Stanno tutti urlando allo scandalo quando c’è chi, prima di Gino Sorbillo e dell’era TikTok, la pizza all’ananas – in Italia – l’ha fatta, inserita in carta, venduta e pure digerita. Peccato che il potere dei social, all’epoca, valeva quasi zero. Pier Daniele Seu, Franco Pepe, Simone Lombardi. Sono loro gli artefici (ma ce ne saranno anche altri). Se questi nomi non vi dicono nulla, vi meritate sul serio una pizza Hawaii!
Le pizze all’ananas dei grandi pizzaioli
Era l’estate del 2019 quando Pier Daniele Seu, pizzaiolo Tre Spicchi Gambero Rosso di Roma, metteva in carta per cinque mesi l’Innominata e la Colada, una pizza salata e una dolce fatte entrambe con l’ananas: «L’Innominata era fatta con carpaccio di ananas (fatto essiccare per tutta la notte) e condito sale, pepe e olio; base di crema di olive nere molto amara, provola, prosciutto arrosto, misticanza, gel con estratto di ananas e habanero e per terminare polvere di olive».
Franco Pepe, a Caiazzo, regge ancora con la sua AnaNascosta proposta a conetto: «È una pizza a forma di conetto fritta con fonduta di formaggio, per l’interno tengo da parte a 4 gradi prosciutto crudo e ananas fresco. Avvolgo il pezzo di ananas nella fetta di prosciutto per nasconderlo, lo infilo nel conetto e completo con polvere di liquirizia».
A detta dei pizzaioli, le pizze all’ananas hanno avuto successo, sia se proposte in un menu degustazione alla cieca, sia su richiesta dalla carta. «Da me non è stato uno scoop, l’ho messa in menu e continuano a chiederla: stranieri, anche molti italiani. In degustazione la infilo a metà percorso per ripulire il palato. Se non è all’interno della degustazione la prendono come entrée», dice Franco Pepe.
Simone Lombardi di Crosta a Milano ha la sua pizza con ananas ancora in menu: «È un evergreen. Parla delle mie origini messicane e prende ispirazione da un tacos al pastor. Si chiama Ventricina ed è fatta con ventricina delle colline Teramane, ananas arrosto, coriandolo e cipollotto, base bianca con poca mozzarella». A richiederla? «Un po’ tutti, i miei clienti sono curiosi, in carta non abbia pizze molto comuni».
Il mondo pizza è indietro rispetto alla cucina
Dato per assunto che Gino Sorbillo sia un vero comunicatore, prima che un pizzaiolo, tutta questa querelle sulla pizza all’ananas che cosa ci ha fatto capire? Se la pizza all’ananas non viene vista di buon occhio è perché non c’è la consapevolezza, a monte, del pizzaiolo in fatto di materia prima, spesso gli ingredienti non si sanno usare o trasformare a dovere. Come sostiene Simone Lombardi: «Il cliente era il protagonista della pizza, il pizzaiolo era un oggetto, un veicolo che metteva sulla pizza le idee più strampalate di chi la richiedeva».
Le cose stanno cambiando da qualche anno a questa parte, eppure il mondo della pizza è ancora indietro in fatto di sperimentazione. «Non esiste in Italia una scuola di formazione di pizzeria istituzionale e nemmeno negli alberghieri non c’è un percorso di pizzeria. Oggi rispetto al passato si è evoluta la necessità di mangiare buono e sano, nessuno trasmette queste competenze a chi trasforma oggi un impasto o un ingrediente su una pizza», sostiene Franco Pepe.
Negli ultimi anni, grazie ad alcuni pizzaioli, sopra la pizza sono state proposte ricette articolate. Una cucina pensata e di grande qualità. Rispetto al passato, molti meno clienti si accontentano di una semplice mozzarella, pomodoro e qualche pezzo di salame o verdura. I palati sono più esigenti. Ma se gli impasti si sono evoluti, molto meno lo sono stati gli ingredienti che arricchiscono la tonda lievitata. Escluse alcune interessantissime eccezioni. I grandi maestri infatti hanno capito subito l'opportunità del cambiamento e si sono messi all’opera. Come Franco Pepe: «Nella mia pizzeria, ho creato un team di cucina a supporto del pizzaiolo che accoglie la materia prima e con tecniche di cucina studiate. Ma parlo per me».
