottimo livello - dalle cantine Borghi - ci dice Carlo Paoli , direttore generale della Tenuta di San Guido - e da anni rispondiamo che ha contribuito alle nostre etichette Le Difese e Guidalberto. Non è certo finito nel Sassicaia. Non avrebbe senso. E poi ci sono i controlli dell’Icqrf, la Repressione Frodi del Ministero dell’Agricoltura. Comunque chiederemo alla Borghi un’ulteriore documentazione che testimoni che si trattava di autentico Igt Toscana».
Lamberto Frescobaldi per Ornellaia precisa «Sapevamo che avevano un regolare documento di 300 hl di acquisto di vino Igt Toscana del 2015 (10 anni fa). Non abbiamo nulla da aggiungere se non che nella nostra gamma di etichette vi sono alcuni vini Igt di prezzo più competitivo dove quel vino è stato legalmente utilizzato. Se vi fossero stati dei problemi non sarebbe uscito prima? Insomma, è un gratuito attacco per fare audience. Il terzo quest’anno. Grande amarezza!».
Sergio Zingarelli chiarisce ancora: «La mia azienda, come molte altre, oltre alle linee targate Rocca delle Macìe produce e vende anche vini con altri marchi. Nel nostro caso, ad esempio, abbiamo un marchio di grande successo in USA, la Giulio Straccali, dove offriamo una serie di etichette, dal Chianti al Pinot Grigio al Primitivo Puglia Igp, dove facciamo ricorso a vini acquistati. Non c’è nulla di strano o di illegale». Volti anonimi, comparse, come la signora con cappellino di paglia – sedicente produttrice - che confessa di aver venduto certificati falsi per anni. Beh, quello sì è un illecito… Passibile di denuncia… Insomma, un armamentario di telecamere e microfoni nascosti alla ricerca dello scandalo che non c’è. «Hanno montato le mie frasi fuori contesto – aggiunge infine Cesare Cecchi – e hanno continuato a ripetere ossessivamente le stesse domande per tutto il tempo nella speranza che cadessi in contraddizione, anche a intervista finita, fin che non sono saliti sul taxi. Tecniche da KGB. Ma in questo contesto fanno ridere…».
Tutto questo in contrasto con le bellissime riprese video che ci hanno mostrato una Toscana davvero splendida, con cantine spettacolari, vigneti curati come giardini e vedute mozzafiato. Difficile pensare che non si producano grandi vini in scenari come questo. Del resto, tutto il mondo li esalta ed è felice di acquistarli anche a prezzi elevatissimi. Siamo tutti cretini?
Vi lasciamo con la vista del viale dei cipressi di Bolgheri ancora negli occhi. Magia pura. Una grande occasione mancata per parlare del bello dell’Italia. O forse no, a giudicare dai salaci commenti dei social media che spernacchiavano il servizio di Report. Ce ne andiamo anche noi a mangiare una fetta di panettone. E se lo innaffiassimo con un Supertuscan?