La Fondazione Gambero Rosso, creata con lo scopo di dare attenzione e risalto ai temi di ordine sociale e della ricerca, porta avanti con dedizione questa rubrica dedicata alle donne, non tanto perché crediamo nelle quote rosa ma perché è fondamentale parlare e sensibilizzare sulla parità di genere. Ed è altrettanto fondamentale farci portavoce di donne che hanno raggiunto importanti obiettivi nel proprio settore. Qui l'intervista ad Antonia Klugmann, chef de L’Argine a Vencò.
Intervista ad Antonia Klugmann
Nella sua esperienza lavorativa quali sono stati, se ce ne sono stati, gli ostacoli che lei ha dovuto affrontare in quanto donna?
Non penso di aver dovuto affrontare degli ostacoli specifici in quanto donna. Nelle cucine c’è un senso di meritocrazia che consente ad ogni professionista, qualunque sia la sua provenienza e la sua condizione, di emergere nel momento in cui sia competente ed efficiente. Tuttavia, dopo i primi anni di apprendistato, sono sempre stata consapevole di essere una delle poche. In qualunque settore, qualunque sia il lavoro e l’ambiente, quando è presente un'unica donna in un gruppo di soli uomini le sue specifiche esigenze risultano più difficili da affrontare e quindi anche da gestire.
Nel suo attuale ruolo quali leve gestionali sta utilizzando per facilitare il mondo femminile?
L’età media dei nostri collaboratori è molto bassa e il nostro è un gruppo molto aperto, in termini non solo di età, ma anche di provenienza. Quello che cerchiamo di fare è essere sensibili rispetto alle esigenze di ciascuno, indipendentemente dal genere. Per quanto riguarda i curriculum che riceviamo per la cucina notiamo che c’è un continuo aumento della percentuale di donne.
Quali proposte o modifiche proporrebbe alle autorità di governo per accelerare il raggiungimento della parità?
Penso che chi ci governa abbia già a disposizione gli strumenti per analizzare la situazione e trovare le leve più efficaci per raggiungere la parità il prima possibile. Settori come quello turistico ristorativo hanno delle caratteristiche molto specifiche che di conseguenza meritano un’analisi puntuale. Compito dei cittadini è fare pressione in modo che il tema della parità diventi una priorità dell’agenda politica.
Da parte mia sento di segnalare la necessità di investire nell’istruzione delle donne sostenendo i giovani talenti in ogni campo. Per quanto riguarda la ristorazione, oggi c’è una nuova idea di cuoco che supera, per fortuna, lo stereotipo di una volta. Credo, tuttavia, che finché il “lavoro di cura” continuerà a ricadere soltanto sulle donne è evidente che i talenti femminili avranno sempre meno possibilità rispetto a quelli maschili di esprimersi in ambito professionale. E questo è negativo per l’intera società. Una spartizione equa del lavoro di cura è presupposto indispensabile perché il talento sia reso evidente e valorizzato qualunque sia il genere di appartenenza di ciascun individuo.
Quali modalità e quali formule suggerisce per sensibilizzare e rendere consapevole il mondo maschile di questo gap? Un gap che, peraltro, ha conseguenze anche sul PIL.
Il divario è presente ed è un problema che va affrontato in modo trasversale rispetto ai diversi ambiti lavorativi. Credo che il lavoro di cucina e di sala a causa degli orari e delle specificità che li caratterizzano abbiano bisogno di un’attenzione particolare. Credo che nessun intervento legislativo o economico possa raggiungere il suo scopo se a monte non si lavora, prima di tutto nelle scuole, per superare la cultura, ancora troppo diffusa nel nostro paese, secondo cui gli individui possono essere compresi e giudicati semplicisticamente in base ad alcune caratteristiche fisiche o del gruppo di appartenenza. È indispensabile per garantire un effettivo cambio di passo non delegare gli uomini la narrazione delle disparità di genere.
Ci racconti un aneddoto, positivo o negativo di una delle sue esperienze sul tema.
Negli ultimi anni i clienti sono divenuti più sensibili riguardo alla questione femminile in cucina. Spesso mi chiedono come mai anche nella mia brigata le donne siano una minoranza. E la risposta è sempre stata perché ogni volta che ho selezionato un nuovo collaboratore nessuna donna con un profilo adeguato ha applicato o ha accettato di effettuare una prova. Nel mio caso, infatti, è evidente che, essendo io stessa una donna, il genere non è una barriera all’ingresso. La scarsa presenza femminile nelle cucine rappresenta purtroppo la situazione delle scuole alberghiere e il frequente abbandono della nostra professione da parte delle ragazze ancora convinte, e talvolta effettivamente costrette, a dover scegliere tra il lavoro e la vita personale.
Il maggior interesse alla questione non ha ancora determinato il superamento dei cliché collegati alla donna che cucina, seppur professionalmente. Non è ancora stato assimilato il concetto di quanto il mondo femminile, così come quello maschile, sia vario e pieno di sfumature. Anche solo l’idea che la cucina debba essere maschile o femminile non corrisponde alla verità.
illustrazione di Ilenia Tiberti
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