La pasta è la più amata degli italiani, poi c'è a chi piace lunga o corta, liscia o rigata, ma l'importante è avere gli strumenti per scegliere quella giusta.
La pasta, è questione di grano e provenienza
Per la produzione della pasta secca classica si utilizza la semola che risulta dalla macinazione del grano duro, Triiticum Durum coltivato soprattutto nelle zone del Sud Italia, Puglia e Sicilia in primis. In Italia esistono aree e territori più o meno vocati alla produzione, con caratteristiche climatiche e territoriali che si riflettono positivamente sugli aspetti organolettici, prima della semola e poi della pasta. Ecco perché sono molti i piccoli pastifici che scelgono di specializzarsi nella produzione di pasta monograno, realizzata con grani italiani coltivati in aree particolarmente vocate, in grado di conferire aromi e sapori particolari. Basti pensare al grano Senatore Cappelli, (diffuso soprattutto in Basilicata e in Puglia), da cui se ne ricava una pasta dal sapore speziato, intenso, quasi di pane cotto a legna. O al Matt (coltivato in Puglia e in Sicilia) che regala alla pasta un sapore delicato e rotondo, dal burro al cocco disidratato. Le principali varietà di grano duro coltivate nelle zone del Tavoliere Pugliese sono il grecale, il simeto e la saragolla, considerata sin dagli inizi del ‘900 la varietà migliore per la produzione della pasta. Tuttavia, sono molti i pastifici italiani che producono con semola di grano duro importata dall’estero, soprattutto dal Marocco, da Cipro, dalla Spagna, dagli Stati Uniti e dal Canada.
I processi di produzione della pasta, da ieri a oggi
Il profumo, il sapore e la consistenza della pasta dipendono tanto dalla tipologia e dalla provenienza del grano duro utilizzato, quanto dal rispetto di alcune regole fondamentali durante la coltivazione, la raccolta e il processo di produzione. A un’accurata selezione del grano deve seguire infatti un’attenta macinazione. Il grano deve essere dapprima setacciato, quindi ripulito dalle impurità del raccolto e solo in ultimo macinato. A questo punto la semola è pronta per il pastificio. Ma vediamo le diverse fasi: impasto, gramolatura, trafilatura, essiccazione e raffreddamento. I processi di produzione della pasta sono gli stessi da sempre, quel che è cambiato nel tempo, è la tecnologia. Con l’introduzione di macchinari innovativi, sono cambiati tempi e scenari. Un tempo l’impasto lo facevano gli artigiani con i piedi, l’essiccazione avveniva lungo i vicoli dei paesi, sulle terrazze. Era il pastaio che, affidandosi alla sua esperienza, decideva quando impastare ed essiccare.“I maccheroni si fabbricano con lo scirocco e si asciugano con la tramontana” diceva un antico detto. Solo agli inizi del ‘900, con la comparsa dei primi macchinari evoluti, il laboratorio classico si trasforma in una vera e propria fabbrica. E la meccanizzazione coinvolge tutti i settori della produzione della pasta, dai mulini con la diffusione dei sistemi a cilindri, al pastificio vero e proprio con l’introduzione dei primi prototipi della pressa continua, per arrivare poi alla produzione della pasta a ciclo ininterrotto.
Impasto e gramolatura
Oggi cosa succede quando la semola arriva in pastificio? In una prima fase si procede all’impasto, la semola viene mescolata al 20-30% di acqua purissima: in questo modo l’amido e le proteine si legano all’acqua e inizia a formarsi il glutine, una rete proteica che lega i granuli d’amido idratati. Nel caso del grano duro la maglia glutinica che si forma è piuttosto stretta, imprigiona una buona quantità di amido, evitando che la pasta diventi collosa in cottura. Nella preparazione dell’impasto si cerca di ottenere il risultato migliore attraverso la combinazione ideale tra la temperatura dell’acqua, la grana della semola e le condizioni climatiche. È in questa fase che i migliori pastifici si affidano all’esperienza e all’antico sapere dei bravi pastai, più che all’efficacia delle macchine moderne. Con la fase della gramolatura, poi, l’impasto ben lavorato diventa omogeneo ed elastico e raggiunto il cosiddetto “punto di pasta”, viene spinto lungo il cilindro verso le trafile, che conferiranno alla pasta la forma definitiva. La trafilatura della pasta può essere in bronzo, in teflon (in genere nelle marche più commerciali) o in oro.
