Giorni complessi sul fronte americano, non solo in campo elettorale. Nella stessa giornata delle elezioni presidenziali, infatti, la California ha approvato la misura di voto Proposition 22, uno statuto interno che penalizza fortemente le condizioni lavorative dei dipendenti delle società di trasporto e delivery, primi far tutti taxisti e rider. Non sorprende, quindi, che il tema abbia rinfocolato il dibattito fra attivisti sociali, testate giornalistiche e opinion leaders in tutti gli Stati Uniti (dove il comparto della ristorazione sta attraversando una fase critica: trovate tutti gli aggiornamenti qui). Anche perché l’iniziativa, accolta con il 58% dei consensi, è stata supportata dalla campagna di voto più costosa della storia dello stato americano.
Chi c’è dietro alla Proposition 22?
La proposta è nata su iniziativa (e massiccio finanziamento) delle maggiori società tecnologiche della Silicon Valley quali Uber, Lyft, DoorDash e Instacart, che hanno presentato un disegno di legge per far figurare i propri lavoratori come appaltatori indipendenti, esclusi dalle garanzie di tutela a favore della categoria. Un furbo espediente per aggirare la legge AB5, provvedimento introdotto nel 2019 che finora aveva assicurato ai conducenti un compenso dignitoso per il servizio svolto, pur con tutte le criticità del caso, dato che i rider tendono a subire pressioni maggiori rispetto alla media dei dipendenti nel settore della ristorazione. Ma adesso lo scenario si complica: Proposition 22 minaccia di cancellare con un colpo di spugna tutti i loro diritti, dal salario minimo all’indennità di disoccupazione, fino all’assicurazione sanitaria. Da adesso in poi, le aziende titolari delle app per trasporto automobilistico e cibo a domicilio più diffuse in America adotteranno uno statuto a sé. Ma come hanno fatto a raggiungere una maggioranza schiacciante al ballottaggio?
Proposition 22: testo ingannevole e rischi per i riders
Analizzando il testo della nuova misura si individuano disposizioni volutamente ambigue. Qualche esempio? Il compenso viene fissato al 120% del salario minimo, ma copre solo gli spostamenti compiuti con i pacchetti di cibo da recapitare a domicilio (o con i passeggeri a bordo, parlando dei taxi). Ciò significa che, se il rider rimane nel traffico al termine di una consegna con il mezzo di trasporto vuoto, quel lasso di tempo non è retribuito. La tariffa oraria, poi, cala da 57 a 30 centesimi per miglio, e l’indennizzo in caso di infortuni è soggetto a numerose limitazioni, mentre l’AB5 aveva introdotto il sistema della “copertura senza colpa” che rendeva il risarcimento dei danni pressoché obbligato. Non pervenuti il congedo familiare retribuito, il compenso di disoccupazione e i giorni di malattia pagati. Va sottolineato anche che la legge del 2019 offriva protezioni esplicite contro la discriminazione degli immigrati. Come si può facilmente, immaginare, invece, nel teso redatto dalle società della Silicon Valley non c’è traccia di garanzie al riguardo.
Che conseguenze avrà la proposta di Uber?
Uber e Lyft erano stati già ammoniti da un’ordinanza del tribunale californiano lo scorso agosto per aver violato il protocollo AB5, e avevano risposto con la minaccia di abbandonare lo stato. Da qui il degenerare della situazione. Il rischio, comunque, è che l’iniziativa si diffonda a macchia d’olio in tutti gli Stati Uniti. "Uber e Lyft, dopo aver trionfato in California, pensano di poter vincere lotte politiche nel resto degli stati, e quindi di avere la meglio in Congresso", ha affermato Robert Reich, professore di politiche pubbliche alla UC Berkeley ed ex segretario del lavoro nell'amministrazione Clinton. "Se accadrà, moltissimi datori di lavoro in tutto il paese classificheranno i loro dipendenti come lavoratori autonomi. Ciò garantirà enormi vantaggi agli imprenditori della gig economy, mentre i conducenti, non ottenendo la previdenza sociale o altre protezioni sul lavoro, saranno fortemente svantaggiati".
Per approfondire ecco un articolo di Eater San Francisco sulla Proposition 22
A cura di Lucia Facchini