Una delle grandi fissazioni della nostra cucina riguarda gli inventori delle ricette. Siamo ossessionati dal sapere con certezza il nome e il cognome del genio che ha partorito qualche piatto famoso. Purtroppo, nella maggior parte dei casi, si tratta di creazioni molto antiche che hanno cambiato forma più volte nel corso di secoli e di padri fondatori non ne hanno uno, ma davvero troppi e molti anonimi.
Altre volte la nascita di un piatto è dovuta a circostanze fortuite che non vengono registrate, lasciandoci solo una manciata di ipotesi, ma senza una vera soluzione. Anche per le penne alla vodka sembrava regnare l’incertezza assoluta, ma recentemente abbiamo trovato una testimonianza che farebbe luce sulla loro vera storia. Molti ricordano questo piatto quando furoreggiava negli sfavillanti anni Ottanta sotto le luci stroboscopiche delle discoteche e ora sembra quasi dimenticato. All’estero però continua a essere una punta di diamante della cucina italiana e non ha subito l’ostracismo conosciuto in patria.
Penne alla vodka: tanti padri poche certezze
Le ricerche partono dal web, dove troviamo qualche informazione e molta confusione. Esistono diverse piste che dovrebbero condurre all’inventore delle penne alla vodka. La prima punta sul ristorante Orsini di New York sulla 56esima strada, aperto da Armando Orsini nel 1953 e rimasto in attività fino al 1984. Ian Macallen autore del libro Red Sauce, riporta che in passato il loro cuoco Luigi Franzese abbia reclamato la paternità del piatto, sostenendo di averlo inventato nel 1979. Nonostante le ulteriori ricerche, non ci sono altri indizi a supportare questa ipotesi che, come vedremo, non regge all’esame dei fatti. Le altre strade sono ancora più fumose: una seconda pista newyokese punta su James Doty uno studente della Columbia University che le avrebbe create negli anni ‘80, mentre Steve Seigelman nel suo Essentials of Italian, sostiene che siano opera di un anonimo cuoco romano che voleva lanciare una non meglio definita marca di vodka.
Tra Roma e New York si giunge a Bologna
Tra Roma e New York affiora però un’ipotesi suggestiva che punta su Bologna. La avanza Pasquale Bruno Jr. nel ricettario The Ultimate Pasta Cookbook dove si legge che le penne alla vodka sarebbero state inventate al ristorante Dante di Bologna. Aperto nel 1973 da Dante Casari, si afferma immediatamente come uno dei vertici della gastronomia cittadina, pur distaccandosi dall’ortodossia dettata da tagliatelle e tortellini. Dante diventa così il tempio della cucina creativa e internazionale, tanto da meritarsi una stella Michelin nel 1978. Quattro maître e un sommelier in sala, frequentazioni da jet set e, soprattutto, tanti piatti mai visti sotto le due torri.
