Se in questi giorni sentite nominare le parole “piattino condivisione”, saprete a cosa si fa riferimento. Già, il post dello scontrino condiviso su Facebook da Selvaggia Lucarelli ha fatto il giro dei social scatenando non poche polemiche. Si tratta del caso dell’Osteria del Cavolo di Finale Ligure che ha fatto pagare due euro in più ai clienti per aver portato al tavolo un piatto pulito per condividere delle trofie al pesto con un altro commensale.
L’episodio si è rivelato divisivo a tal punto da creare due “fazioni” di commentatori: il team clienti, quelli degli inferociti per i sovrapprezzi nei ristoranti, soprattutto in estate; e il team ristoratori che difendono i colleghi di Finale Ligure sostenendo che i servizi in più si pagano.
Per fare chiarezza, abbiamo raggiunto un noto ristoratore, Beniamino Gili, proprietario di La Baia di Fregene, località marittima della costa laziale.
Da ristoratore, qual è la sua opinione sull’episodio?
Sono rimasto sorpreso ma non del tutto, nel senso che, se si ordinano le mezze porzioni un sovrapprezzo si applica perché il servizio è doppio: dall’impiattamento, alla grammatura diversa (il peso non è esattamente metà, ma leggermente di più, ndr.), poi bisogna calcolare il servizio in più che parte dallo chef che lo impiatta, al cameriere che lo porta, alla lavastoviglie che lo lava.
Però qui non si trattava di una mezza porzione…
No, in effetti il piatto di condivisione non ha costi, a tavola viene portato solo il piatto in più, poi uno se lo divide da solo. Se mi chiedono un piatto di pasta e se lo dividono loro, a me non interessa, il prezzo è sempre lo stesso. Quando si ordina lo spaghetto alle vongole, il piatto accanto c’è sempre per metterci i gusci, non c’è nessun sovrapprezzo. Come succede con i bicchieri per il vino e per l’acqua, le posate che cambiamo durante il servizio: il costo in più c’è, ma è preventivato, non faccio pagare al cliente un sovrapprezzo.
Quindi se non si tratta di costi in più, qual è il problema e a cosa non hanno badato i ristoratori di Finale Ligure?
Ma alla fine anche se c’è un costo, la cosa importante è comunque il cliente, che non è un mero numero e con cui si stabilisce un rapporto: c'è l’accoglienza, il saluto, ci si conosce, si spiega il menu, il territorio. Questo per quanto mi riguarda. Io ho a che fare con vari clienti, anche turisti, che ci scelgono perché ci hanno trovato da qualche parte sul web, per esempio, e siamo già grati e contenti di questo, il resto è tutta cortesia.
Ai ristoratori liguri, dunque, conta di più incassare sulle minime quantità che il rapporto con il cliente o una recensione negativa sul web?
Non so, c’è chi le recensioni non le nota neppure. Noi ci stiamo attenti, quando le guardiamo, se c’è una critica costruttiva stiamo zitti, se ci sono cose inesatte, rispondiamo ma anche in maniera ironica. Chi non capisce questo contesto (cliente, cortesia, rapporto) non ha capito nulla di commercio, di come si sta in un ristorante che è un posto dove si accoglie la gente.
Ma le recensioni dei clienti non stanno diventando una gabbia per i ristoratori?
Alcuni clienti non sono professionisti e giudicano in maniera sbagliata, a volte prendendosela inutilmente con i camerieri e diventando anche aggressivi, queste sono le cose che sbaglia il cliente; le recensioni costruttive, invece, sono utili, e noi prendiamo spunto. Quando diventano solo un'offesa non hanno senso.
Alla luce di questo un cliente si ricorda più quello che ha mangiato, o come è stato servito?
Gualtiero Marchesi diceva che la cucina contava 70% e la sala 30%, adesso la proporzione è 50 e 50. La sala deve recuperare anche se c'è un problema in cucina: dunque la sala ha pari valore della cucina.