Il pollo arrosto, con la sua deliziosa pelle croccantina un po’ untuosa e l’aroma di rosmarino, è un piatto che per molti di noi ha un posto nel cuore. L’abbiamo amato fin da piccoli, perché le cosce si potevano agguantare con le mani e rosicchiare leccandosi le dita, e poi ad accompagnarle c’erano tutte quelle patate nella teglia che da sole non sarebbero mai state così buone. Poi però capita che pensi che prendere un pollo intero da arrostire sia troppo, lo spiedo non entri nel forno di casa, la fettina di petto che ti ha voluto vendere il macellaio risulti asciutta e banale e finisci per rinunciare a comprarlo perché non ti darebbe alcuna emozione.
Pensiamo ora alle note speziate e delicatamente affumicate del pollo tandoori, al richiamo umami della glassatura degli spiedini con la salsa teriyaki, al gusto piccante e deciso dei bocconcini saltati nel wok, al profumo del lemon grass e alla dolce cremosità del latte di cocco della zuppa di pollo a riequilibrare le note pungenti dei peperoncini freschi. In Asia, diciamocelo pure, il pollo è interpretato con molta più fantasia.
Yakitori e tsukune, spiedini e polpette dal Sol Levante
In Giappone ci sono locali specializzati esclusivamente in spiedini di pollo (yakitori), perché è un’arte prepararli al meglio. Ne esistono di tutte le parti: cosce, petto, pelle, cuori, perfino interiora. Un grande classico comunque sono le sovracosce, disossate ma con la pelle, da tagliare in cubetti di 2 cm e infilare su spiedini di legno non troppo lunghi (da cocktail è l’ideale) e tenuti precedentemente a bagno per evitare che si brucino in cottura. Alternateli se volete a pezzi di cipollotto e salate leggermente.
Per preparare le polpettine (tsukune) invece mescolate del macinato di pollo non troppo magro (anche qui andranno bene le sovracosce), con abbondante cipollotto (incluso la parte verde chiara), un po’ di sale e maizena. Formate poi delle polpettine tonde oppure un composto più a forma di salsicciotto da comprimere sul bastoncino.
Il barbecue o la piastra in ghisa sono perfetti per la cottura. Sulla griglia ben calda appoggiate yakitori e tsukune leggermente oliati. Condite con semplice sale o spennellate con la salsa teriyaki, che potete trovare già pronta o preparare facendo sobbollire e restringere salsa di soia, sake e mirin. Nelle case giapponesi si cucina però spesso anche in padella con altrettanto ottimi risultati. Scaldate un po’ d’olio e dopo una vivace rosolatura degli spiedini o delle polpettine su entrambi i lati sfumate con il sake a fuoco alto per un minuto, infine versate il mirin e la salsa di soia ed addensate a temperatura più bassa facendoli saltare per una perfetta glassatura.
Le note aromatiche e pungenti della cucina thai
Assieme al maiale, il pollo è una delle carni più presenti nella cucina thailandese. Nella famosa zuppa Tom Kaa Gai il petto di pollo a fette viene bollito in un brodo vegetale aromatico, preparato con lemongrass, galanga, pomodori e funghi, e reso cremoso e piccante dal mix di latte di cocco e peperoncini thai.
Un piatto popolare di street food è il Phad Kaprao Gai, riso con il pollo sminuzzato e fritto nel wok con aglio, peperoncino e foglie di basilico thai, assieme a salsa di soia, di ostriche e di pesce fermentato. È anche uno dei piatti più cucinati nelle mura domestiche, tanto che alcuni dei ragazzi sopravvissuti nella grotta allagata di Tham Luang Luang hanno raccontato che lo sognavano di notte. Spesso pezzetti di petto di pollo si aggiungono al famosissimo Pad Thai o si infilzano sugli spiedini di legno nel Satay di pollo, da grigliare e ricoprire con una salsa a base di arachidi e latte di cocco.
Il pollo è poi uno degli ingredienti più comuni che accompagnano le tre famiglie di curry alla base della cucina thai: curry rosso, curry verde e curry giallo, tutti piccanti e speziati, caratterizzati dall’uso di galanga, keffir lime, semi di cumino e lemongrass, e resi cremosi dal latte di cocco. Quello verde è il più pungente e popolare, include peperoncini verdi freschi, melanzane o broccoli, coriandolo e basilico. Il curry rosso, molto piccante anche lui, prende il suo colore dai peperoncini rossi freschi. Quello giallo, con curcuma, cumino e le patate a stemperare il peperoncino, ricorda un po’ alcuni curry indiani.
