Siamo a Polesine Zibello, uno dei 7 comuni del culatello di Zibello. In questa “fettaccia di terra tra il Po e l’Appennino”, scriveva Giovanni Guareschi, c’è l’Antica Corte Pallavicina, relais di charme, ristorante stellato, Hosteria del Maiale, Museo del culatello e del masalén, tutto racchiuso in un castello quattrocentesco che fu dei marchesi Pallavicino e dal 1990 di proprietà della famiglia Spigaroli. Poche centinaia di metri più in là, nell’altro ristorante di famiglia, Al Cavallino Bianco, vengono prodotti i salumi, che stagionano senza fretta nelle cantine storiche sotto il castello. A pochi chilometri di distanza c’è l’azienda agricola da cui proviene quasi tutto quello che arriva in tavola, vini e farine comprese, e le stalle dove sono allevati i suini bianchi e quelli neri di razza nera di Parma, una delle glorie maison.
Nelle terre del culatello, a nord di Parma
Questa enclave legata a uno dei più nobili ed esclusivi salumi italiani, figlio delle nebbie e del Po, si trova in zona bianca, fuori dalle restrizioni che hanno interessato le aree del Parmense più a sud, Langhirano e comuni limitrofi, con presenza di peste suina africana o considerate a rischio. Ma anche qui si avverte l’eco dell’emergenza legata alla diffusione dell’epidemia nelle zone ad alta vocazione suinicola e produttiva di salumi, che sta impegnando quattro ministeri, provincia, regione e un commissario straordinario dedicato, preoccupando produttori e Consorzi: oltre alle due Dop culatello di Zibello e prosciutto di Parma, nella provincia ci sono le Igp salame Felino e coppa di Parma, la Pat spalla cotta di San Secondo, la spalla cruda di Palasone e tanti altri salumi meno conosciuti ma non meno buoni.
La diffusione della peste suina
«Non c’è la PSA negli allevamenti del nostro territorio, non sono state trovate carcasse di cinghiali infetti, le nostre stalle sono in sicurezza e le gestiamo con attenzione: disinfettiamo le scarpe, non facciamo entrare estranei. Ma certo siamo molto preoccupati», commenta Massimo. La preoccupazione degli Spigaroli non è la vendita dei propri prodotti in Paesi terzi. L’Antica Corte Pallavicina non esporta in Canada, mercato importante che proprio in questi giorni ha chiuso le frontiere ai salumi italiani, e neanche negli Stati Uniti. Mandava i suoi salumi in Giappone, «ma ce lo siamo perso due anni fa all’inizio della diffusione dell’epidemia in Italia, l’abbiamo accettato».
Non è neanche la sfiducia nelle istituzioni e negli enti locali. «Stiamo seguendo le direttive della provincia, che recepisce quelle della regione – fa il punto lo chef stellato – c’è un tavolo di lavoro con scambi tra regioni, province, Asl e il commissario straordinario per la peste suina africana, e attraverso le regioni contatti con i ministeri e l’Assica (Associazione industriali delle Carni e dei Salumi, ndr). Ora c’è anche l’abbattimento selettivo dei cinghiali, ai quali voglio bene ma è necessario, una scelta obbligata. Siamo ben tutelati, mi fido del sistema messo in atto per contrastare la PSA».
Nera di Parma a rischio
D’altronde, cos’altro si può fare? – aggiunge con un tono di quasi rassegnazione – «Se ci fosse un vaccino lo comprerei, se ci fossero altre cose da fare le farei. Abbiamo messo le reti antipassero alle porcilaie in modo da non avere nessun contatto con l’esterno, nessuna contaminazione, e questo non va bene, non va bene per gli animali, non va bene per la testa di Spigaroli». Un escamotage che entra in contrasto con l’allevamento di suini rustici di razza nera di Parma, che non si prestano a vivere al chiuso. «Soffrono, fanno fatica, i nuovi nati sono deboli, non hanno voglia di vivere. La loro natura li vuole all’aperto, liberi. Potremmo anche perdere la razza. Ci abbiamo messo tanto, 24 anni dei nostri anni migliori, sforzi, diffidenze, prove, carte bollate…».
Riflessioni di uno chef stellato parmigiano
Poi alcune riflessioni personali. La prima. «Quello che trovo strano è perché si consenta alle persone di andare in boschi e luoghi frequentati dai cinghiali diffondendo, da portatori sani e inconsapevolmente, la peste suina in altre zone. Per sei mesi andiamo da un’altra parte. Se dobbiamo fare un sacrificio, facciamolo tutti come durante l’emergenza Covid. In quella occasione stavamo tutti a casa, in questa si può uscire ma evitiamo le zone a rischio di peste suina. Durante i ponti del 25 aprile-primo maggio dobbiamo proprio fare pic-nic e passeggiate in campagna? Ma questo è un mio pensiero». La seconda. «Questa situazione incerta va a inibire gli investimenti. Noi produttori di salumi stiamo attenti, non è che non lavoriamo più ma ci domandiamo: quale sarà il futuro?».