Essiccazione e raffreddamento
La pasta che esce dalle trafile contiene ancora troppa acqua, circa il 30% del suo peso complessivo, che deve essere ridotto almeno al 12.5%, attraverso il processo di essiccazione. Quest’ultimo un tempo, come in alcuni casi ancora oggi, prevedeva tre fasi: l’incartamento, il rinvenimento e l’essiccazione definitiva. Con la prima fase si procedeva a una disidratazione superficiale ponendo la pasta al sole, poi la si faceva rinvenire sistemandola in un luogo fresco con un certo livello di umidità che consentisse di ammorbidire la crosta superficiale formata in precedenza. In ultimo si procedeva con l’essiccazione definitiva: la pasta veniva tenuta anche per lunghi periodi in luoghi asciutti e lontani dai raggi diretti dal sole a temperature il più possibile controllate. Si trattava, allora come oggi, di un processo particolarmente complicato. Il pastaio si affidava soprattutto all’esperienza e alle condizioni climatiche. Oggi le industrie moderne possono contare sulla precisione di celle di essiccazione a temperatura e umidità controllata o sull’efficacia di tunnel ad aria riscaldata. Nonostante ciò, rimane una delle fasi più complesse e delicate dell’intero processo di produzione: da essa dipende in gran parte la consistenza, la tenuta in cottura e il sapore del prodotto finale. L'ultima fase è quella del raffreddamento o stabilizzazione durante il quale la pasta ritorna a temperatura ambiente. A questo punto è pronta per essere confezionata. Ma approfondiamo un attimo la fase dell'essiccazione.
Focus sulla fase dell'essiccazione
Un’essiccazione ben fatta permetterà alla pasta di conservare tutta la fragranza del grano, rispettando il più possibile il lavoro fatto in campo e al mulino. È in questa fase che la conoscenza delle proprietà del prodotto e delle migliori condizioni con cui trattarlo entrano in gioco più di qualsiasi altro aspetto e credenza. La pasta è un composto che ha due diverse proprietà di stato: la plasticità e l’elasticità. Con un tenore di umidità superiore al 20-22%, la pasta si trova nello stato plastico, ovvero si deforma in seguito a sollecitazioni esterne mantenendo costante la forma acquisita. Quando l’umidità scende al di sotto del 19-17%, invece, acquisisce la proprietà opposta, diviene elastica: si deforma, quindi, in seguito a una sollecitazione esterna ma ritorna allo stato iniziale quando la sollecitazione cessa. Il passaggio da uno stato all’altro, per effetto della diminuzione di umidità, dunque, deve essere il più breve e controllato possibile, proprio per evitare che la pasta subisca danni significativi come venature, fessure e bottature (ogni pastaio ha il suo termine pittoresco per definirne i difetti). La pasta corta viene adagiata sui telai, mentre la lunga viene stesa sulle canne, successivamente viene passata sui carrelli e introdotta in celle statiche dove viene lasciata ad essiccare. Le temperature ideali per l'essiccazione vanno dai 40° ai 50°, per un minimo di 18 ore a un massimo di cinque giorni. Tempi e temperature sono fondamentali affinché la pasta conservi al meglio il suo colore e il sapore originario del grano. Oggi in molti pastifici industriali l’essiccazione avviene a temperature fino a 130° con tempi molto ridotti (dalle 3 alle 5 ore); ciò garantisce, oltre che una sostanziale riduzione dei tempi, una buona tenuta di cottura a scapito dei sapori e delle caratteristiche originarie del grano.
I consigli per gli acquisti di Peppe Guida
Che siate in una bottega o al supermercato è importante sapere quali sono i parametri da guardare per riconoscere una buona pasta secca. Negli scaffali c’è da perdersi tra formati, marchi e tipologie differenti. Per andare a colpo sicuro in fase di acquisto, ci siamo fatti consigliare da Peppe Guida: “Non c'è molto da dire: scegliete una pasta trafilata in bronzo, riconoscibile a occhio nudo per la sua rugosità. Evitate dunque una pasta troppo liscia, brillante e gialla ambrata, sinonimo di una trafilatura al teflon”. Seppure una trafilatura in teflon eseguita secondo i giusti criteri possa garantire una pasta dal buon sapore, le trafilature in bronzo e in oro assicurano una migliore finitura superficiale. Più ruvida e porosa è, più la pasta assorbe il condimento con facilità, garantendo al palato una consistenza migliore. La stessa porosità, tuttavia, facilità l’assorbimento dell’acqua in fase di cottura; per questo la pasta trafilata in bronzo deve essere cotta sempre al punto giusto per avere un buon “dente”. Oltre al processo di produzione, Guida punta i riflettori sulla materia prima e sul prezzo: “Prestate attenzione alla provenienza delle semole: io ovviamente scelgo i grani italiani. E non badate al prezzo: anche se la pasta costa 10 € al chilo, significa investire 1 € al giorno (perché una persona in media non mangia più di un etto al giorno di pasta) su un cibo sano e italiano. Se il pacco di pasta costa 80 centesimi, qualche dubbio me lo porrei. Che è poi lo stesso discorso che faccio da anni per l'olio”. Dunque - aggiungiamo noi - sebbene la trasparenza in etichetta non infici la reale qualità del prodotto, è giusto premiare le aziende che lavorano sulla comprensibilità dell’etichetta e la chiarezza grafica: la provenienza del grano impiegato (obbligatorio per legge), i tempi di essiccazione, il tipo di trafilatura e i valori nutrizionali devono essere ben visibili.
Questo articolo è tratto dal volume “Pasta secca” dei Manuali di cucina del Gambero Rosso