Dall'Italia alla Turchia. Gli ultimi anni di Pernigotti
L'estate del 2013 sarà ricordata dall'industria dolciaria italiana come la stagione dei grandi cambi al vertice. Allora, nel calderone degli storici marchi del made in Italy alimentare passati in mani straniere, finivano nel giro di poche settimane la Pasticceria Cova di Milano (acquisita da Lvmh) e la Pernigotti Spa, azienda piemontese specializzata in cioccolato e nocciolati, entrata tra le proprietà del gruppo turco Sanset, controllato dalla famiglia Toksoz (che opera pure nei settori farmaceutico ed energetico, ed è il maggior produttore di nocciole al mondo). Finiva così un lungo capitolo della longeva azienda dolciaria di Novi Ligure, 150 anni di storia per raggiungere i 75 milioni di euro di fatturato annuo e 150 dipendenti, all'epoca della cessione stipendiati dalla famiglia Averna, titolare unica di Pernigotti, che nelle dichiarazioni a caldo ad accordo concluso auspicava un futuro di “continuità e sviluppo”. Con la stessa fiducia, la famiglia Toksoz si diceva fiera dell'acquisto, e pronta “a potenziare la struttura, sviluppando collegamenti con nuove e interessanti aree geografiche”. Cinque anni dopo, il quadro è molto cambiato: di fatto molte delle produzioni a marchio Pernigotti sono state trasferite in Turchia, e in occasione dell'ultimo incontro convocato in Confindustria Alessandria i fratelli Toksoz hanno confermato l'intenzione di chiudere definitivamente lo stabilimento di Novi Ligure, lasciando a casa un centinaio dei 200 dipendenti in organico.
La storia di Pernigotti
Un taglio drastico con la storia del marchio, nato nel 1860 per iniziativa di Stefano Pernigotti, quando l'impresa nasceva nella piazza del Mercato come drogheria specializzata in droghe e coloniali, da subito produttrice di torrone (ma solo durante la prima guerra mondiale, l'impossibilità di utilizzare lo zucchero porterà a inventare una ricetta unica, con l'aggiunta di miele concentrato). La fondazione vera e propria della società, infatti, risale al 1868, con lo stanziamento di un capitale iniziale di 6mila lire per foraggiare la crescita della Stefano Pernigotti & Figlio, azienda alimentare specializzata in produzione dolciaria. Il figlio, Paolo, subentra a Stefano nel 1919. Seguono le tappe di un'ascesa costante nel mondo dell'industria italiana: nel 1927 la prima produzione industriale del gianduiotto, nel '35 l'acquisto della Enea Sperlari, l'anno seguente l'interesse per i preparati per gelateria, negli anni Sessanta il passaggio alla terza generazione di famiglia. Nel frattempo il quartier generale distrutto da un bombardamento durante la guerra si è trasferito negli ex magazzini militari di viale della Rimembranza, nello stesso stabilimento destinato a chiudere battenti. I momenti di crisi in passato non sono mancati (la cessione temporanea agli americani di Heinz nel 1981, la perdita in un tragico incidente stradale degli eredi che avrebbero dato continuità all'azienda, la fine della dinastia Pernigotti con la cessione ad Averna), mai però, prima d'ora, si era arrivati all'epilogo incontrovertibile che si profila all'orizzonte.
La crisi e la chiusura di Novi Ligure
I bilanci della gestione turca fanno registrare perdite per 13 milioni di euro, il mercato di Pernigotti è in flessione, la famiglia Toksoz non sembra disposta a rilanciare (in Italia, dunque, sarà mantenuta solo la rete marketing, con base a Milano, che servirà a supportare le vendite di un marchio che non scompare, ma farà capo solo a produzioni realizzate in Turchia, e fa abbastanza impressione leggere oggi l'intervista che il direttore generale di Pernigotti Massimiliano Bernardini rilasciava solo la primavera scorsa, prefigurando un 2018 all'insegna della crescita). E l'annunciato stop per lo stabilimento di Novi Ligure conferma il precipitare della situazione, mentre i lavoratori si preparano alla mobilitazione, sostenuti da un'intera città che non vuole perdere un pezzo così importante della sua storia. Dalla loro parte anche il sindaco di Novi Ligure, Rocchino Muliere, che chiede l'interesse delle istituzioni nazionali: “Una decisione assurda e inaccettabile. Occorre capire le cause che hanno portato la proprietà a presentare sempre solo perdite, nonostante il settore dolciario tiri. Una proprietà che non ha mai investito un euro sullo stabilimento. Ho già informato il prefetto Antonio Apruzzese e tutti i parlamentari del territorio, perché la questione deve diventare di rilievo generale ed essere trattata a tutti i livelli istituzionali con la massima attenzione”. La speranza? Trovare soluzioni alternative alla cessata attività. Auspicando che anche per Pernigotti possa profilarsi una seconda chance, come avvenuto per Melegatti a Verona, di nuovo in produzione grazie al gruppo vicentino Spezzapria in vista del Natale 2018 dopo oltre un anno passato tra tribunali fallimentari e mobilitazioni di piazza.
a cura di Livia Montagnoli