La Fondazione Gambero Rosso, creata con lo scopo di dare attenzione e risalto ai temi di ordine sociale e della ricerca, porta avanti questa rubrica dedicata alle donne, non tanto perché crediamo nelle quote rosa ma perché è fondamentale parlare e sensibilizzare sulla parità di genere. Ed è altrettanto fondamentale farci portavoce di donne che hanno raggiunto importanti obiettivi nel proprio settore. Qui l'intervista a Valentina di Camillo.
Intervista a Valentina di Camillo
Nella sua esperienza lavorativa quali sono stati – se ce ne sono stati - gli ostacoli che lei ha dovuto affrontare in quanto donna?
La mia è una realtà familiare come tante e così, come per tante altre donne del vino, l’ingresso in azienda non è stato immediato e naturale. Dopo la laurea in Chimica e tecnologia farmaceutiche, inizialmente decisi di seguire la passione per la ricerca scientifica e per le piastre di agar. La facoltà di Enologia e Viticoltura è arrivata subito dopo, complice la decisione di mio fratello Luigi di continuare una storia di famiglia ancora ai primi capitoli. A distanza di vent’anni, ammetto che fu mia madre a rappresentare l’ostacolo più grande nel mio inserimento, insinuando in me il dubbio che quella di rientrare in azienda non fosse la scelta più giusta. Quella del vignaiolo è una vita bella ma molto dura, piena di variabili e di incertezze.
Ci faccia un esempio.
L’attualità dei nostri giorni ci racconta l’ennesimo momento di forte instabilità e insicurezza. Dietro tanti racconti romantici e di successo, c’è tanta fatica e c’è tanto sudore che i miei genitori conoscono bene e che a quel tempo avrebbero voluto risparmiarmi. Per mia mamma era tempo di uno stipendio fisso e certo, ancor più di un riscatto sociale (ai suoi occhi rischiavo non mi venisse riconosciuta come donna la posizione di rispetto che meritavo) e anche, soprattutto, di riscatto economico (l’Abruzzo di fine anni Novanta incentrava il suo racconto e il suo assetto economico sulla cooperazione sociale - di cui siamo tutti noi figli - e sulle cisterne di vino sfuso che partivano per due soldi, destinazione il grande e ricco Nord).
Nel suo attuale ruolo quali leve gestionali sta utilizzando per facilitare il mondo femminile?
Nessuna leva gestionale, usiamo tutto il buon senso di cui possiamo disporre. E così come per i nostri ragazzi che sono padri e mariti e hanno le loro esigenze personali e familiari, proviamo (compatibilmente con la nostra gestione interna di un’azienda a carattere familiare) ad accogliere con flessibilità le necessità delle nostre lavoratrici; lasciandole libere di gestire i loro turni, conciliando gli impegni lavorativi e la vita privata.
Quali proposte o modifiche proporrebbe alle autorità di governo per accelerare il raggiungimento della parità?
Non c’è legge che tenga se a cambiare non è l’approccio culturale della nostra società. Aprire le nostre menti, destrutturarle. Imparare a leggere l’attualità del tempo che stiamo vivendo è la rivoluzione più grande che possiamo regalarci. Quella delle nuove generazioni è di fatto una nuova storia, una nuova contemporaneità e non ha niente a che vedere con quella vissuta dai nostri genitori e dai nostri nonni. Io, a 43 anni non sono madre e non sono moglie, sono una imprenditrice. Fino a qualche anno fa il mio sarebbe stato un racconto che da qualche parte mancava, una condizione (in quanto donna) che avrebbe creato perplessità, colpevole di non aderire a un unico modello di vita e conseguentemente di famiglia. Oggi no.
Nel concreto, come favorirebbe la parità di genere?
La parità di genere non si raggiungerà finché le autorità di governo proveranno a risolverla con strumenti datati e inefficaci. Applicare, ad esempio, le quote rosa significa (neanche troppo tacitamente) continuare ad ammettere l’inferiorità della donna, un modo un po’ poco intelligente per fingere apertura e modernità. Finché il ricambio generazionale verrà chiesto solo alle aziende ma non al mondo politico, ci sarà poco da discutere su strategie e programmi innovativi. Uno dei motivi per i quali sempre meno giovani sono interessati alla vita politica del nostro Paese è dettato dall’incapacità dei nostri politici (uomini e donne che siano) di comprendere nuovi modelli di società e di fare un passo indietro quando necessario. Passo indietro che sapientemente i nostri padri in vigna e in cantina hanno fatto da un pezzo.
Quali modalità e quali formule suggerisce per sensibilizzare e rendere consapevole il mondo maschile di questo gap? Un gap che, peraltro, ha conseguenze anche sul Pil.
Continuo a ribadire: è necessario un cambio generazionale su tutti i livelli. L’esempio più bello lo stanno dando ora le giovani realtà imprenditoriali dimostrando quanto le nuove energie in campo e nuove visioni possano fare bene a tutto il comparto vitivinicolo. Spero sia soltanto questione di tempo perché si aprano ai giovani anche le porte “istituzionali”. Condicio sine qua non: competenza, studio e dedizione.
Ci racconti un aneddoto (positivo o negativo) di una delle sue esperienze sul tema.
Ho recentemente fatto visita con un’altra amica produttrice a un’azienda in Borgogna. Ad accoglierci la figlia, addetta all’accoglienza e alle degustazioni. Subito dopo il padre. E poi il giovane figlio per un breve saluto. Dietro le loro spalle all’ingresso su una parete bianca una foto di famiglia, l’unica, in bella mostra, un ritratto di tre generazioni di vignaioli. Tutti sorridenti, tutti abbracciati. Tutti uomini. Solo uomini. Quell’immagine mi ha colpita molto. Così tanto da soffermarmici ancora qualche secondo all’uscita: mancava di sensibilità e di profondità. Come i loro vini.
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