Arrostita sulla piastra rovente e impiattata calda, con un filo d'olio extravergine e semi di sesamo tostati: è così che la Provola dei Nebrodi dà il meglio di sé. In effetti, però, per apprezzarne il sapore basta accompagnarla con del pane tostato, che esalta perfettamente l'affumicatura tipica della pasta filata. Non sorprende, quindi, che anche per questo rinomato formaggio siciliano -uno dei più importanti della regione- l'Unione Europea abbia dato il via libera all’iscrizione nel registro dei prodotti Dop. Un elenco, quest’ultimo, che conta 1480 generi alimentari europei, fra cui 306 di origine italiana.
La storia della Provola dei Nebrodi
Unica provola stagionata della tradizione casearia siciliana, quella dei Nebrodi rientra di diritto fra i prodotti più pregiati dell’isola. Il nome deriva dall’omonima catena montuosa dell’Appennino Siculo: la storia inizia proprio qui, nei suggestivi borghi circondati dal Parco dei Nebrodi, densamente popolato da suini neri allo stato brado. Secondo lo storico Antonino Uccello, le prime testimonianze di cui si ha notizia sono legate al paese di Florenza; da lì la provola si è gradualmente diffusa nelle aree circostanti, e oggi il disciplinare copre una porzione molto estesa di territorio fra le province di Catania, Enna e Messina.
L'iter per la tutela della Provola
Ma veniamo all’operazione di tutela: l’iter inizia nel 2018, quando un decreto ministeriale stabilisce la protezione transitoria dello storico caciocavallo siciliano entro i confini nazionali. Una svolta importante per garantire l’autenticità di questa eccellenza gastronomica, già Presidio Slow Food e tuttavia soggetta -come altri prodotti non regolamentati- a numerose frodi. Bisogna aspettare un anno, però, per raccogliere i frutti del decreto: solo nell’estate del 2019 il Consorzio di Tutela inizia a lavorare a pieno ritmo e nel mese di luglio, a Randazzo, avviene la prima marchiatura ufficiale della provola, che per fregiarsi del riconoscimento deve superare il test dell’Ente Certificatore di Messina.
Il marchio Dop dell’Unione Europea
La burocrazia ha i suoi tempi, si sa. Ma oggi l’iter per il riconoscimento di questa specialità siciliana si è velocizzato, e l’Unione Europea ha finalmente preso posizione in merito: “La Provola dei Nebrodi è uno dei formaggi più antichi della Sicilia”, spiega la Commissione europea in una nota, aggiungendo che "l'esperienza e il know-how del casaro sono fattori determinanti per la qualità e l'unicità del prodotto". Ed è grazie alla tenacia dei piccoli produttori, che i paesi della Sicilia orientale hanno conservato fino a oggi la memoria di un sapere antico, tanto complesso quanto prezioso per le comunità locali. A sottolinearlo anche la ministra delle politiche agricole ambientali e forestali Teresa Bellanova, in un discorso pronunciato per l’occasione: “È un importante riconoscimento, non solo dell'altissima qualità del nostro Made in Italy ma anche del valore fondamentale delle nostre tradizioni agroalimentari. Complimenti a chi ci ha creduto e oggi vede premiato l'impegno e il lavoro".
Tutto sulla produzione dello storico formaggio siciliano
Iniziamo dai fondamentali: la Provola dei Nebrodi può essere realizzata solo con latte bovino intero crudo e caglio in pasta di agnello o capretto. Esiste anche una versione con aggiunta di limone verde, come vedremo fra poco, ma è l’unica eccezione contemplata dal disciplinare. La particolarità della lavorazione consiste soprattutto nell’uso di strumenti tipici in legno -dalla tina per la caseificazione alla manuvedda per la filatura- che favoriscono lo sviluppo di microorganismi batterici autoctoni. Grazie a questa flora casearia unica nel suo genere, il formaggio acquista sfumature di sapore e aromi ben riconoscibili.
La lavorazione della provola dei Nebrodi
Ma come avviene la lavorazione? Il processo segue lo schema di un ciclo giornaliero, che inizia la sera con il filtraggio del latte ottenuto dalle vacche di razza Siciliana, inserito in un serbatoio refrigerato per l’intera notte. La mattina, dopo aver aggiunto al latte del giorno precedente quello appena munto e il caglio ovino, si porta il liquido a una temperatura di circa 38 °C: è in questa fase che avviene la coagulazione. Altri passaggi importanti sono la rottura della cagliata con la ruotula, attrezzo in legno che la riduce alle dimensioni di un chicco di riso, e il riposo sul tavuliere -anch’esso ligneo- dopo la scottatura in acqua calda, tra i 65 e i 70° C e prima della filatura. Conclusa la filatura, il casaro modella la pasta “a forma di pera”, ricorrendo all’antica tecnica manuale della ncuppatina, e sigilla la provola con la saldatura in siero bollente. A questo punto è quasi pronta per la stagionatura: nel frattempo, la si immerge in acqua fredda e poi in salamoia per non più di 24 ore.
Le caratteristiche della Provola dei Nebrodi
Di provola ce n’è più di una. O meglio: esiste in versione fresca, stagionata, sfogliata e con limone verde. Solo la prima, di piccole dimensioni, presenta la forma “a fiasco” ottenuta con la ncuppatina, mentre le altre hanno sagoma ovale con un piccolo collo nella zona superiore e possono raggiungere i 10 Kg di peso. Altra differenza: la pasta si fa sempre più compatta man mano che aumenta il grado di stagionatura, che conferisce al prodotto un retrogusto piccante. La Provola dei Nebrodi fresca, invece, presenta una consistenza morbida e un sapore piacevolmente dolce. Le varie tipologie sono accomunate dalla crosta liscia e sottile, dalle note di latte, erba e burro (facilmente percepibili al momento dell’assaggio) e dal profumo fruttato; la superficie ha un colore tendente al giallo, più acceso in caso di stagionatura prolungata. Quest’ultima, spesso, determina anche la sfogliatura del formaggio: sfaldandosi in lamelle, la pasta assume una conformazione particolare, enfatizzata dal sentore deciso di funghi e fieno. Un aroma ben diverso rispetto a quello della Provola dei Nebrodi al limone verde, che si distingue per la nota agrumata di fondo e la struttura soffice, ammorbidita dal frutto incorporato nella pasta. Qui non serve nemmeno accendere la piastra: gustatela fresca per apprezzare il contrasto tra la freschezza del ripieno e la burrosità del formaggio. Una Dop nuova, di tradizione antica, ma tutta da scoprire.
a cura di Lucia Facchini