Bionda naturale, madre di due figli, moglie di Errico Recanati, lo chef del ristorante Andreina a Loreto (Ancona) premiato con Due Forchette dalla guida del Gambero Rosso 2019. Classe 1985, presidia la sala al civico 14 di via Buffolareccia dal 2009. Dal 2013 è delegato Marche per l’associazione Noi di sala. Miglior sommelier d’Italia per la guida di Identità Golose nel 2018. Unica donna nella top list dei migliori sommelier d’Italia selezionati da una giuria d’esperti interpellati dal Luciano Pignataro wine blog. Premio Fattore donna insieme a Catia Uliassi e Mariella Organi per l’ultima guida Espresso. Ramona Ragaini, ovvero come emanciparsi dalla condizione di “moglie dello chef” diventando una delle sommelier più celebri d’Italia.
Bionda e con l’aggravante di un successo in crescendo. Non rischia di sorpassare a destra lo chef?
Non scherziamo. Non si compete con la Cacio e pepe di Errico Recanati, gioca un altro campionato! Tornando seri. Errico è una persona molto intelligente che ha capito che abbiamo due ruoli importanti. Ma è vero che lo chef, in quanto tale, è sempre un po’ permaloso. E in quanto uomo, anche un po’ geloso.
Toga da avvocato nell’armadio e tastevine sul petto. Com’è che è andata?
È cominciata per caso, facevo l’università, ero incinta di Rachele da poche settimane. Ero al ristorante e mentre aspettavo che Errico finisse mi sono guardata intorno accorgendomi che erano letteralmente in m… in marasma. Mi sono fatta avanti e ho detto: ci penso io alle salette. Idem la domenica successiva. Poi l’altra, e l’altra ancora. Una domenica alla volta sono rimasta lì per sempre senza mai dare le due Procedure, Civile e Penale, che mi mancavano alla laurea. Poco male, non era certo quella la mia strada, io avrei voluto fare Lettera e filosofia.
Cosa l’ha incastrata, l’amore per il vino o quello per lo chef?
Entrambi, ma in ordine inverso. Dare una forma professionale all’iniziale disponibilità della dilettante è stato un viaggio sulle montagne russe. I corsi Ais li ho fatti fra un bambino e l’altro, è per questo che sono e resto un’autodidatta e per certi versi è stata la mia fortuna. Quello che so l’ho imparato andando a mangiare, dai miei colleghi. Mi colpì un cameriere da Berasategui, avevo un tavolo attaccato al muro, non riusciva a mettermi la forchetta a sinistra e il coltello a destra e scelse di non cimentarsi in acrobazie inutili al fine di non disturbarmi. Una grande lezione: tu devi sapere dove vanno le cose ma poi ci sono le deroghe e il buon senso.
A proposito di gelosia. Lui e lei al tavolo, cuore a cuore. Arriva la bionda di sala.
Tu parli con lei! È normale. Come è vestita bene. Ma questa gonna dove l’ha presa. Che capelli bellissimi. La protagonista è sempre lei. C’è tanto lavoro psicologico. Se c’è un tavolo di due uomini, posso fare una battuta. Altrimenti non mi permetto. Per l’85 per cento lavori con le coppie, in tanti vengono da noi a festeggiare i loro anniversari: se stai sulle scatole a lei, non li rivedrai mai più. C’è chi pensa che sei graziosa, sai parlare, è tutto facile. E invece no. Non sempre essere donna aiuta. Se sei carina, anzi, è la fine.
Ma se affondi con “un vino per palati femminili”, la conquista è cosa fatta. O no?
Ma smettiamola con questa storia! Sono luoghi comuni diffusi nel mondo della sommellerie, che è un mondo maschile. Palato femminile. Vini dolci che piacciono alle donne. Chiacchiere.
Lacrima, vino dalla spiccata aromaticità floreale e fruttata, particolarmente gradito alle donne”. Chi l’ha detto?
Io, l’ho detto io.
Allora negli stramaledetti luoghi comuni ci è cascata anche lei?
Ragioniamo. Fra i miei compiti rientra quello di indovinare i gusti dei miei ospiti e, realisticamente, so che è difficile proporre a una donna un Pelaverga di Burlotto. I contadini dicevano che era afrodisiaco, veniva usato come vino da taglio per Nebbiolo e Barolo. Non è un vino forte ma non lo darei ad una donna che non conosco.
In sintesi: vero che le donne preferisco i vini dolci e fruttati a meno che non siano esperte. Più giusto così?
Non necessariamente esperte, piuttosto avvezze al bere. Quello che fa ridere è che spesso ci si sente dire da quei colleghi con cui dovrebbe esserci un rapporto paritario, “tu che hai il palato femminile”. Ma per favore.
Tre colleghi che non soffrono di questa sindrome e invece la sanno lunga sul mestiere. I nomi.
Ce ne sono due ai quali mi lega una grande amicizia prima ancora che la stima professionale. Gianni Sinesi, lui su tutti, che sa restare sempre un passo indietro rispetto alla bottiglia e al produttore, e Alessio Pietrobattista, di cui mi incanta la libertà di pensiero, non si farebbe mai ingannare da un’etichetta per quanto blasonata. Lui è un puro e dice sempre la sua schietta e netta. Loro due sono fratelli con i quali sono cresciuta, anche professionalmente.