Due polli piccanti dalla regione cinese dello Sichuan
Dalla cucina dello Sichuan ci arrivano due ricette che piaceranno a chi ama avere le papille infuocate. Il pollo “acquolina in bocca” (in cinese letteralmente "saliva di pollo", ma a salivare è chiaramente chi lo mangia) è un’insalata di pollo piccante perfetta per le serate estive. Il pollo a pezzi va bollito (con zenzero, cipollotto, anice stellato, pepe di Sichuan), fatto raffreddare, disossato e poi condito con un olio piccante al peperoncino, preparato versando dell’olio di arachidi bollente su una ciotola con cipollotto tritato, paprika piccante e pepe di Sichuan. Una volta raffreddato leggermente va miscelato con semi di sesamo, salsa di soia e salsa d’ostriche. Il pollo è poi servito con una croccante granella di arachidi e foglie di coriandolo.
Il pollo kungpao o gongbao è una delle ricette cinesi della regione dello Sichuan più note in Occidente. Prende il nome da Ding Baozhen, ufficiale a corte responsabile della sicurezza del principe (titolo anche detto “gong bao“ in breve) durante la dinastia Qing. Il nome venne cancellato durante la rivoluzione culturale maoista trasformando in un semplice “pollo piccante”.
Il petto di pollo tagliato a cubettini va marinato con salsa di soia (chiara e scura), amido di mais, salsa di ostriche e olio di girasole. Va fatto sfrigolare nel wok e messo da parte. Si tagliano a dadini le verdure (cipollotto in primis, c’è chi ci aggiunge i peperoni o i friggitelli) e saltato nel wok con olio, peperoncini sminuzzati, zenzero e aglio tritati. Quindi il pollo torna a saltare nel wok con le verdure e si aggiunge una salsa composta con le due salse di soia, vino di riso, zucchero, aceto balsamico e amido di mais. Appena la salsa è diventata setosa e ha velato carne e verdure, a fuoco più basso si aggiungono anche le arachidi non tostate per gli ultimi salti finali.
Come avvicinarsi al pollo tandoori anche senza tandoor
Chi non ha mai sentito parlare del pollo tandoori? Nacque per caso grazie ad un cuoco di Peshawar che si ritrovò a cucinare un pollo nel tandoor, l’antico forno d’argilla cilindrico a forma di campana rovesciata (le cui origini si perdono nei tempi, oltre il 3000 a.c.), con alla base legna o carboni e che si usava normalmente per cuocere il pane naan schiacciandolo alle sue pareti. La sua popolarità è dovuta però all’intraprendenza e alla mobilità della popolazione del Punjab, che lo utilizzava come forno comunitario.
Difficilmente a casa abbiamo un forno tandoor, i fortunati possessori di un barbecue Kamado come il Green Egg sono avvantaggiati per ottenere l’aroma delle braci, ma con qualche accortezza è possibile anche utilizzare un forno tradizionale.
Dal pollo tagliato a grandi pezzi, va eliminata la pelle e vanno praticate delle profonde incisioni per far penetrare le due marinature. La prima più veloce con succo di lime, pasta di zenzero e di aglio tritati e peperoncino, la seconda di almeno due ore con yogurt greco, olio di semi e abbondante tandoori masala. Se al suo posto trovate invece il più comune garam masala, aggiungete peperoncino e fieno greco. Se poi volete essere puristi e fare come si fa in India, preparate da voi la miscela al mortaio, ma siate pronti a procurarvi una bella lista di ingredienti: peperoncino, coriandolo, chiodi di garofano, cardamomo, fieno greco, cannella, paprika, cumino, anice stellato e zenzero. Trovare le giuste dosi del masala è questione di gusto ed esperienza, ogni famiglia e ogni chef indiano conserva gelosamente la sua ricetta.
Cucinate nel barbecue usando uno spiedo per sgocciolare l’eccesso di marinatura oppure, se usate il forno, posizionate il pollo sulla graticola, arrostite a 210 gradi per 40 minuti circa e nella fase finale spennellate di burro chiarificato e passate alla funzione grill. Un perfetto risultato si ottiene anche passando il pollo prima ai fornelli su una piastra di ghisa caldissima spalmata di burro chiarificato e poi terminando la cottura in forno.