«In questi due anni sono stati presi provvedimenti sottodimensionati rispetto al problema è inutile negarlo, abbiamo perso tempo prezioso». A far capire il livello di criticità sull'epidemia di peste suina africana che sta coinvolgendo alcune zone del nord Italia è il presidente della Federazione suinicola nazionale di Confagricoltura Rudy Milani. In Italia sono attualmente 24 i focolai di peste suina riscontrati. Una situazione delicata e complessa che richiede prudenza, come ha dichiarato all'Ansa Giovanni Filippini il nuovo Commissario straordinario.
La linea Maginot dell'epidemia
Filippini, dopo le dimissioni di Vincenzo Caputo, nel luglio scorso, ha ereditato una situazione complicata e nel momento peggiore della diffusione della Peste suina africana. Di fronte al dilagare del contagio, con i focolai di Pavia e Parco del Ticino fino a Lodi che rischiano di propagarsi nei confinanti territori di Mantova, Brescia e Cremona, Filippini ha preso misure drastiche. La nuova ordinanza contro la diffusione della Psa, con regole valide per Lombardia, Piemonte ed Emilia-Romagna che resteranno in vigore fino al 30 settembre 2024, prevede l’abbattimento dei suini domestici contagiati, norme di prevenzione e innalzamento dei livelli di biosicurezza, quarantena nelle province di Lodi, Pavia e alcune attigue del Piemonte.
«Una linea Maginot contro la Psa, rinforzata da recinzioni intorno gli assi autostradali, che da Milano scende costeggiando l’A1, facendo da sbarramento per arginare l’avanzata degli animali infetti a est e a sud» entra nel dettaglio Rudy Milani. «Un grosso sacrificio per gli allevatori di queste zone, che per 30 giorni non possono movimentare i propri maiali per evitare, con lo spostamento degli animali, di propagare la malattia – commenta Andrea Cristini, allevatore di Brescia, titolare dell’azienda agricola Sant’Antonio a Isorelle, da 45-46 nel mondo dei suini, ed ex presidente Anas (Associazione Nazionale Allevatori Suini) – la densità interna degli allevamenti sta aumentando, le porcilaie sono piene di scrofe con i loro suinetti». Oltre questa linea, nella Lombardia orientale e a sud in Emilia Romagna, c’è il cuore della produzione salumiera italiana, certificata e non, dove sono concentrati allevamenti, aziende di produzione e di stagionatura. «Se arriva in queste zone finisce tutto, la salumeria italiana e la filiera delle Dop» commenta Andrea Cristini.
La colpa non è solo dei cinghiali
A darci uno spaccato preciso sulle modalità di diffusione e sulle criticità nelle azioni degli ultimi anni è Fabrizio De Stefani, direttore del Servizio veterinario di igiene degli alimenti dell’azienda Ulss n. 7 Pedemontana in Veneto. Al telefono spiega che il problema di base è che la trasmissione della malattia quando è legata ai cinghiali è lenta, progressiva e legata a un areale specifico. «Quando si assiste a un "salto" di areale le cause sono difficilmente riferibili alla fauna selvatica, ma più probabilmente al fattore umano, ovvero al non rispetto delle pratiche di igiene necessarie negli allevamenti e nello spostamento dei capi e degli operatori stessi da una zona all'altra».
In un contesto del genere la prevenzione si attua in primis in un contesto di biosicurezza e quindi rispettando scrupolosamente le pratiche igieniche per evitare che il virus entri negli allevamenti e da questi possa poi uscire. Le recinzioni, se ben fatte, sono utili così come gli abbattimenti, ma senza il rispetto delle regole igieniche negli allevamenti gli altri interventi non bastano. E purtroppo negli ultimi anni, c'è stata una generale sottovalutazione del problema mentre la Psa si diffondeva in altri stati europei: da una parte le istituzioni hanno sottovalutato il problema della diffusione dei cinghiali, dall'altra le aziende non hanno messo in atto misure serie di prevenzione. «Devo dire che su questo mi sembra che l'azione del nuovo commissario punti a portare avanti una strategia di azioni multifattoriali che coinvolgano tutta la filiera, ma i tempi sono molto stretti».
