L’aumento del prezzo del caffè espresso dopo la riapertura
“È un vero e proprio scandalo che commercianti ed esercenti scarichino i mancati guadagni e i maggiori costi legati al Coronavirus sui consumatori finali”. Così il presidente del Codacons, Carlo Rienzi, ha commentato le segnalazioni ricevute dai consumatori sui prezzi dell’espresso al bar dopo la riapertura, aggiungendo che “speriamo si tratti di situazioni isolate, e che gli esercenti non decidano in massa di ritoccare i listini per rifarsi dei minori guadagni e dei costi di sanificazione dei locali". Commenti dal quale l’Istituto Espresso Italiano ha immediatamente preso le distanze, ricordando che il prezzo della tazzina in Italia è fra i più bassi in Europa. E così ci risiamo: un’altra battaglia del Codacons portata avanti senza approfondimento e senza costrutto, per mostrarsi in prima linea contro un qualcosa che non è affatto un problema, anzi paradossalmente il problema è il contrario: in Italia il costo della tazzina è troppo basso e questo crea problemi a tutti, nessuno escluso. Il caffè – lo abbiamo ripetuto più volte, già in occasione dello scandalo, di nuovo sostenuto dal Codacons, scoppiato in seguito all’apertura dello Starbucks Reserve Roastery di Milano, che ha subito (giustamente) proposto l’espresso a 1,80 Euro – è un prodotto che merita di essere considerato e valorizzato al pari di tutti gli altri.
L’aumento del prezzo dell'espresso e il valore del caffè in Italia
Urge sempre di più un cambio di mentalità: quello della tazzina al bar è un rituale sacro, certo, ma non può più essere meramente un’abitudine ripetuta nel tempo senza consapevolezza alcuna. In Italia si tende a consumare l’espresso quasi come fosse una sorta di medicina, un prodotto che crea dipendenza e che aiuta il risveglio al mattino: il gusto, la selezione, la corretta estrazione importano fino ad un certo punto. Quello che vince è la rapidità di consumo e il prezzo stracciato che permette una ripetizione di ‘dosi’ durante l’arco della giornata: beh, utilizziamo l’era del “new normal” in arrivo per cambiare tutto. Se non ora, quando?
È tempo, insomma, di consumare caffè in maniera più ragionata, senza per questo tralasciare il piacere dell’atto in sé, ma tenendo conto che si tratta di un alimento, di un prodotto agricolo (il caffè è una pianta, anche se spesso si tende a dimenticare questo dettaglio), che come tale ha la sua filiera produttiva, che coinvolge coltivatori, raccoglitori, manodopera in fin troppi casi sfruttata e sottopagata. Costi di trasporto, di lavorazione (parte tutto da una drupa, una ciliegia, all’interno della quale si trovano i semi crudi, verdi, che solo dopo iniziali processi accurati di lavorazione vengono spediti e tostati, per essere infine macinati e trasformati nella bevanda che tutti conosciamo), senza contare tutti i macchinari – dalla macchina tostatrice a quella espresso – necessari per la realizzazione di un “semplice” caffè espresso. Per quale motivo su tutti - ma veramente su tutti - i fronti ci stiamo spostando su consumi più etici e consapevoli mentre sul caffè vogliamo continuare a fare come si è sempre fatto?
Il prezzo del caffè in Italia
Inutile dare la colpa alla crisi economica post Covid: il basso prezzo del caffè in Italia è un problema serio contro il quale professionisti e addetti ai lavori si battono da anni. Una questione paradossale, se non grottesca, considerando che l’espresso è da sempre uno dei simboli made in Italy nel mondo, una bevanda creata e sviluppata nella Penisola, che ancora oggi è fra i pochi Paesi al mondo a non riconoscerne a pieno il valore. Si continua ad assistere a un livellamento verso il basso con tanto di corsa a chi chiede meno, anziché a un processo evolutivo logico e doveroso (del resto, 100 caffè espresso di qualità mediocre al mese da 90 centesimi – attuale prezzo medio in Italia – portano esattamente lo stesso guadagno di 50 buoni caffè da 1,80 Euro, con benefici per tutti, soprattutto la parte più debole del comparto, gli agricoltori in piantagione: e nessun esborso in più).
