L’evoluzione che ha modificato profondamente il modo nel quale oggi si pensa alla pizza, oltre che dagli impasti, è decollata dalla cucina: la cucina sulla pizza, che presuppone conoscenza degli ingredienti e del modo in cui si trattano e che deve contare anche su spazi e tecnologie adeguati nei locali. Ci sembra indubbio, riconoscere, su questo filone, una sorta di paternità a Simone Padoan, innovatore e maestro per tanti colleghi: da I Tigli di San Bonifacio, insegna aperta nel 1999, è partito infatti il vento della pizza a degustazione.
I pizzaioli sono i nuovi chef
Formatosi dapprima come cuoco, ma grande appassionato di lievitati, Padoan da giovanissimo comincia a intendere la pizza come un piatto: fatto di impasti a lievitazione naturale e di prodotti (e tecniche) prima riservati solo alle cucine stellate. Ormai più di un decennio fa il pizzaiolo veneto decide di ristrutturare la sua pizzeria separando le zone di lavoro, con un laboratorio dei lievitati e una cucina vera e propria per poter mettere a punto la linea. Oggi, però, il tema si pone con forza perché molti (giovani) pizzaioli cercano di apprendere come gestire questo aspetto e come formarsi per affrontare il nuovo mondo della cucina sulla e con la pizza. Tema su cui un professionista sempre all’avanguardia e con le antenne puntate sui nuovi trend, come Igles Corelli, ha da dire molte cose, anche perché sono sempre più i colleghi che lo coinvolgono per avere luci e carpire segreti.
La via di Gabriele Bonci
Già nel settembre di 4 anni fa, sul numero 344 del mensile Gambero Rosso, pubblicammo un approfondimento dal titolo “La cucina sopra la pizza. Il confine sempre più labile tra pizzeria e ristorante” a firma di Sara Bonamini: raccontava il percorso culinario intrapreso dalla tonda italiana, ancora tutto in divenire.
Quasi negli stessi anni di Padoan, anche Gabriele Bonci segue un sentiero simile, in equilibrio tra cucina e pizza: il cuoco-pizzaiolo romano dopo aver seguito l’istituto alberghiero e approfondito la sua passione viva per il mondo dell’arte bianca, ha intensificato l’osservazione sempre più da vicino del lavoro di alcuni forni romani. Gabriele lavora prima in grandi ristoranti e, dopo l’incontro con Franco Palermo, suo grande maestro di panificazione, viene folgorato dalla pizza e dal pane. Nel 2003 apre Pizzarium, a Roma, che segna un momento cruciale per la pizza in teglia: sperimentazione sugli impasti, selezione accuratissima delle materie prime e conoscenza della loro filiera, condimenti cucinati esattamente come se fossero per un piatto.
La simbiosi tra pizza e cucina appare necessaria anche a chi proviene dalla tradizione campana classica, come il fuoriclasse Francesco Martucci, che tra banco e farine ci è praticamente da una vita. Nei suoi Masanielli, insegna casertana conosciuta in tutto il mondo, una cucina da 320 metri quadrati è interamente dedicata alla ricerca e alla trasformazione delle grandissime materie prime selezionate per i condimenti delle pizze; del resto Martucci è conoscitore profondo del fine dining, e si vede.
La pizza di Igles
È Igles Corelli, chef e insegnante, a notare oggi come il rapporto tanto stretto tra pizza e cucina faccia sì che anche la formazione del pizzaiolo debba necessariamente evolversi. Corelli è sempre stato un precorritore e forse fu il primo, tra gli chef, a instaurare un dialogo con la pizza. Anno Domini 2005, per la prima volta nel menu di una pizzeria appare una collaborazione dichiarata, la Pizza di Igles: siamo alla Gatta Mangiona di Giancarlo Casa e Sergio Natali, nella Capitale, tra le prime insegne - quest'anno compie 25 anni - a spostare l’asticella verso l’alto sulla cucina, con variazioni molto creative e stagionali di supplì e pizze di grande eleganza. Emblematica quella ideata in collaborazione proprio con Corelli, con fiori eduli, pomodori confit speziati e (poca) mozzarella.
