I wet pub in Irlanda
Nel mondo anglosassone li chiamano wet pub, per distinguerli dai locali dove l’offerta di birre alla spina e la vendita di alcolici è affiancata da una proposta di cucina. Il wet pub – letteralmente pub bagnato – è uno dei simboli della socialità anglosassone, e non serve cibo. Nella Repubblica d’Irlanda, gelosa nel conservare le sue tradizioni, sono circa 3500 le attività che rientrano nella categoria. Le restrizioni anti-Covid, però, potrebbero drasticamente ridurne il numero. Da marzo scorso, quando scattò il primo lockdown nel Paese, i cosiddetti wet pub non hanno ancora avuto l’autorizzazione a riaprire; l’attesa slitta di settimana in settimana, e anche l’ultima data individuata dalle autorità, il prossimo 21 settembre, rischia di rivelarsi un nulla di fatto. Il problema, spiega il Governo ai publican sul piede di guerra, continua a essere l’impossibilità di garantire un servizio sicuro agli avventori, in un contesto sanitario ancora preoccupante, specie per l’elevato numero di contagi che ancora si continuano a registrare a Dublino.
Al pub in Irlanda ai tempi del Covid: solo se consumi anche cibo. La foto simbolo della crisi
Ma le associazioni di categoria, che senza mezze misure prefigurano un “disastro non arginabile” se la riapertura sarà ancora una volta posticipata, insorgono contro il discrimine operato tra wet e food pub: se non c’è stato alcun problema per i secondi, perché non fidarsi dei primi? Sta di fatto che i wet pub irlandesi continuano a detenere il triste primato del lockdown più lungo d’Europa, mentre ristoranti e pub con cucina, nel Paese, hanno riaperto i battenti già alla fine di giugno scorso, seppur sottoposti a regole ferree.
E infatti non ha tardato a fare il giro del mondo la foto scattata dal proprietario di un pub di Galway nel suo locale, qualche giorno fa. Pubblicata dal New York Times – che titola “Un uomo, una pinta e un orologio diventano il simbolo delle regole per la pandemia in Irlanda” – la foto mostra un uomo anziano, seduto da sola al tavolo del pub, con un bicchiere di Guinness bevuto a metà, un piatto di cibo apparentemente intonso e una piccola sveglia azzurra, che l’avventore ha portato con sé per essere sicuro di non sforare il tempo di permanenza all’interno del locale. L’uomo, quindi, rispetta tutte le regole vigenti per consentire la frequentazione di un pub con cucina: ordinare del cibo per poter chiedere una birra (ricordate le misure analoghe introdotte a New York?), mantenere il distanziamento, non trattenersi per più di 145 minuti, e comunque non oltre le 23.30. Ma il regolamento è ancora più minuzioso nel tracciare la via: il consumo di cibo, infatti, deve rientrare nell’ordine di un “pasto sostanziale”, per una spesa che valga almeno l’equivalente di 9 euro. Solo così sarà possibile consumare la propria birra. Misure che modificano radicalmente la fruizione di un pub da parte della maggior parte dei clienti abituali, soprattutto nei piccoli paesi dove spazi del genere sono luoghi di ritrovo per la comunità. A posteriori, lo scatto che è stato caricato da molti di un velo di tristezza, si è rivelato essere più prosaico di quel che è stato fatto credere (la sveglia, per esempio, serviva all’uomo per monitorare l’orario così da tornare a casa in tempo per ascoltare le notizie). Ciò non stempera la preoccupazione di un intero settore, che ha già ricevuto aiuti economici e detrazioni fiscali dal governo irlandese, ma aspetta con ansia di poter recuperare una parvenza di normalità.
a cura di Livia Montagnoli