Un sodalizio nato in un bar a Piazza del Popolo sorseggiando un Negroni, quello tra l'imprenditore Alfredo Romeo e lo chef francese Alain Ducasse, il quale inizialmente doveva occuparsi della sola apertura romana – prevista in via di Ripetta dopo l'estate con l'executive chef Stéphane Petit – ma che presto si è lasciato coinvolgere dall'esuberanza dell'imprenditore in un'avventura napoletana (e presto lo vedremo pure a Massa Lubrense): il ristorante di Ducasse arriva al nono piano del Romeo Luxury Hotel. A tenere le redini della cucina sarà Alessandro Lucassino, di Follonica, al fianco dello chef francese da dodici anni, con lui ha studiato un menu “franco-italo-mediterraneo” con i classici di Ducasse rivisti attraverso i prodotti del posto (lo abbiamo raccontato qui). Nel menu alla carta niente pasta - «quando avremo imparato a farla, la metteremo nel menu», scherza Ducasse durante la conferenza stampa - c'è solo un'incursione nel degustazione con il raviolo di foie gras d’anatra e consommé di pollo. Ampio spazio alle portate di pesce, dal filetto di triglia con tapenade (salsa provenzale con olive, capperi, aglio e acciughe) zucchine e fiori, al San Pietro in brodo di pesce di scoglio e agretti, al famigerato granchio blu, qui valorizzato con fagioli bianchi di Controne e chinotto. E poi il filetto di vitellone dell’Appennino centrale con funghi di bosco e foglie di cappero o il classico piccione (di Laura Peri) con le ciliegie. «Un menu che incarna la cuisine de la naturalité», racconta Ducasse. Sono stato sedotto dalla generosità di questa terra e dei suoi prodotti e, credetemi, non siamo venuti qui con l'arroganza tipica della cucina francese».
Chef, dopo tutto quello che ha cucinato e fatto, la “diverte” ancora cucinare?
Sì. Quello che non mi diverte è fare il Commis, a casa lo devo fare perché mia moglie non vuole farlo. La cucina è per il 70% lavoro di preparazione, tra tagliare la verdura o sfilettare il pesce, e per il 30% lavoro piacevole.
A che età ha potuto dedicarsi solo a quel 30%?
Quando sono diventato chef. È per questo che mi sono sbrigato a diventare chef, quando si diventa chef si è il front man, ma è tutta la brigata a manovrare la nave.
Anche se non è la prima volta in Italia – è stato per dieci anni in Toscana, da L'Andana Tenuta – come si sente a inaugurare un ristorante qui? La sta vivendo più come sfida o come un'opportunità per “divertirsi” ancora?
Dopo aver chiuso in Toscana mi ero detto: mai più! Non aprirò mai più un ristorante in Italia.
È finita male?
Assolutamente no, ma c'è troppa competizione in Italia.
Anche in Francia c'è competizione.
E perché cercarla pure in Italia?
Ritorniamo alla domanda di prima: aprire un ristorante a Napoli è una sfida o un'opportunità per “divertirsi” ancora?
La seconda, mi sto divertendo. Da Romeo c'è una location unica, con la possibilità di reperire prodotti altrettanto unici, dalla terra e dal mare. Poi se riusciamo a sedurre il pubblico napoletano sarà una grande soddisfazione per noi.
Ad un certo punto della sua carriera è riuscito a mantenere tre stelle in tre ristoranti. C'è una formula per mantenere o ricevere la stella Michelin?
No.
Sincero?
Sì. Se non si ottiene la stella bisogna lavorare di più e meglio, ma soprattutto bisogna mettersi in discussione.
Per lei alcune pizzerie in Italia meriterebbero una o più stelle Michelin?
Spero che un giorno la Michelin darà una stella anche alle pizzerie, ad esempio a Franco Pepe. Va dato atto a Pepe di aver dato un twist alla pizza napoletana.
E Simone Padoan?
Non lo conosco. Ora me lo appunto.