«Ho conosciuto Giancarlo Casa perché era venuto a mangiare da me alla Locanda della Tamerice di Ostellato (gestito da Corelli fino al 2010, ndr) – racconta lo chef romagnolo – in quel periodo sperimentavo su cotture alla griglia, fiori ed erbe aromatiche… Allora nessuno utilizzava quelle robe lì, pensa che Maurizio Costanzo mi invitò al Costanzo Show per mostrare dei piatti con i fiori», ricorda Corelli. Casa, oltre ad essere un asso della pizza, è un gourmand curioso: Igles si chiede perché sulle tonde non si possa sperimentare qualcosa di nuovo che vada oltre i formaggi fusi abbinati a carni e salumi. Gli propone così di collaborare alla creazione di una pizza con erbe e fiori: il lievitista a occuparsi dell’impasto e lo chef del topping. «Allora collaboravo con molti artisti. In vista della partecipazione al Campionato Mondiale della Pizza, chiamo la fornace-vetreria Cenedese di Murano, gli spiego che ho intenzione di fare una pizza che ha bisogno di una temperatura particolare, altrimenti le erbe e i fiori si seccano, e che cerco anche qualcosa che richiami la napoletanità».
Il maestro di Murano prepara un piatto con una copertura, che nelle linee ricorda il Vesuvio, la cupola sormontata da un buco: «Sfornata la pizza, io distribuivo i fiori e le erbe aromatiche, mettevo su questa cupola e il vapore veniva fuori: i fiori e le erbe davano profumo e restavano anche belle». Una preparazione dall’estetica molto elegante, totalmente innovativa, visto ancora il panorama di quei tempi: «Pensa che quell’anno lì al Mondiale vinse una pizza con il surimi, il contesto era quello». La comunicazione della pizza nei primi anni del Duemila è ancora limitata a dimostrazioni acrobatiche con il disco di pasta, nessuno sui media parla di né di impasti né di materie prime.
La formazione
La situazione, dopo 20 anni di studio e sperimentazioni, è ormai ribaltata. I condimenti classici della pizza in menu sono co-protagonisti di tutta una serie di proposte, dalle pizze stagionali a quelle a degustazione, dalle collaborazioni con gli chef agli omaggi a particolari ricette. Ancora oggi, però, momento nel quale alcune narrazioni appaiono scontate, secondo Corelli c’è un problema di preparazione (o insufficiente preparazione) culturale e tecnica rispetto al tema da parte di molti pizzaioli: fare topping creativi e complessi è diventata una moda, ma senza una base tecnica sul lavoro di cucina si rischia di creare enormi pasticci.
La formazione prima di tutto quindi. Corelli ha nel tempo svolto numerose consulenze nel mondo pizza: «Recentemente mi hanno chiamato in Veneto: in un corso organizzato da AENP - Associazione Eccellenza nella Pizza di Vicenza, ho tenuto una masterclass per una ventina di pizzaioli, cercando di insegnar loro a utilizzare determinati elementi nei condimenti della pizza e alle giuste temperature». Gli errori più comuni che fa un pizzaiolo inesperto? «Il peccato originale è lo stesso di un cuoco che fa il panettone senza competenze» sottolinea Corelli. «I pizzaioli hanno una grande esperienza e manualità su lievitazioni e impasti e nella loro formazione hanno imparato a mettere sulla pizza prodotti principalmente pronti e inscatolati. Oggi c’è, invece, una smania di novità e sulla pizza si usa di tutto: estratti, gel, creme, che, però, spesso, non hanno nessun senso nell’abbinamento reciproco o che in cottura si snaturano. Un olio aromatico, se lo metti prima di andare in forno, non serve a nulla perché gli oli essenziali si bruciano. Addirittura ho visto utilizzare così il plancton (ben 2.400 euro il chilo): pensa che a 42 gradi si distrugge la molecola del plancton, quindi alle temperature di cottura della pizza equivale a utilizzare la segatura».
A proposito di condimenti: ci sembra, però, che sull’olio extravergine oggi i passi in avanti si siano fatti più nelle grandi pizzerie, con selezioni degli oli pazzesche, piuttosto che nei grandi ristoranti… «I bravi pizzaioli sanno che la pizza è di qualità se tutto ciò che poni sulla pizza è di qualità. Se usi robaccia, il risultato non può essere altrimenti. Non si può pensare di essere creativi, utilizzare ingredienti esotici, come l’ananas, e poi utilizzare quello in scatola, dai, almeno quello fresco!».