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Le penne di Dante
Il ristorante è ormai chiuso da tempo e anche questa pista sembrava destinata a rimanere senza risposta se non fosse per un particolare: Dante Casari gode di ottima salute ed è ancora in attività nel suo ristorante Papa Re alla Bolognina. Sotto le torri lo conoscono tutti e lui si è stupito quando ha saputo che sulle pagine di Wikipedia era indicato come uno dei possibili inventori delle penne alla vodka. «Non penso di averle inventate io – sorride oggi Dante Casari – All’epoca al ristorante c’erano quattro maître che arrivavano da esperienze internazionali, avevano lavorato in altre città e sulle navi da crociera, sarà stato uno di quei ragazzi a portarle, però posso dire con certezza che nel 1975 le servivamo già». Dante tira fuori le fotografie dell’epoca, quando nel suo ristorante si cambiavano le orchidee tutti i giorni e si faceva il servizio in sala “alla lampada”, saltando e flambando le portate al tavolo. «Per quello – spiega – si facevano le penne: erano più comode da spadellare e la vodka assicurava grandi fiammate senza lasciare particolari retrogusti». Dante Casari è certamente stato un pioniere, ma nemmeno lui ha inventato le penne alla vodka. In ogni caso lui ci dà la certezza di una data: a metà degli anni Settanta la ricetta era già in circolazione in Italia. Così la ricerca continua…
L’ipotesi Tognazzi
Definire Ugo Tognazzi un appassionato di cucina sarebbe riduttivo. Geniale inventore in cucina, almeno quanto lo era sullo schermo, ci ha regalato molte ricette e vere e proprie performance, come quando cucinò 30 chili di spaghetti alla carbonara per 350 invitati alla presentazione del film Marcia Nuziale all’Hilton di Manhattan. Nel suo libro L’abbuffone, stampato nel 1974, tra le tante ricette descrive le “Penne all’infuriata” con aglio, peperoncino, pomodori e vodka, una sorta di upgrade delle penne all’arrabbiata. Molti hanno voluto vedere in questa ricetta il preludio delle classiche penne alla vodka, forse perché ancora oggi negli Stati Uniti in molti le cucinano senza pancetta, ma solo panna, pomodoro e vodka con una base di cipolla o aglio soffritti. Sebbene l’idea sia affascinante, non basta mettere la vodka sulla pasta all’arrabbiata per inventare le penne alla vodka.
A questa ipotesi è stato dedicato anche un godibilissimo documentario intitolato Disco Sauce: The Unbelievable True Story of Penne Alla Vodka, realizzato da Roberto Serrini nel 2022 e vincitore di numerosi premi. Scopriamo così che a New York sono un piatto estremamente diffuso e viene servito in molti ristoranti italiani, incluso il celebre Carbone che le propone a 32 dollari (!) a porzione. Il filmaker ha intervistato diversi chef chiedendo loro una personale interpretazione della ricetta, mettendosi alla ricerca degli ingredienti più pregiati per cucinare le migliori penne alla vodka di sempre. Un viaggio affascinante per noi italiani che le diamo per sepolte, mentre Oltreoceano fanno ancora impazzire, al punto che al supermercato si possono trovare i barattoli di salsa già pronti, di fianco alla “bolognese”, alla “marinara” e alla “Alfredo”. Purtroppo il documentario non svela nuovi indizi e dobbiamo scartare anche l’ipotesi di Ugo Tognazzi come padre del celebre piatto. Andiamo avanti. Anzi, indietro…
Roma, Osaka, Mosca
Siamo nel 1970 all’Esposizione mondiale e internazionale giapponese di Osaka (conosciuta più semplicemente come “Expo ‘70”) e l’Italia è ovviamente presente con un proprio padiglione. Sono esposti quattro veicoli frutto dell’ingegneria nostrana: il bob a due in vetroresina vincitore delle olimpiadi del 1968, la leggendaria motocicletta MV Agusta 500 di Giacomo Agostini, la FIAT 3 ½ HP del 1899 (la prima uscita dalla fabbrica torinese) e infine la futuristica Ferrari Modulo Pininfarina.
Il ristorante del padiglione conta 65 persone tra sala e cucina e sforna in continuazione spaghetti e tortellini, pizze e supplì. A capo di tutto ciò si trova lo chef Mario Zorzetto, forte dell’esperienza di tre anni prima all’Expo di Montreal. Forse questo nome dirà poco o nulla a molti, ma all’epoca Mario Zorzetto era l’animatore della dolce vita romana: prima con il Café del Paris in via Veneto, poi con Rosati dove serviva la zuppa di cipolle alle 3 del mattino a personaggi come Vittorio Gassman, Fred Buscaglione ed Ennio Flaiano. Durante la sua carriera gestisce svariati ristoranti come la Taverna Giulia e l’Elefante Bianco, ma diventa anche il cuoco personale di Gianni Agnelli, Carlo De Benedetti, l’Aga Khan e Aristotele Onassis.