Manca il terzo.
Di grandi professionisti in giro ce n’è, eccome. In ordine sparso: Vincenzo Donatiello, di lui mi piace come sa raccontarti un vino. Beppe Palmieri è il maestro di tutti, se vuoi far sala non puoi prescindere dall’andare alla Francescana, è là che vedi che cos’è un servizio. Pipero invece è il sole, come andare fuori dagli schemi senza farla fuori dal vaso. Ecco, Pipero e Palmieri sono due esempi imprescindibili. Poi c’è il mitico Alessandro Tomberli, conosce tutto, ha la possibilità di bere tutto, ha una cultura enciclopedica ed è soprattutto uno che mette a disposizione il suo sapere. E sua eleganza Antonello Magistà, l’uomo più elegante del mondo che oltre a saperne tanto di vino senza darsene arie, è anche un impareggiabile padrone di casa. La verità è che nel nostro mondo chi ha successo è chi pensa di non essere arrivato, è quello il bello. Io che mi stufo di tutto, posso resistere solo in questo mondo infinito. L’amicizia che lega molti di noi è anche fondata sullo scambio, sul confronto, si cresce tutti insieme e... posso dire una cosa?
Dica
C’è molta più fratellanza, mutuo soccorso, fra noi di sala che fra i cuochi. Noi siamo amici che non si lesinano consigli e sostegno a vicenda. Non so spiegarmi perché, forse perché di rado siamo anche patron dei ristoranti? Perché abbiamo meno responsabilità? O forse perché non è un mondo femminile.
Ahia. Vuol dire che i mondi femminili secondo lei sono più competitivi nel senso peggiore del termine?
Fra donne è oggettivamente difficile, spesso, forse perché per molte di noi emanciparsi vuol dire ricalcare i peggiori modelli maschili. Ma tornando alla sommellerie, parola femmina in un mondo maschio, io di gelosia non ne vedo, forse anche perché la gente di sala non vive in cattività come i cuochi, siamo a contatto con la gente, siamo fuori a conoscere cantine e produttori. Forse tutto questo forgia la nostra predisposizione all’altro.
Tornando a questioni più terrestri. Lei ha dichiarato che l’abbinamento perfetto è quello caffè-sigaretta, tutto il resto sono chiacchiere.
Ma sì. Abbiamo creato clienti insicuri che hanno paura di avere i gusti che hanno, che guardano la carta timidamente e bofonchiano perché temono di sbagliare e di non sembrare eno-fighi. Ma dio santo. Viviamo tutti i giorni vite mediamente infernali, sempre sotto pressione, sempre lì a dover dimostrare qualcosa a qualcuno, almeno al ristorante possiamo liberarci da tutte queste briglie? Se mi chiedi un consiglio io sono prontissima a darlo, ma quello che deve prevalere nei momenti di libertà è la gioia di essere se stessi.
Allora proviamo ad abbinare i vini ai sentimenti. Quello per combattere la malinconia?
Io la malinconia la combatto con i tortellini in brodo e un gran bicchiere di Pinot nero di Gottardi. Non c’è niente che sappia di casa così. Per i cosiddetti esperti magari sarebbe un abbinamento tutt’altro che perfetto, ma il calore che ne viene secondo me è impareggiabile.
Quello che predispone all’amore sensuale.
Ah, certamente il Brunello. Perché è un gioco degli opposti, delle parti, tu te lo aspetti forte e invece lo trovi aggraziato o viceversa, immagini una cosa e nella bottiglia se ne svela un’altra. Non è mai uguale a se stesso, ed è sempre sorprendente (e come l’amore, magari a volte pure deludente)
Quello dopo, l’amore.
Un vino marchigiano, per forza. Un Kurni di Oasi degli angeli, Montepulciano al cento per cento con una spinta zuccherina molto importante. Difficile da abbinare, se non con coccole, camino, divano.
Quello contro una brutta delusione.
Ci vuole un vino che sembra femmina ma è tanto maschio. Che ti dà carica. Sicuramente un Verdicchio.
A proposito, dopo che ha fatto outing dichiarando di preferire il Matelica ColleStefano, gli altri produttori di Verdicchio le hanno tolto il saluto?
Qualcuno mi ha tolto l’amicizia su Facebook. Pazienza. È il mio vino del cuore, tutti quelli che lo bevono lo apprezzano, dico tutti, a qualsiasi profondità vivano il vino. Ha una meravigliosa mineralità che io ricerco sempre. E poi Fabio Marchionni, il vignaiolo, lo propone a un prezzo super popolare che è un’altra straordinaria nota di merito, la democraticità è una delle doti che amo nelle bottiglie. Ho assaggiato un suo vino vecchissimo alla cieca e, giuro, pensavo fosse un Riesling. Pensavo di essere in Mosella e invece ero a trenta chilometri da casa. È stato in quel momento che ho deciso: io dovevo essere la bocca delle Marche.
Andreina – Loreto (AN) - via Buffolareccia, 14 (194,44 km) -
071 970124 - http://www.ristoranteandreina.it
a cura di Sonia Gioia