Abbiamo chiesto ad agronomi, biologi e nutrizionisti di far chiarezza su alcuni punti salienti riguardanti la pasta e di delinearci i pro e i contro del glutine debole, dei grani siciliani, della pasta integrale. Poi abbiamo anche affrontato l'annoso problema delle micotossine.
I pro e i contro del glutine debole
I frumenti “alternativi” idonei per la pastificazione sono il farro dicocco, il grano khorasan o Triticum turanicum e popolazioni locali di grano duro come le saragolle, i grani antichi siciliani e vecchie varietà come il Senatore Cappelli. Questi frumenti sono stati “scelti” dagli agricoltori nel corso dei secoli per la loro adattabilità ambientale e la resa produttiva. La selezione in funzione della qualità di trasformazione (qualità tecnologica) è storia recente, degli ultimi 40-50 anni, nei quali la selezione operata dai costitutori vegetali è andata in direzione di aumentare il contenuto proteico e la quantità di glutine, accrescere la tenacità del glutine, ridurre il contenuto di amido, elevare la resa molitoria. Pertanto, nell’ambito dei grani “alternativi” è frequente individuare varietà con una quantità di glutine estratto più bassa rispetto a quelle moderne e, soprattutto, di scarsa tenacità (struttura del glutine più debole), di facile scomposizione, quindi più digeribile.
La pasta fatta con queste varietà di frumento
La pasta fatta con queste varietà di frumento hanno il pregio di essere adatte a coloro che soffrono di gluten sensitivity (sensibilità al glutine non celiaca) o vogliono mangiare “leggero”, ma per essere di qualità e avere tenuta alla cottura ha bisogno di un processo di pastificazione particolare. Tutto deve essere più lento: l’impasto, l’estrusione e l’essicazione. Inoltre, è impossibile stabilire una ricetta di lavorazione standardizzabile e buona per tutti: ogni prodotto, ogni raccolto, ogni località di provenienza della materia prima richiedono un aggiustamento dei parametri. Questi grani hanno molta variabilità e il pastificio deve costantemente correggere il tiro a misura delle caratteristiche qualitativo/tecnologiche, della quantità di proteine e di glutine dei grani di quell’anno. Sulla qualità della pasta influisce anche un terzo parametro, la quantità di amido presente, in particolare la frazione “resistente”, che è quella non digeribile e che ha un comportamento simile alle fibre, quindi contribuisce ad abbassare l’indice glicemico della pasta.
a cura di Oriana Porfiri
agronoma ed esperta di cereali
Perché i grani siciliani vanno per la maggiore?
I grani antichi sono varietà locali da conservare e tutelare: un vero e proprio scrigno di biodiversità. L’altezza delle spighe dà loro un vantaggio competitivo rispetto alle infestanti che si trovano naturalmente nel campo e le rende adatte alle coltivazioni in biologico. Le radici più profonde permettono invece una più efficiente estrazione dei nutrienti dal terreno. Allora perché li abbiamo dismessi a favore dei frumenti moderni? Intanto perché hanno una resa molto bassa; il loro glutine, inoltre, non sempre è capace di sostenere alcuni processi di produzione e trasformazione.
Recentemente i grani, antichi e moderni, sono oggetto di indagini per capire quali varietà possono essere utili per quella fascia di consumatori che sebbene non siano celiaci dichiarano di essere wheat sensitivity: hanno cioè difficoltà a digerire i cereali. Oggetto di queste ricerche, oltre al glutine e ai suoi “epitopi tossici”, sono anche altre classi di molecole come le ATI (inibitori dell’amilasi/tripsina), proteine contenute nei cereali per rendere le piante più resistenti all’attacco dei parassiti, e i FODMAPs (Fermentable Oligosaccharides Disaccharides Monosaccharides And Polyols), zuccheri che innescano processi di fermentazione e possono provocare disturbi assimilati alla sindrome dell’intestino irritabile. Diversi sono gli studi in corso in Sicilia, tra i quali uno riguarda il perciasacchi, un grano turanicum uguale al kamut e autoctono della Sicilia, l’altro riguarda la mappatura genetica dei grani duri antichi siciliani per avere la loro carta d’identità precisa. Ma una cosa è certa, ed è dimostrata da diversi programmi di ricerca: il grano siciliano ha un grande punto di forza. Il clima caldo e secco dell’isola permette di trebbiarlo a umidità molto bassa, conferendogli un bassissimo rischio di essere contaminato da funghi che producono tossine dannose per la salute.