Il caffè post Covid-19: è tempo di cambiare
Non è questo il momento di scandalizzarsi per l’aumento dei prezzi, non ora che finalmente dopo mesi di chiusura in cui si è potuto contare solo sul delivery si può ricominciare, a piccoli passi, adattandosi a norme di sicurezza necessarie ma non sempre facili da mettere in pratica, e che comportano comunque un passaggio, o perlomeno lo stazionamento, di molti meno clienti rispetto alla norma. È invece il tempo di cogliere al volo questa fase di cambiamento e prendere coscienza del fatto che pagare 1 Euro o addirittura meno per una tazzina è un’abitudine insostenibile per tutti, dai coltivatori al piccolo imprenditore che gestisce un bar. Questa rinascita del settore della ristorazione, seppur lenta e graduale, è un’opportunità preziosa per portare il prezzo a livelli più adeguati, dando così la possibilità ai locali di investire maggiormente sui chicchi, sulle macchine ma soprattutto sulla formazione del personale, che ha il compito di servire la bevanda ma prima ancora raccontarla, spiegarla, facendo luce sul complesso universo caffeicolo.
Il caffè non è una commodity
Il settore del caffè necessita di una rivoluzione, proprio come è successo in altri comparti: tanti prodotti considerati commodity, dallo street food – prima un cibo popolare fatto con ingredienti di qualità basica venduti a prezzi bassissimi – alla birra passando per il pane, hanno saputo evolversi nel tempo, trasformarsi, senza per questo diventare elitari. Ricerca, cura maniacale della qualità, tracciamento della filiera, trasparenza: sono ormai elementi chiave per qualsiasi alimento. Ma non per il caffè che nella concezione di molti consumatori sembra invece destinato a rimanere immobile, un qualcosa di immutato e immutabile, che non può migliorarsi e neanche differenziarsi: siamo abituati a trovare l’espresso più o meno allo stesso prezzo (spesso anche con lo stesso gusto) ovunque.
Aumentare i prezzi, per aumentare la qualità
Un concetto che avrebbe dovuto cambiare tempo fa e che ora, sfruttando questo strano periodo, può farlo, con l’aiuto di tutti, dai piccoli ai grandi bar passando per gli imprenditori e le torrefazioni, quelle di nicchia tanto quanto quelle dai grandi numeri, arrivando fino ai produttori di macchine che spesso sono eccellenze assolute italiane, con il supporto della stampa (essenziale in questo momento; non è un caso se il Gambero Rosso compila da decenni l'unica Guida dei Bar d'Italia) e una buona dose di apertura mentale da parte dei clienti. Continuare con questo livellamento verso il basso oggi più che mai è un’operazione pericolosa, in vista oltretutto di condizioni economiche sempre più instabili e del costante aumento di contagi Covid-19 in alcuni dei maggiori Paesi produttori come il Brasile o l’India. È auspicabile che il prezzo cambi proprio ora, naturalmente solo se si cambiano anche le vecchie abitudini commerciali. Alzare i prezzi è giusto quindi, ma lo si deve fare solo applicando lo stesso innalzamento alla qualità del servizio offerto: si aumenta perché, così facendolo, possono esserci i presupposti per beneficiarne in qualità, esperienza e comunicazione. Un’operazione non solo legittima, ma doverosa, per rispetto di chi quella materia prima la lavora, dell’ambiente in cui nasce e cresce (sostenibilità è ormai, comprensibilmente, la parola chiave per qualsiasi ristoratore che si rispetti, e deve esserlo sempre di più anche per torrefazioni e baristi), e anche del consumatore che ancora non riesce a percepire questo bisogno, ma che che va aiutato a capire.
“Tra qualche anno pagare una tazzina di espresso una cifra più etica e sostenibile potrebbe non essere più considerato uno scandalo o un attentato alle libertà personali come viene percepito ora in Italia”. Era l’auspicio con cui concludevamo le nostre riflessioni nel settembre 2018, poco dopo la denuncia del Codacons (ancora loro!) all’Antitrust per i prezzi di Starbucks. Sono trascorsi due anni e la situazione non si è ancora sbloccata. Tuttavia, non demordiamo! Siamo convinti che, presto o tardi, anche il caffè avrà la sua rivalsa e verrà finalmente considerato per quello che è: un alimento su cui investire, su cui non lesinare. Come un litro di olio extravergine di oliva, come una bottiglia di vino o un pezzo di Parmigiano. Da scegliere con giudizio e pagare a un prezzo che sia equo e dignitoso per l’intera filiera.
a cura di Michela Becchi e Massimiliano Tonelli