La vera sorpresa non è la pizza all’ananas che Gino Sorbillo ha ostentato nel suo Presepe Napoletano Pizzeria Ostaria. Fa parte del neoqualunquismo. Nulla a che vedere con il movimento politico che durò qualche anno nel secolo scorso, ma più semplicemente il “qualunque cosa pur di far parlare di sé” che ha invaso anche cucine e pizzerie d’Italia. Infatti, Sorbillo ha subito rincarato la dose aggiungendo alla sua pizza “ananassata” un ancora più controverso ketchup. D’accordo, fatto da lui con pomodoro datterino rosso e giallo, ma sempre ketchup. Qualunque cosa, appunto.
Pizza con l'ananas? Non è certo una novità
La vera sorpresa sono invece i tanti food writer che lo stanno difendendo. Uno si è spinto a definire l’uscita di Sorbillo come una "genialata" mondiale di comunicazione. Un po’ come dire che se uno prende a martellate il David di Michelangelo per far parlare di sé ci riesce. E la profanazione e il danno? Irrilevanti appendici. Il “condono” dei media (non i social) a Sorbillo è il segnale che la pizza all’ananas è un fenomeno di una cultura dominante. Anche perché sulla pizza, in Italia, l’ananas ce l’avevano messo anche altri, compresi Franco Pepe, Simone Lombardi (Crosta, Milano) e Pier Daniele Seu (Illuminati, Roma). Sorbillo è il primo che la mette in carta a Napoli (a 7 euro).
La candidatura della cucina italiana
La domanda di fondo a questo punto è ineludibile: è questa la cucina italiana che si vuole far diventare patrimonio intangibile dell’Umanità? Quella che il Governo italiano sta candidando per il riconoscimento Unesco? Nell’Italia della pizza all’ananas vi diranno: “Ma questa cosa dell’Unesco è figlia di altri tempi”, “non esiste una cucina italiana, tutto è in evoluzione”, “ci sono le influenze straniere”.
Non è vero ma anche se lo fosse proprio per questo il riconoscimento Unesco diventa ancora più importante. È proprio per fronteggiare queste suicide liquefazioni culturali, queste “degradazioni”, nacque la Convenzione Unesco per la protezione dei patrimoni immateriali. Il riconoscimento aiuterà grandemente almeno a capire cosa NON è la cucina italiana e a “identificarne” le sue radici. Su quelle radici noi italiani da oltre un secolo abbiamo costruito un business globale fuori dall’Italia che genera centinaia di milioni di euro e muove centinaia di migliaia di persone.
Senza identità si perde mercato
Per questo nel 2017, nel Casentino, il VI Forum della cucina italiana nel mondo, promosso dal network itchefs-GVCI, lanciò l’appello per candidare la cucina italiana, quello fuori dall’Italia però, come patrimonio immateriale Unesco. Perché è all’estero che una vasta comunità di cuochi italiani - e prima di loro una gran parte degli emigrati - ha combattuto e combatte per mantenere la identità culinaria italiana.
Non è solo patriottismo, senza identità si perde mercato. In Italia troppo spesso non è così. La pizza con l’ananas di Sorbillo diventa, magari senza volerlo, l’emblema di questa situazione. All’estero era già famosa trenta anni fa, ma di noi italiani si ricordano tutti nel mondo perché fino ad adesso non la facevamo. Un branding identitario di inestimabile valore, un competitive advantage costruito sulla militanza attiva soprattutto dei cuochi italiani nel mondo, che corre il rischio di essere bruciato dal qualunquismo della pizza all’ananas. Da oggi, all’estero, siamo diventati come gli altri.
L’appello del 2017 per la candidatura Unesco della cucina italiana fuori dall’Italia cadde inascoltato, nonostante i 200 cuochi che vennero da tutto il mondo e la presenza di tutte le principali associazioni. I tempi non erano maturi e poi arrivò la pandemia. Sorbillo, la pizza ananas e ketchup, i suoi difensori nei media, una funzione positiva l’hanno avuta, quella di confermare che il ruolo dei cuochi italiani fuori dall’Italia è fondamentale per la candidatura della cucina italiana a patrimonio immateriale dell’umanità.