a cura di Giuseppe Russo
biologo ricercatore del Consorzio di Ricerca sui cereali Gian Pietro Ballatore di Palermo
La vera differenza non è quella tra grani “antichi” e grani moderni
C’è una grande mistificazione sui grani antichi che tende a considerarli nettamente migliori da un punto di vista nutrizionale rispetto a quelli moderni. Le modificazioni introdotte ai fini della produttività non hanno comportato in realtà alcun svantaggio, neanche in merito alla presunta maggior allergenicità. Le principali differenze invece riguardano i vari tipi di cereali tra di loro e in particolare tra quelli integrali e quelli decorticati. Le fibre sono importanti dal punto di vista salutistico: la letteratura internazionale lo dice chiaro e tondo. I cereali integrali, oltre ad avere più sali minerali e vitamine, soprattutto quelle del gruppo B, sono ricchi di fibra – l’8-8,5% contro il 2,5% di quelli raffinati, con punte di 9% nel khorasan – e di betaglucani, con un impatto positivo sulla salute, specie in soggetti che soffrono di diabete, obesità e malattie cardiovascolari.
Ma non è tutto oro quel che luccica
Non tutti i sali minerali e le vitamine contenuti nei cereali integrali sono biodisponibili, o lo sono poco, a causa dei fitati, biocomposti naturali presenti che si legano ai sali minerali impedendone l’assorbimento. Inoltre, rispetto ai cereali raffinati, il contenuto maggiore di lectine, sostanze che facilitano le infiammazioni dell’intestino, e di FODMAP, composti molto fermentabili, possono peggiorare alcuni sintomi nei pazienti affetti da colon irritabile. Altro discorso per la pasta gluten free e di farina di legumi, dove l’assenza di glutine rende più complicata la lavorazione. Anche se oggi queste paste sono migliorate sotto il profilo della qualità organolettica e di composizione, rimane il problema dell’alta temperatura alla quale vengono sottoposte necessariamente per compattare le materie prime, sviluppando la furosina e gli AGE, dall’inglese Advanced Glycation End-product: entrambi hanno una valenza potenzialmente tossica, e danno la misura della carenza della lisina, amminoacido essenziale presente nei cereali.
a cura di Luca Piretta
gastroenterologo, nutrizionista e docente all’Università Campus Bio-Medico di Roma
Pasta e micotossine
DON è l’acronimo con cui è conosciuto il deossinivalenolo, una micotossina dannosa per l’uomo e gli animali che colpisce soprattutto i cereali e prodotta da alcune specie fungine (muffe) appartenenti al genere Fusarium. È nota anche con il nome curioso di vomitossina, perché tra i vari effetti di intossicazione figura anche il vomito. Colpisce i grani antichi e moderni senza distinzione, così come i frumenti nazionali rispetto a quelli importati, l’unico vantaggio di quelli a spiga alta precedenti alla rivoluzione verde è una maggiore resistenza agli sbalzi climatici.
Recenti analisi sulla pasta tranquillizzano
Recenti analisi sulla pasta, condotte presso l'Istituto Superiore di Sanità, hanno riscontrato valori di DON molto al di sotto dei livelli di legge, fissati dal Regolamento europeo 1881 del 2006, che definisce i tenori massimi di alcuni contaminanti nei prodotti alimentari. Il valore medio riscontrato sulla pasta è dell’ordine di 67 microgrammi/chilo, poco più di un decimo rispetto al limite massimo stabilito dalla legge di 750 microgrammi/chilo. Il mondo produttivo, dunque, consegna al consumatore un prodotto sicuro per tutte le fasce di età, inclusa quella post-infantile.
Bisognerebbe ridiscutere il limite massimo consentito di micotossine
Ma si può fare di più. Il lavoro che come ricercatore sto portando avanti è indirizzato non certamente ai produttori, quanto ai legislatori per verificare la possibilità di ridiscutere il limite massimo consentito ed eventualmente abbassarlo per garantire una maggiore tutela della salute delle fasce di consumatori più vulnerabili, come quella dei bambini di età sopra i 3 anni. In Italia possiamo permetterci il lusso di fissare soglie più restrittive di deossinivalenolo: le nostre condizioni climatiche, soprattutto nel meridione, non favoriscono l’attacco fungino in campo, contrariamente a quanto avviene nei Paesi del nord, e i prodotti all'importazione sono soggetti a severi controlli prima della loro nazionalizzazione. Per contrastare gli effetti dei cambiamenti climatici, è essenziale adottare opportune misure preventive per ridurre in campo il rischio di DON, come ad esempio la selezione delle varietà, la lavorazione del suolo, con aratura profonda del terreno per evitare la contaminazione tra coltivazioni, l’uso oculato delle sostanze di sintesi e, sempre, la buona pratica agricola con la rotazione delle colture.
a cura di Carlo Brera
foto di apertura di Lido Vannucchi
primo ricercatore presso il Dipartimento Sicurezza Alimentare, Nutrizione e Sanità Pubblica Veterinaria dell’ISS (Istituto Superiore della Sanità)
Per approfondire le tematiche trovate uno speciale sulla pasta nel numero di agosto del mensile del Gambero Rosso, che potete trovare in versione digitale su App Store o Play Store
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