La Fondazione Gambero Rosso, creata con lo scopo di dare attenzione e risalto ai temi di ordine sociale e della ricerca, porta avanti con dedizione questa rubrica dedicata alle donne, non tanto perché crediamo nelle quote rosa ma perché è fondamentale parlare e sensibilizzare sulla parità di genere. Ed è altrettanto fondamentale farci portavoce di donne che hanno raggiunto importanti obiettivi nel proprio settore. Qui l'intervista a Elena Fucci, produttrice di vino e patron dell'omonima azienda.
Intervista a Elena Fucci
Nella sua esperienza lavorativa quali sono stati – se ce ne sono stati - gli ostacoli che lei ha dovuto affrontare in quanto donna?
Il lavoro dell’enologo, per storicità e tradizione è un lavoro prettamente maschile, o almeno lo è stato per un periodo molto lungo. Oggi mi sento di dire che è un lavoro “maschile” forse più per scelta delle donne stesse che per reale richiesta del mercato od opportunità. Nelle cantine e nelle aziende vinicole italiane, oggi molte donne (anche le ultime generazioni che entrano in azienda) scelgono di studiare materie economiche, marketing, comunicazione e lingue per occuparsi di alcuni settori che forse risultavano o risultano ancora sguarniti nel panorama vitivinicolo. Oggi non ci sono limitazioni o preclusioni alle donne che vogliono studiare agraria ed enologia, però il numero ancora non è così consistente come invece sembrerebbe magari partecipando alle principali manifestazioni enologiche italiane. Personalmente non ho mai subito discriminazioni o limitazioni nella mia carriera sia universitaria che professionale/lavorativa. Forse, volendo proprio scavare un po' più in profondità è proprio nella mia regione d’appartenenza dove ho constatato un percorso più in salita nell’affermarmi come imprenditrice donna ancor prima che professionista Enologa. Dispiace ancora oggi un po' questo atteggiamento che invece non ricevo a livello nazionale e internazionale.
Nel suo attuale ruolo quali leve gestionali sta utilizzando per facilitare il mondo femminile?
Nonostante un periodo molto difficile come quello che abbiamo vissuto negli ultimi due anni, a causa della pandemia Covid (sperando che la crisi in Ucraina e quella energetica non allunghi questo periodo di stress), non abbiamo bloccato il nostro progetto di crescita aziendale e sociale, ampliando il nostro organico con l’assunzione a tempo indeterminato di una nuova quota rosa: la Signora Lucia. Una quota rosa proprio perché in questi ultimi due anni, le donne sono quelle che lavorativamente parlando si sono sacrificate di più, dovendo restare a casa per sostenere la famiglia e soprattutto per seguire i figli a causa delle scuole chiuse e l’obbligo della DAD. Abbiamo facilitato il suo inserimento nella nostra organizzazione con un orario flessibile rispetto a quello dei colleghi maschi, per permetterle di continuare a seguire la sua famiglia e le esigenze dei figli. Le donne sono il pilastro portante della famiglia, specie quando non c’è il supporto dei nonni (altro pilastro importante delle famiglie italiane) e mi è sembrato doveroso agevolarle il suo ingresso nel mondo del lavoro.
Quali proposte o modifiche proporrebbe alle autorità di governo per accelerare il raggiungimento della parità?
Sinceramente credo che trovare strumenti normativi che regolino l’accesso al mondo del lavoro alle donne sia davvero difficile, diverso il discorso invece quello che riguarda l’equiparazione dei salari e degli stipendi, che ad oggi dovrebbe essere regola imprescindibile (seppure utopisticamente parlando dovrebbe essere una condizione già in essere; indipendentemente dal sesso per categoria di lavoro/mansione i salari/stipendi dovrebbero essere già uguali in automatico, anzi senza dover prendere in considerazione il sesso per la determinazione del compenso). Piuttosto l’amministrazione centrale ma anche quelle periferiche dovrebbero mettere in atto strumenti che permettano alle donne di prendere in considerazione l’accesso al mondo del lavoro senza dover rinunciare alla condizione naturale di essere genitore e di avere una famiglia. La maternità nel senso più amplio dell’espressione, quindi non solo i mesi di congedo riconosciuti, ma l’intero periodo di crescita di un figlio (quindi parliamo di anni) è il punto critico nella scelta di una donna tra famiglia e lavoro (e lo abbiamo visto ancor di più in questo periodo di pandemia, dove con scuole e asili chiusi hanno inciso in maniera determinante sul mondo lavoro-donna).
Quali modalità e quali formule suggerisce per sensibilizzare e rendere consapevole il mondo maschile di questo gap? Un gap che, peraltro, ha conseguenze anche sul Pil.
La sensibilizzazione (anche inteso come presa di coscienza culturale da parte delle donne, e quindi non solo rivolta al sesso maschile) è sicuramente un aspetto importante da sviluppare, che deve partire (come tante altre cose) già dalle scuole dell’infanzia e durante tutto il periodo di crescita culturale. Cercando di non rimanere sempre sul piano teorico e istituzionale, ma facendo toccare con mano alle persone questo problema di disparità tra uomo e donna, già nel quotidiano dove ogni uomo è figlio di una donna, e al tempo stesso padre di una figlia che potrebbe incontrare tali disuguaglianze. Più che un problema da affrontare con normi e legge, credo che vada affrontato come “ragione di cultura” a 360 gradi, solo così si potrà avere davvero un cambiamento globale, facendo diventare queste situazioni condizioni normali e naturali, anziché l’obbligo di rispetto di una norma o di un codice.
Ci racconti un aneddoto di una delle sue esperienze sul tema.
Come buon auspicio di crescita e di miglioramento di questa problematica, vorrei raccontare un aneddoto positivo. Ricordo durante il mio percorso universitario, la classe era composta da circa 22 studenti, di cui solo 2 ragazze… ed è un ricordo positivo, quasi agiato… poiché i nostri colleghi maschi ci trattavano sempre con cortesia e attenzione; ci lasciavano ad esempio i posti migliori per parcheggiare le biciclette, più vicino all’ingresso dell’aula specie quando pioveva per non bagnarci. Oppure facevano a gara a chi doveva portarci un caffè tra un corso e l’altro… Essendo solo in due eravamo molto coccolate e avevamo dei privilegi dati anche da un certo grado di galanteria. Ecco perché anche a livello universitario non credo di avere mai avuto problemi di disparità, ne con i professori ne con i colleghi, che quindi spero abbiano continuato a comportarsi sempre con lo stesso spirito una volta entrati nel mondo del lavoro, a dimostrazione che il problema principale di questo aspetto è culturale, e bisogna entrare il prima possibile nelle famiglie a dare l’impulso corretto.
illustrazione di Ilenia Tiberti