Per sapere cosa è successo all’Expo di Osaka del 1970, sfogliamo il libro Osterie della vita e dell’amore pubblicato due anni più tardi da Livio Jannattoni, uno dei più grandi esperti di cucina romana. In quelle pagine Mario Zorzetto racconta che i rapporti con gli altri padiglioni erano tutt’altro che idilliaci, tranne che con i russi. A tarda sera, finito il servizio, lo chef cucinava spaghetti per tutti e i russi, ovviamente, portavano la vodka. Sarà stato il clima euforico delle serate o la nostalgia della grappa (Zorzetto era originario di San Donà del Piave), ma alla fine la vodka finì sulla pasta e così nacquero le penne alla vodka.
Roma by night
Tornato dall’esperienza giapponese, Mario Zorzetto perfeziona la ricetta e la inserisce nel menu della sua Taverna Giulia dandole un posto d’onore insieme agli spaghetti alla Gigi Riva, alla fondue à la Bourguignonne e il filetto alla Stroganoff. Due anni dopo il piatto aveva già iniziato a diffondersi nella Capitale e lo troviamo almeno in un altro ristorante, il Valle (detto “La biblioteca”), declinato con i cellentani anziché con le penne, ma poco importa.
Roma stava vivendo una stagione estremamente vivace da molti punti di vista, anche sul fronte gastronomico. Oltre che nelle immancabili trattorie e nei ristoranti di tutti i tipi, si poteva mangiare anche nelle discoteche e nei night club, alcuni dei quali offrivano piatti di alta cucina. Nelle notti sfavillanti della Città Eterna non era inconsueto andare nei locali per ascoltare musica e ballare, ma anche per mangiare piatti spadellati alla lampada con fiammate che illuminavano la sala in penombra. È proprio lì che le penne alla vodka iniziano la loro scalata verso il successo. Nello stesso periodo nascono anche altre ricette che ne copiano lo stile, come le penne al Cognac, una versione senza pomodoro (con panna e guanciale), oppure la variante chiamata “alla moscovita”, con salmone affumicato, panna e caviale. E vodka, ovviamente.
Le penne alla vodka e la movida romana
Se le penne alla vodka fossero rimaste un affare romano forse oggi non se le ricorderebbe nessuno, ma la Capitale negli Anni ‘70 era tutt’altro che una città isolata. I turisti, soprattutto gli americani, la adoravano. Non solo per le sue rovine, la cultura, il clima, ma anche per la gastronomia. In pieno centro esistevano già enormi ristoranti “acchiappaturisti”, come Meo Patacca a Trastevere che arrivava a fare 1.500 coperti in un giorno. I proprietari erano una coppia di americani che l’avevano arredato con cimeli romani, modellini di navi e camerieri in costume tipico, facendolo assomigliare a un set di Cinecittà. E se il ristorante era una meta amatissima dagli americani, lo era molto meno dai romani.
Le penne alla conquista del West
Sarà stato forse un turista di passaggio, o molto più probabilmente un cuoco italiano emigrato a New York, a portare le penne alla vodka dall’altra parte dell’Atlantico. D’altronde lo scambio tra le due sponde dell’oceano continuava a regalare grandi piatti che andavano ad arricchire la cucina italo-americana. È significativo che i primi cenni alle penne alla vodka si trovino proprio nei giornali americani e che sia un ricettario statunitense dedicato alla cucina dell’Italia del Nord a riportare la prima ricetta. Le prime impressioni, per essere sinceri, furono tutt’altro che lusinghiere, tanto che nel 1981 la rubrica “Dining out” del New York Times descrive le penne come “immerse in una salsa che ha un sapore simile a un’Alfredo alcolica, una mescolanza non ben definita di panna, formaggio e liquore”. Anche in patria non ebbero grande successo di critica: Giovanni Nuvoletti, storico presidente dell’Accademia italiana della cucina, in un articolo sulla Stampa del 1983 le bolla come “piatto raccapricciante”.