In Italia si dibatte molto sul destino dei fine dining, per molti sono destinati a scomparire (tra insostenibilità economica e sempre più clienti “annoiati”). Per lei qual è il futuro, se c'è, dei ristoranti fine dining?
I fine dining nel mondo civilizzato continuano e continueranno a crescere. La haute gastronomie è la punta dell'iceberg di tutta la ristorazione, un po' come la haute couture lo è per la moda (qui lo avevamo scritto: l'alta ristorazione ha molto da imparare dall'alta moda, ndr), poi ci sono tutta una serie di ristoranti più o meno fine dining che rappresentano la fascia intermedia, un po' meno alta della haute gastronomie ma non per questo con meno senso. Si può dibattere sullo stato di salute della haute gastronomie o dei fine dining in generale, ma è innegabile che ci sarà sempre un interesse per tutte le fasce di ristorazione.
C'è un paese o una città che sta crescendo molto dal punto di vista gastronomico?
Seul è la nuova destinazione per la haute gastronomie. Sia dal punto di vista della clientela, interessata sia alla gastronomia che alla haute gastronomie, sia dal punto di vista dei giovani chef in circolazione, molti dei quali hanno lavorato negli Stati Uniti o in Francia e che ora stanno vivacizzando la ristorazione della capitale della Corea del Sud.
La vedremo presto a Seul?
Sì, tra diciotto mesi apriremo lì.
Attualmente quanti ristoranti ha il gruppo Ducasse?
L'ho dimenticato.
Interviene il capo ufficio stampa: "Trentadue, tengo io i conti. Ride. Ridono".
Sempre in Italia si sta assottigliando la differenza tra ristoranti e bistrot. In Francia come è la situazione?
La bistronomia è la chiave di ingresso della haute gastronomie, è una gastronomia moderna e chiaramente più accessibile.
Da Romeo andrà in scena la “cuisine de la naturalité”. Ce la può raccontare?
Si può riassumere in una cura estrema per gli ingredienti, cotture brevi, sapori intensi e una forte presenza vegetale.
In carta, però, ci sono sia granchio blu che foie gras. Come possono coesistere i due ingredienti? Da una parte il granchio blu che persegue la rotta della sostenibilità ambientale (essendo un invasore conviene mangiarlo), dall'altro il foie gras uno dei tanti simboli del maltrattamento animale.
Gli antichi Romani mangiavano foies gras ed è risaputo che i francesi abbiano una vera passione per questa preparazione: è proprio il raviolo di foie gras d’anatra e consommé di pollo a rappresentare il mix culturale tra Italia e Francia. La sostenibilità può essere anche culturale...
Ma il foie gras non è proprio simbolo di sostenibilità ambientale.
È vero. Ma penso anche che in alcuni stati americani hanno bandito il foie gras e al tempo stesso hanno preservato la pena di morte. È meglio il foie gras o la pena di morte?
Alain Ducasse oggi dove mangia?
Mangio ovunque. Ieri sono stato al ristorante giapponese Hakuba di Cheval Blanc Paris e mi sono emozionato con un piatto incredibile. Era una bouillabaisse di stoccafisso dal sapore mediterraneo con tè matcha. Penso che lo chef non abbia realizzato il livello di eccellenza di questo piatto, perché non si è proprio reso conto di quanto fosse buono.
Il pasto, che ha preparato, che lo ha emozionato di più?
Avevo 23 anni e un grande chef della Costa Azzurra che aveva tre stelle Michelin, si chiamava Roger Vergé (considerato il padre della Nouvelle cuisine, ndr), mi telefona e mi dice che due giorni dopo avrei dovuto cucinare per un pranzo da L'Amandier à Mougins con altri 16 o 17 stellati. Mi sono chiesto: ora cosa faccio? Cosa cucino? Ho pensato di cucinare degli spaghetti con dei legumi. Sono certo di aver fatto il migliore piatto di pasta con i legumi del mondo, era un piatto di pasta perfetto e mi ha commosso dal suo livello di eccellenza. I francesi, si sa, sono modesti. Ride.