La chimica del pane, l’alchimia delle farine

14 Mar 2016, 17:05 | a cura di

Gli allievi del XIV Master in Comunicazione e Giornalismo Enogastronomico del Gambero Rosso di Roma e quelli del III Master della Scuola Romana di Fotografia e Cinema alle prese con i loro primi reportage. Come sfondo una palestra d’eccezione: le lezioni dei grandi chef presso le Scuole della Città del gusto di Roma. Un’occasione unica per confrontarsi su tecniche e tendenze attorno al variegato mondo cibo.

Si fa presto a dire impasto! Eppure, cosa c’è di più semplice che mettere insieme acqua e farina? «Intanto, quale farina? quanta? come miscelarla? come farla crescere per diventare pane? le risposte a queste domande sono molte e complesse: solo alla fine, quando avremo le risposte, potremo iniziare a farlo, il pane». Comincia così la lezione di Marco Rufini, pizzaiolo e maestro di lieviti, agli allievi delle scuole di cucina del Gambero Rosso, presso la Città del gusto di Roma. Se la base del pane è la farina, è anche vero che non esiste “LA” farina. «Ce ne sono tante e di diversa qualità – spiega Rufini – Il mio consiglio è di partire sempre da una farina integrale, a cui si può aggiungere una parte di farine raffinate». Perché? chiedono gli allievi. «Primo, perché la farina integrale contiene molti nutrienti – afferma il pizzaiolo – e poi perché grazie agli oli essenziali che contiene permette di evitare l’aggiunta di altro olio nell’impasto».

E poi si passa alla lievitazione. Alle lievitazioni, anzi. «Sì, perché sono due le fasi che permettono all’impasto di gonfiarsi perfettamente restando un prodotto morbido e leggero (e dunque digeribile) anche dopo la cottura». E anche qui, non esiste un solo tipo di lievito: ce ne sono almeno due tra cui scegliere e anche da unire insieme se si desidera o si rende necessario. «Il lievito di birra è formato da microrganismi unicellulari e consente alla massa una lievitazione in poche ore. Il lievito naturale era invece usato storicamente nelle panificazioni casalinghe e dai fornai tradizionali: è di più difficile gestione e oggi viene utilizzato soprattutto nelle preparazioni di qualità: perché in genere permette uno sviluppo maggiore della lievitazione che poi consiste nella trasformazione degli amidi e degli zuccheri».   

 
 
a cura di Francesca Fiore
Allieva del Master in Comunicazione e giornalismo enogastronomico del Gambero Rosso
 
foto di Carolina Campanelli
Allieva del Master della Scuola Romana di Fotografia e Cinema 

 

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