Il tedesco con la birra in mano, l'italiano che beve una tazzina di caffè, saranno anche cliché ma dimostrano come alcuni alimenti o bevande sono diventati il simbolo di un Paese. Rassicuranti e identitari, ci si affida a loro con sicurezza, come alle ricette della nonna. Diventano però spesso anche argomenti sensibili: guai a toccarli, a partite dal prezzo. Dobbiamo parlare della tazzina di caffè espresso in Italia? Parliamone, anzi partiamo da qui. Negli ultimi tre anni è aumentata del 15%, come diligentemente ci ricorda Assoutenti, arrivando a sfiorare 1,20 euro a tazzina. Non importa poi se sfidiamo chiunque a trovare qualcosa che non sia aumentato negli ultimi tre anni (è l’inflazione, baby).
Che il prezzo in Borsa della Robusta, la specie immancabile in quasi tutte le miscele italiane, è praticamente raddoppiato (del 90%) e quello dell’Arabica è salito del 55%. Che gli eventi avversi causati dall’emergenza climatica hanno devastato le piantagioni in Vietnam e in Brasile.
Perché la tazzulella nostra è come la Vergine Maria, deve essere immacolata e intoccata da volgari questioni di mercato, di qualità o di aumento del costo del lavoro. Deve arrivarci sul bancone, nera e fumante, al solito prezzo di sempre, ovvero basso, bassissimo, tra i più bassi d’Europa (fa eccezione solo il Portogallo). Perché è un prodotto nazional popolare che tutti si devono poter permettere, anche se ormai tutti hanno a casa la macchinetta con le capsule che si comprano senza batter ciglio, senza far tante storie, magari inquinando il Pianeta ma, eh, pazienza.
È una questione che va avanti da anni, questa del prezzo della tazzina, e a ogni aumento non c’è associazione dei consumatori che non gridi allo scandalo e alla speculazione.
Ci siamo chiesti: ma siamo solo noi a vedere le cose così, o ogni Paese ha un prodotto che viene considerato un po’ come un ammortizzatore sociale, che convoglia su di sé tutte le ansie e le ubbie e le frustrazioni di un’economia in declino? Ed eccole a voi, le tazzulelle degli altri.
Corea del Sud, la protesta dei cipollotti
Può l’umile cipollotto diventare un simbolo di lotta politica? Può eccome, anzi è successo in Corea del Sud in occasione delle ultime elezioni di aprile. È successo che il premier conservatore Yoon Suk Yeol per dimostrare vicinanza al popolo preoccupato dall'aumento dei prodotti agricoli (aumentati in un solo mese, da febbraio a marzo, del 20%) ha deciso di visitare un supermercato, con stampa al seguito. E ha scelto proprio cipollato, fondamentale elemento della cucina coreana, per gettare acqua sul fuoco, trovandone alcuni a prezzi tutto sommato ragionevoli e brandendoli a favore delle telecamere. Peccato che i cipollotti presi ad esempio fossero soggetti a una super promozione, con un prezzo tre o quattro volte più basso del reale.
I sulfurei vegetali sono dunque immediatamente diventati protagonisti di meme e sfottò, ma anche simbolo dell’opposizione al partito di governo. Tanto che ne è stato esplicitamente vietato loro l’accesso ai seggi, e non per il loro pungente aroma. «Poiché i cipollotti possono essere considerati una forma di espressione politica, se un individuo tenta di portarli all'interno del seggio elettorale, gli verrà consigliato di riporli in un luogo adeguato all'esterno», si legge nelle istruzioni della Commissione elettorale nazionale riportate dal Korea Times. Detto fatto, il partito di Yoon Suk Yeol ha perso rovinosamente le elezioni, stravinte dai democratici che hanno guadagnato quasi i due terzi dei seggi in Parlamento.
Come dire: con i prodotti identitari non si scherza.
Germania, dove la birra costa meno dell’acqua
Il prodotto simbolo della Germania? Facile, è la birra. Che fino a qualche anno fa costava meno dell’acqua. La cosa deve essere sembrata poco bella perché stiamo comunque parlando di un prodotto alcolico che qualche danno alla salute lo fa. Per questo nel 2002 è stata emanata una legge, che obbliga bar e ristoranti a offrire almeno una bevanda analcolica allo stesso prezzo della bevanda alcolica più economica (ovvero la birra). Legge che però secondo, alcune associazioni, viene spesso disattesa.
Il prezzo della birra resta comunque assai basso: 3,60 euro a pinta, meno di praticamente tutti i Paesi dell’Europa occidentale (non della Ue), a parte il solito Portogallo . Sarà perché in certi casi la storia insegna: nel 1844 in Baviera a seguito di una tassa imposta sulla birra ci fu una vera e propria (e inusuale per il Paese) rivolta popolare, terminata solo dopo che il re Ludovico I decise di abbassare il prezzo del 10%. Forse memore di quel che successe nella vicina Francia nel 1789 con l’aumento del prezzo del pane, che fu quanto meno in Occidente e per secoli il principe degli ammortizzatori sociali.
USA, toccatemi tutto ma non il mio hamburger
Non sarà il cibo più sano del mondo, ha un nome che di americano ha ben poco ma non ci sarebbe la terra della libertà senza un panino con hamburger. Negli Stati Uniti nel 2023 c’erano 84.316 locali specializzati, in aumento dello 0,2% dal 2022 (dati IbisWorld). Tra le principali catene c’è Wendy’s, seconda dopo McDonald’s per vendite e terza per punti vendita dietro a Burger King.
Proprio Wendy’s a fine febbraio è stata oggetto di una rivolta moderna, quella che ha luogo sui social media, dopo avere annunciato di voler applicare dal 2025 “prezzi dinamici” ai suoi burger, ovvero cambiarne il prezzo a seconda della fascia oraria. Vuoi il panino all’ora di pranzo, o cena, come è ovvio che sia? Lo pagherai di più. O comunque, così la cosa è stata percepita. Ed è piaciuta così poco ai numerosi clienti, molti dei quali hanno annunciato un boicottaggio dell’insegna, che la compagnia ha deciso di fare un passo indietro, ritirando l’idea. E arrivando addirittura a lanciare una promozione di un mese con i panini al prezzo di un dollaro (0,93 euro) l’uno, yes, perfino meno della maggior parte delle nostre tazzine di caffè. Perché per il panino identitario a stelle e strisce non basta che il prezzo sia basso, ma deve essere anche certo e senza sorprese. Vi ricorda qualcosa?