Peste suina: provvedimenti e soluzioni possibili
Ormai il cinghiale è fuori controllo, «oggi in Italia abbiamo almeno due milioni di capi, una popolazione abnorme rispetto al territorio» dice Rudy Milani. «La suinicoltura italiana deve fare un salto di qualità, migliorare gli standard di prevenzione contro tutti i contagi, non solo nei confronti della peste suina africana, noi allevatori dobbiamo fare tre passi avanti per migliorare questo aspetto della filiera» è la riflessione di Andrea Cristini. A tal proposito anche il dottor De Stefani spiega che la diffusione della malattia legata alle popolazioni di cinghiali è un elemento decisivo per la propagazione dell’epidemia, ma in questo caso l’andamento è prevedibile, progressivo ma lento. «Quello che non possiamo sapere sullo scenario immediato o prossimo è cosa succederà se un qualunque soggetto impegnato nella filiera non rispetterà scrupolosamente le regole di prevenzione in uno stato di emergenza che non è confinato alle sole zone dei focolai, ma che riguarda tutto il territorio nazionale».
Anche la comunità è chiamata a fare la sua parte. «Gli avanzi del cibo vanno smaltiti nell’umido – dichiara Milani – le carni che mangiamo potrebbero venire dai Paesi dell’Est, dove ci sono migliaia di focolari di Psa tra cinghiali e suini allevati, ed essere contagiate: se quello che avanza finisce nella spazzatura, dove spesso vanno a grufolare i cinghiali, si contribuisce a diffondere la malattia». C’è chi invoca un periodo di lockdown nei boschi e luoghi frequentati dai cinghiali per evitare la diffusione inconsapevole della malattia. E chi sta mettendo al sicuro in via preventiva le antiche razze rustiche in luoghi protetti in modo che non vadano perse le linee genetiche, come ha fatto il Consorzio di Tutela della Cinta Senese Dop, che ha riunito alcuni verri e scrofe riproduttori di cinta nell’isola di Gorgona, «non possiamo perdere la razza, ci abbiamo messo tanto a recuperarla» aggiunge Daniele Baruffaldi, ex presidente del Consorzio, ora consigliere e uno dei padri dell’iniziativa. Di sicuro all’inizio della diffusione del contagio sono stati presi provvedimenti sottodimensionati rispetto al problema.
Cosa chiedono gli allevatori
Gli allevatori sono tutti d’accordo: abbattimento massivo dei cinghiali, ristori rapidi, stop agli oneri e sospensione dei mutui. «Il commissario straordinario sta affrontando il problema da un punto di vista tecnico e afferma che la situazione è pesante ma non drammatica. Noi allevatori diciamo che è drammatica da un punto di vista commerciale – commenta Rudy Milani – ma non sono visioni in contrapposizione, sono i due lati della stessa medaglia. Giovanni Filippini è la persona giusta nel posto giusto, riconosciuto a livello europeo persona idonea a fronteggiare la situazione». E sottolinea che la questione «è squisitamente commerciale: la peste suina non contagia l’uomo, il propagarsi della malattia crea problemi economici dovuti alle restrizione delle zone, ai suini sani che vengono deprezzati, al blocco dell’export dei salumi in alcuni Paesi terzi».
Cosa è la peste suina africana
La peste suina è una patologia virale che riguarda suini e cinghiali selvatici che causa un'elevata mortalità negli animali infettati. Il virus che la provoca è assolutamente innocuo per l'uomo che non può contrarre nulla ne attraverso il contatto con gli animali, ne consumando la carne di un suino infetto. L'eradicazione della malattia può richiedere diversi anni e al momento non ci sono vaccini né cure, anche se negli scorsi anni sono state fatte alcune sperimentazioni in Asia. I segni tipici della malattia sono febbre, aborti, emorragie e morte improvvisa, mentre le modalità di contagio sono fondamentalmente due, ovvero il contatto diretto con animali infetti e il contatto con indumenti, veicoli o attrezzature contaminati.
Come dichiarato nei giorni scorsi dal commissario straordinario Filippini, definire drammatica la situazione in Italia è un'esagerazione, ma è bisogna essere prudenti. Al momento, come dichiarato all'Ansa dallo stesso commissario, ci sono 24 focolai attualmente attivi sulla Penisola di cui 18 in Lombardia, 5 in Piemonte e 1 in Emilia Romagna. Particolarmente sotto osservazione è la Lombardia che da sola ospita la metà degli allevamenti suinicoli italiani.