Omaggi, collaborazioni, consulenze
Corelli non è il solo chef, ovviamente, ad essersi dedicato al mondo pizza. Tra i precorritori c’è sicuramente Nino Di Costanzo, che ha negli anni dedicato tanto pensiero alla materia, collaborando con grandi nomi, da Franco Pepe (con lui è nata una pizza mitica di Pepe in Grani come la Pastiera Fritta) a Ivano Veccia, con il quale condivide le origini ischitane e, in questo momento, anche il progetto di un nuovo locale sull’isola. Le stesse serate “a quattro mani”, tra chef e pizzaioli, sono vissute come un momento di crescita reciproca, e spesso, ispirazione per una o più preparazioni da inserire in carta. Se Luca Abbruzzino ha firmato una tonda in omaggio alla Calabria nei menu di Berberè, i clienti della Cascina dei Sapori (Rezzato, BS) di Antonio Pappalardo hanno potuto assaggiare la pizza creata con Virgilio Martinez (fiordilatte, peperoni corno arrostiti e seppia, nero di seppia, limone ed emulsione di extravergine) e prima ancora con Gaggan Anand e Riccardo Camanini.
Ancora differente il caso di Francesco Pompetti (Impastatori Pompetti, Roseto degli Abruzzi): formazione nell’alta cucina, lievitista da generazioni, omaggia il suo maestro Mauro Uliassi dedicandogli la pizza con tagliatella di seppia, granita di riccio di mare e pesto di alghe. Dalla collaborazione tra Peppe Guida e il pizzaiolo Giuseppe Maglione è nata, invece, un’intera sezione del menu di Daniele Gourmet (sedi ad Avellino e Salerno). Stesso modello per il nuovo corso annunciato da un talento emergente come il pizzaiolo Nino Pannella, ad Acerra, che, in tandem con lo chef Raffaele Campagnola dell’Opera Restaurant di Napoli, vuole far entrare la sua pizza nell’era della maturità culinaria.
Cucina e pasticceria nella pizza
Uno dei migliori lievitisti italiani è Massimiliano Prete, patron di Sestogusto a Torino (due i locali in città), mentre da fine febbraio 2024 è terminata l’esperienza di Gusto Divino a Saluzzo, l’insegna con la quale, 10 anni fa, ha rivoluzionato il panorama della pizza piemontese. Salentino di origini, ma da 35 anni in Piemonte, Prete comincia il suo percorso nella pizza tradizionale: «Negli anni ‘90 il mondo della pizza fuori dalla Campania era dominato dai pizzaioli e dalla tradizione di Tramonti».
Quella è la scuola nella quale si impara con le mani e con gli occhi, ripetendo gesti che si apprendono empiricamente. Poi arriva un’esperienza decennale in pasticceria: «Nel mio caso la pasticceria è stata fondamentale perché, quando poi ho rimesso le mani sulla pizza, l’approccio è stato totalmente differente, ho iniziato a farmi delle domande». Applica alle basi la tecnica e la scienza della pasticceria. E i condimenti? «Fin dall’apertura di Gusto Divino, la prima questione che ci siamo posti era quella di riuscire a dare alle preparazioni lo stesso valore che uno chef dà ai piatti in una cucina di un certo livello. Non stare lì a fare combinazioni o abbinamenti tanto per farli, ma con un senso logico. Abbiamo preso la grande cucina come un modello e abbiamo studiato il senso dell’abbinamento».
Abbinamento che, nel caso di Prete, può arrivare da una suggestione o da un ricordo, una mescola interessante tra le origini salentine e il patrimonio piemontese. Come si pensa a un nuovo menu da Sestogusto? «Dirigo io quell’aspetto, mi confronto con i collaboratori più fidati all’interno della cucina. In questo momento – perché ci sono fasi e fasi – cerco molto l’acidità, ma punto soprattutto a trovare equilibrio nei contrasti, mettere assieme l’amaro, l’acido, il dolce e il sapido: è questo che mi dà armonia». Chiaramente considerando scontati grandi prodotti stagionali, ortaggi di qualità che apportano bontà al piatto. E gli scambi con i cuochi? «Ho la fortuna di fare molte docenze, che si combinano spesso con quelle di tanti validi chef. Mi capita di lavorare a eventi in condivisione, per me sono occasioni di grande crescita e sono esperienze importantissime anche per i miei ragazzi». Soprattutto se si tratta di appuntamenti importanti come quelli, a “sei mani” in calendario da Sestogusto: il 27 febbraio scorso con Enrico Crippa e Corrado Assenza, il 9 aprile con Michelangelo Mammoliti e Fabrizio Galla. Grande pizza, grande cucina e grande pasticceria. Più interdisciplinare di così…