In questi giorni Barcellona celebra Manuel Vazquéz Montalbán, scomparso vent’anni fa. Manolo, come lo chiamavano tutti, era uno scrittore dalle grandi passioni letterarie e politiche, ma anche (e non poco) gastronomiche. Tra i suoi amori c’era anche l’Italia, Paese che ne ha tradotto il maggior numero di libri e che l’ha omaggiato con il Premio Internazionale Grinzane Cavour nel 2000: in occasione della cena per quella sera di festa di 23 anni fa a Torino, Manolo chiese che venissero cucinate solo pietanze presenti nei libri di Cesare Pavese.
Pepe, il detective che ama la gastronomia
Il “suo” famoso detective, Pepe Carvalho, apparso nel romanzo Tatuaggio (1974), si definisce “un ex poli, un ex marxista e un gourmet”, amante della gastronomia e del mangiare come atto di consapevolezza e critica culturale. Pepe condivide le passioni culinarie del suo autore; la pasta, ad esempio, ma al punto che avrebbe barattato l’opera completa di Rembrandt per un bel culo di donna o un piatto di spaghetti alla carbonara. Fa spesso gli spaghetti a casa, sceglie piatti dai nomi intriganti, che garantiscano congetture gastro-storiche a tavola, meglio se comiche. Gourmet goloso di controversie, non considera la pasta solo un’opera d’arte, ma un’esperienza divina, magica:
“Dalla dispensa portò su in cucina un’attraente scatola (…) era una macchina per fare la pasta all’italiana, con il semplice procedimento di infilarci farina e acqua oppure uova attraverso un imbuto di plastica trasparente, metterci un filtro a seconda del tipo di pasta desiderato e aspettare che ne uscissero le tenere creature (…) quando i teneri vermicelli raggiunsero la statura di quaranta centimetri li affettò ed essi caddero agonizzanti in una conca di duralex (…) Carvalho sperimentava un’emozione che supponeva simile a quella di Dio quando aveva fatto evolvere la tracina e l’aveva trasformata nel primate da cui sarebbe uscito l’uomo”.
Spaghetti alla checca arrabbiata
Magica ed essenziale, come gli Spaghetti alla checca arrabbiata: pomodoro quasi crudo, aglio, peperoncino, basilico. Magia che diventa:
“una squisita dimostrazione che, con la pasta, con qualsiasi ingrediente, raggiunge un risultato magico di autentica mutazione qualitativa”.
O gli Spaghetti all’Annalisa, ricetta con poca letteratura in Italia che include salmone, panna, basilico, uova:
“Sull’origine di questo piatto non posso dirti niente. Però porta il nome di spaghetti Annalisa e immagino che la stessa duplicità del nome traduca la duplicità di un piatto in cui l’elementarità della cucina del sud si mescola con l’invasione vichinga di salmoni affumicati e crema di latte”.
Il legame tra Catalogna e Italia in cucina
Sono arrivati prima i vichinghi in Italia o gli spaghetti? Domanda d’obbligo gustandosi gli Spaghetti all’Annalisa. Chi osi interpretare questi spaghetti come carbonara con salmone, panna e basilico commette una carvalhiana bestemmia, vittima dell’ottusità dell’uovo. Dovrebbe chiedere scusa alla prima Annalisa che si trovi davanti.
Vazquéz Montalbán racconta del singolare legame tra la Catalogna e la cucina italiana. La parola pasta appare già nel 1429 in catalano e, dall’Ottocento, al porto di Barcellona arrivano navi con prelibatezze dall’Italia. Quando lo scrittore inizia a viaggiare nel bel Paese, si gode tutte le delizie. La sua traduttrice, Hado Lyria, ricorda:
“di ogni città della Penisola, sempre circondato da amici, aveva assaggiato i piatti: mostarda, tortelli di zucca, pesce spada, pajata, fonduta, cassoeula, i rigogliosi bolliti di Bologna, il lardo di Colonnata”.
I ristoranti romani di Montalban
Sebbene legato a tante realtà regionali italiane, Roma occupa un posto speciale nelle sue scritture, è memoria e storia del palato. La Roma imperiale rappresenta il primo mercato gastronomico globale, quella attuale il crocevia dei sapori d’Italia. Tra i suoi ristoranti e piatti preferiti della Capitale:
Agata e Romeo, a Piazza Vittorio dal 1974 (ora chiuso): Farfalloni con anemoni di mare e funghi porcini
Al Ceppo, ai Parioli dal 1968: Fusilli bucati corti con zucchine, gamberi e olive nere allo zafferano.
Dal bolognese, a Piazza del Popolo dal 1955: Bollito
E poi Checchino dal 1887, a Testaccio: Rigatoni con la pajata, Bucatini alla gricia, Gnocchi alla romana, ma anche Coda alla vaccinara, Fritto misto alla romana, Abbacchio alla cacciatora.
Ma Checchino per Manolo va oltre: ristorante storico, artefice delle glorie della cucina povera, creativa, che usava rimanenze e avanzi del Mattatoio per realizzare piatti economici. È affascinato dall’arte del quinto quarto.
L’ultima cena italiana di Pepe Carvalho in Milenio (2004), il romanzo che chiude la serie, è proprio da Checchino. E nel ristorante di finzione c’è Carlo Petrini. L’autore conosce e condivide le politiche ambientali e gastronomiche del gruppo piemontese sin dagli anni Ottanta e concede a Slow Food uno spazio commemorativo, un palcoscenico globale, una sorta di eco-gastro-comizio.
L'ultima ricetta: la fideua catalana
E alla fine, il detective che ha de degustato e fatto a mano spaghetti, maccheroni, cappelletti e cannelloni, offre un’ultima ricetta di pasta in Milenio: la fideuá catalana, una pasta di pesce di cui nessuno in Italia conosce profumi, secreti o misteriosa sensualità. Scoprite la fideuá questi giorni, per celebrare la memoria del buon Manolo e rivivere le avventure di Pepe Carvalho.