Potenza è il cuore della Lucania, con un centro storico popolato da decine di attività, spesso a gestione familiare, dove si esaltano le materie prime e si custodisce la tradizione, con la pasta fatta a mano, peperone crusco, baccalà o maiale nero. Ma la città, nonostante i suoi ritmi lenti e le sue abitudini radicate, ha tanta voglia di nuovo e un pubblico curioso e ricettivo. “Se prima il ristorante era un prolungamento del pranzo di famiglia” spiega Massimo Carleo, chef del Massimo Carleo Home Restaurant “oggi si vive come esperienza a sé, dove scoprire un ingrediente sconosciuto o un modo inedito di valorizzare le materie locali. L’approssimazione ha lasciato il posto a studio, ricerca, tanto impegno quotidiano, e i clienti lo capiscono. E dove prima c’era competizione, oggi tra colleghi si dialoga e si fa sistema, per crescere insieme, lavorando fianco a fianco con i piccoli produttori del territorio”.
Inoltre, Potenza ha sempre avuto un rapporto molto stretto con il vino: leggenda narra, come racconta il sindaco Mario Guarente, che ci siano più cantine che cantinieri perché la città fino ai primi decenni del Novecento era circondata da ulivi e vigneti e ogni famiglia disponeva di uno spazio dedicato alla produzione e alla conservazione del vino. Inoltre, essendo il capoluogo più alto d’Italia con inverni piuttosto rigidi, le cantine erano lo spazio sociale per eccellenza, dove si firmavano gli atti notarili e si registrava la maggior parte dei reati.
Frizzuli con ‘ndruppeche: fusilli al ferretto di semola di grano duro e acqua conditi un ragù di braciole di maiale e bocconcini di vitello, completati con pane raffermo grattato e saltato in padella con polvere di peperone crusco.
Lagane e ceci: dette anche “piatto dei briganti”, tradizionalmente a base di acqua e farina, sono piccole fettuccine condite con i legumi, una volta cotti un giorno intero nella “pignatta” con gli odori e il peperone crusco di Senise.
Raschiatelli con la mollica: sembrano gnocchi, in realtà sono a base di semola di grano duro e acqua tiepida, che dà morbidezza. Dopo aver diviso l’impasto in cilindri, si fanno a tocchetti e si “cavano” sulla spianatoia. Per poi “finirli” in un intingolo di aglio, olio, peperone secco dolce e mollica sbriciolata.
Strascinati co lo ‘ndruppeche: sorta di grandi orecchiette modellate a mano, tradizionalmente con quattro o più dita. Il condimento classico è col cosiddetto “ragù all’intoppo”, cotto lentamente e a base di manzo e salame pezzente, che conferisce il caratteristico aroma dato dal peperone secco.