La parabola della cucina giapponese in Italia è passata per il dominio assoluto della triade sushi sashimi e tempura alla successiva scoperta di altre pietanze che molti avevano visto solo nei cartoni animati, senza averne testimonianza diretta fino a quando sono comparsi anche da noi i primi ramen bar. Fu una piccola invasione pacifica che ci ha fatto scoprire dei locali semplici dove mangiare piatti della cucina di tutti i giorni che in Giappone (come in Italia del resto) è fatta di pasta, ravioli, carni e pesci cotti su griglia o piastra, ma soprattutto ramen: il tipico zuppone preparato con un brodo intenso di carne o pesce, arricchito con soia o miso, completato da alghe, verdure, pancia di maiale, germogli, noodles, l'immancabile uovo marinato. Una minestra di cui esistono diverse varianti, a tutti gli effetti una ricetta personalizzabile.
Così abbiamo cominciato a conoscere e apprezzare questo piatto corroborante, perfetto nelle fredde serate piovose. Il passaggio ulteriore è stato quello di farlo nostro, italianizzarlo, fondendo la cultura nipponica e quella italiana, aggiungendo ingredienti o preparazioni italianissime. Lo abbiamo visto succedere anche con altri piatti di origine straniera. L'esempio di gyoza, empanadas o tacos è emblematico: farciti di pollo alla cacciatora o di coda alla vaccinara sono un'intersezione gustosa e per niente fuori fuoco. Così nel tempo qualcuno ha cominciato a fare lo stesso anche con il ramen, reinterpretando la zuppa tradizionale alla luce dei sapori nostrani. Il carbonara ramen ha suscitato qualche perplessità e altrettante lodi, lo stesso le proposte arricchite di verdure di stagione, magari regionali come i tenerumi. E proprio dalla Trinacria arriva una versione sicula del ramen che ci ha convinto moltissimo, ed è quella vista sul profilo Instagram Maccodifavole dove praticamente ogni elemento della zuppa è sostituito da altri siciliani. Secondo noi è da provare.
Il ramen siciliano
Si parte con la parte liquida, ispirata a una variante giapponese di ramen con latte di soia e pasta di sesamo, il tantanmen.
Elemento fondamentale è l'insaporitore che si prepara facendo «scoppiettare» in padella due spicchi d'aglio in olio di semi; tolti gli spicchi si aggiungono 3 o 4 alici, un cucchiaio di concentrato di pomodoro e una cucchiaiata di colatura di alici che dà la nota umami, sempre sul fuoco si aggiungono 4 o 5 cucchiai di burro di mandorle preparato frullando le mandorle tostate (che sostituisce la pasta di sesamo).
Per il brodo servono 200 ml di acqua e 400 ml di latte di soia non zuccherato in cui far cuocere per 20 minuti un mazzo di finocchietto selvatico siciliano.
Al posto della pancia maiale ci sono dei mangia e bevi palermitani, involtini di pancetta tagliata sottile arrotolata intorno a un cipollotto, glassati con una emulsione di olio, limone e miele di agrumi siciliani e poi cotti in forno; mentre gli asparagi selvatici sono semplicemente saltati in padella. L'uovo è barzotto, cotto per 5 minuti e poi passato in acqua ghiacciata per fermare la cottura.
A questo punto l'autore compone il ramen: versa il brodo nell'insaporitore, emulsiona con una frusta e poi procede a comporre il tutto nella ciotola con i noodles (quelli sì, sono i classici giapponesi), posiziona i vari elementi e il cipollotto a finire.
A noi pare davvero interessante: ora non resta che provarla, e attendere la versione «pescetariana» già annunciata.