La vodka e il fascino russo
Forse qualcuno la pensa così anche oggi, ma nonostante i pareri negativi il piatto si diffonde a macchia d’olio contagiando mezzo mondo. È difficile spiegare il successo delle penne alla vodka cercando altri elementi se non il fatto che sono davvero buone. Forse ha giocato un ruolo la loro anima internazionale: la pasta era tipicamente italiana, la panna rappresentava la parte più pop della cucina francese, la pancetta affumicata strizzava l’occhio ai palati anglosassoni e, infine, la vodka era una sbirciatina oltre la Cortina di Ferro verso l’altra superpotenza globale. È questo ingrediente la vera novità. Non dal punto di vista del gusto, visto che si tratta del liquore più insapore che si conosca, ma per la sua capacità di evocare scenari inediti. Parliamo degli anni in cui Russia e Stati Uniti si contendevano la supremazia del mondo sfidandosi nella corsa alle armi, nella conquista dello spazio e sul campo delle competizioni sportive. In piena guerra fredda, questa pasta poliglotta e globalizzata attira le simpatie di tutti. Inutile dire che in breve tempo le penne alla vodka diventano il simbolo della creatività italiana in cucina: saporite, divertenti, facili e veloci, rappresentano il piatto per eccellenza delle serate in discoteca e delle cene con gli amici per tutti gli anni Ottanta. Avvicinandosi il nuovo millennio, però, tutto cambia e le penne vengono relegate all’angolo, per poi scomparire.
La scomparsa, ma solo in Italia
Il destino della scomparsa, però, riguarda solo l’Italia: all’estero la vodka sauce rimane una delle salse per la pasta più apprezzate. I motivi che hanno fatto la fortuna di questo piatto sono gli stessi che ne hanno decretato l’abbandono da parte degli italiani nel giro di un ventennio. Troppo esterofile per essere riconosciute come piatto nazionale: pancetta affumicata e vodka non erano certo due prodotti identitari di cui qualcuno potesse invocare la paternità. Per non parlare della panna, messa fuorilegge insieme ai piatti che ne avevano abusato: dai tortellini, ai tagliolini al salmone, fino alla pasta 3P (panna, prosciutto e piselli). L’incessante dovere degli italiani di giustificare ogni singolo piatto con il richiamo a una cultura tanto antica quanto immobile, ha condannato all’esilio le penne alla vodka. Per noi rimangono il simbolo degli anni Ottanta, un ricordo sbiadito che però non ha mai cambiato volto, come i miti scomparsi senza invecchiare. Le penne alla vodka sono il nostro Che Guevara.
Un’amatriciana con panna e vodka
L’esilio, però, non è la morte. Gli Stati Uniti continuano a essere un enorme collettore di tendenze globali che si diffondono e contagiano gran parte dei paesi occidentali (e non solo). D’altronde questo piatto conserva ancora una propria dignità culinaria, soprattutto se si dosa la panna con oculatezza e si scelgono ottime materie prime. Dovremmo essere i primi a reclamare l’invenzione delle penne alla vodka: finalmente qualcosa che non cucinavano le nostre nonne, ma un simbolo della creatività italiana che viene apprezzato da milioni di persone ancora oggi. Le loro origini italiane, anzi romane, sono dovute a un grandissimo interprete della nostra cucina, ingiustamente dimenticato, e si potrebbero addirittura accostare alle più sacre ricette della tradizione. Forse conoscete lo schema che parte dalla cacio e pepe, poi aggiunge guanciale e ottiene la gricia e da questa con l’uovo fa una carbonara, oppure un’amatriciana aggiungendo il pomodoro. Basterebbe fare un passo di più e il gioco è fatto. In fondo, cosa sono le penne alla vodka se non un’amatriciana corretta con l’aggiunta di un po’ di panna?