A conferma di ciò arriva anche Pier Daniele Seu: «La pizza sta sempre anni indietro rispetto alla cucina. Anni fa, in cucina, se ci fosse stata un’operazione del genere si sarebbe creato scalpore. Il pizzaiolo non ha molta cultura gastronomica, negli ultimi anni qualcosa è successo ma ha generato anche forti critiche».
Simone Lombardi è dello stesso parere: «C’è una parte di pizzaioli che sperimenta, ma la maggior parte non lo fa. C’è molta ignoranza nel mondo pizzeria rispetto alla cucina. Tanto è vero che io personalmente ho iniziato a insegnare a scuole superiori per dare una formazione a dei cuochi anche di pizzeria. Il pizzaiolo è una figura che deve ancora evolversi, prima del topping facciamo un lavoro anche con gli impasti, quanti di questi pizzaiolo conoscono la farina, la materia prima che lavorano?».
Tradizione vs Innovazione: chi la vince?
L’eterna lotta fra tradizione e innovazione nel mondo culinario è più dura se si parla di pizza, simbolo del nostro Paese. Con Sorbillo si è parlato di patriottismo napoletano, abbiamo chiesto a Pier Daniele Seu un’opinione a riguardo: «Se in un posto c’è una cultura gastronomica storica si è meno aperti verso l’innovazione. E questo è quello che è successo un tempo probabilmente a Napoli. A Roma siamo stati sempre più liberi non avendo una cultura sulla pizza in generale, intesa come storicità, abbiamo potuto sperimentare un po' di più senza giudizi come successo nel resto del centro e nord Italia».
A conferma arriva anche Franco Pepe: «Parli con uno che ha rimodulato la Margherita in Margherita sbagliata! Per me ci deve essere l’evoluzione, la pizza deve rimanere un prodotto semplice e popolare ma bisogna anche andare avanti nell’evoluzione del percorso di un prodotto».
Simone Lombardi di Crosta sostiene, invece che: «La tradizione è un’innovazione che ce l’ha fatta. La pizza non è italiana, tanto meno napoletana. L’hanno portata i greci a Napoli sotto forma di pita che poi loro hanno avuto la lungimiranza di prendere un piatto che veniva da fuori, farlo loro e creare qualcosa di unico quello è un altro paio di maniche. Innovazione diventata tradizione nel corso dei secoli. Il patriottismo è ignoranza».
Gli italiani vittima del patriottismo gastronomico o dell'ignoranza?
In tutto questo, però c’è da sottolineare un aspetto. Innominata, AnaNascosta, Vermicina. I pizzaioli innovano ma in sordina, fanno un passo verso la novità eppure camuffano: non osano accostare le parole pizza e ananas nel nome, però la propongono specificandolo in piccolo nel menu fra gli ingredienti.
L’hanno nascosta in conetti e confusa sotto fette di prosciutto, l’hanno fatta assaggiare nei menu degustazione portandola al tavolo senza dire nulla. La colpa non è di questi artisti dell’innovazione gastronomica, ma dei pregiudizi gastronomici che noi italiani – chi più, chi meno – ci portiamo dietro. C’è ancora un grosso pregiudizio, un purismo nascosto, un patriottismo (come lo definisce Sorbillo) che ci ingabbia e non ci fa accettare la diversità, la novità. E se noi italiani siamo quelli che parlano di cibo anche mentre stanno mangiando, allo stesso tempo siamo vittime di noi stessi, ci critichiamo a vicenda, non accettiamo ciò che va fuori dagli schemi gastronomici prestabiliti.
Ma chi li ha stabiliti? Molto spesso la storia ci ha tradito, direbbero alcuni. Sfogliando i ricettari, come ha fatto Luca Cesari con la carbonara del 1954, abbiamo visto che non è proprio come crediamo. La lingua si evolve, la società si evolve, la cucina per fortuna si evolve. Getteremmo sul rogo qualsiasi strega che usa la groviera al posto del pecorino o che si azzarda a usare il burro in pasta e vongole o grattugia il parmigiano su aglio olio e peperoncino. E tutto questo per cosa?
Not in my name!