Continua l’ascesa del re dei grandi lievitati della tradizione natalizia. Il panettone, con la sua cupola tondeggiante, la forma allungata e il suo bel colore biscotto conquista alla sola vista. Soffice al tatto, morbido al taglio e di colore giallo all’interno, ha un’alveolatura omogenea e allungata: non deve infatti sbriciolarsi allo strappo, ma “fare il filo”, ovvero staccarsi in piccoli pezzi allungati. All’assaggio deve sprigionare un aroma di burro, vaniglia e agrumi, con una consistenza scioglievole e morbida, senza ammassarsi né lasciare una patina unta al palato. Uvetta e canditi ben distribuiti nella mollica e glassa di copertura croccante, quando c'è. Queste sono le caratteristiche di un buon panettone artigianale, un prodotto che sta riscuotendo sempre maggior successo e che lega la sua bontà anche alla digeribilità. Dicembre è il suo mese, e sono vari gli eventi per gustarlo e celebrarlo di cui abbiamo parlato.
Com’è nato il panettone. Tra storia e leggenda
Come tanti dei prodotti gastronomici delle feste, anche la narrazione sulla nascita del panettone è sospesa tra storia e leggenda. Di certo c’è che è nato a Milano, e ci sono non uno ma ben tre racconti sulla sua origine. Quella più accreditata è la storia di Toni risalente al 1495, che ci catapulta alla corte di Ludovico Maria Sforza, conosciuto come Ludovico il Moro signore di Milano. In occasione della vigilia di Natale, i cortigiani sono riuniti attorno a grandi tavole imbandite per festeggiare con un pasto degno di questo giorno. Le cucine sono in fermento e tutti sono impegnati nelle preparazioni delle varie pietanze, talmente indaffarati che il capo cuoco chiede a un giovane sguattero di nome Toni, di seguire la cottura del dolce previsto per la fine dell’eroico pasto. Toni però si addormenta, bruciandolo. Impaurito per la reazione del capo cuoco, cerca di rimediare all’errore commesso.
Fortuna vuole, che avesse preparato un dolce per sé e i suoi amici utilizzando gli avanzi dell’impasto del pane a cui aveva successivamente aggiunto uova, burro, canditi e uvetta. Decide così di rischiare il tutto per tutto e di proporlo al capo cuoco come dessert per gli ospiti del Duca, che dopo un primo momento di dubbio si convinse a servirlo in tavola. Tutti i commensali apprezzano e il dolce viene soprannominato “el pan de Toni” in dialetto meneghino, in onore del suo creatore. Passano gli anni e la ricetta si diffonde in tutta Italia, e il nome si trasforma: da “pan de toni” diventa panettone.
Dalla stessa epoca del primo, giunge un secondo racconto sempre ambientato alla corte di Ludovico il Moro, ma che questa volta vede protagonista un tal Ughetto, giovane figlio di Giovanni Atellani che, innamoratosi della figlia di un fornaio, si fa assumere in bottega. Per aiutare le vendite decide di arricchire il pane con burro e zucchero, e poi anche con pezzetti di cedro candito e uova. Fu un tale successo che i due si sposarono e (come tutte le storie a lieto fine) vissero per sempre felici e contenti! L'ultima vicenda è invece legata a una suora, una certa Ughetta, che per rallegrare il Natale delle consorelle decise di aggiungere all’impasto del pane zucchero, uova, burro e cedro candito. Il nome dei due personaggi non è una casualità; infatti “ughet” in milanese significa proprio uvetta.
L’origine storica del panettone
Lasciando da parte le leggende, le prime testimonianze scritte risalgono al 1606, quando il primo dizionario milanese-italiano presenta il termine Panaton, ovvero pane grosso che si suole fare il giorno di Natale. Panettone, etimologicamente significa proprio “grande pane”. E Tre “grandi pani” venivano spezzati e distribuiti ai familiari dal “pater familias” nella cerimonia del ceppo: una tradizione natalizia milanese, di cui parla Pietro Verri nella sua “Storia di Milano”, edita fra il 1782 e il 1799. L’unica certezza è che il panettone è legato alla tradizione dell'epoca medievale, di preparare in occasione del Natale, dei pani molto ricchi, che venivano serviti a fette dal capofamiglia ai commensali. Rimanendo nel campo dei documenti ufficiali, Francesco Cherubini, invece, nel suo celebre Vocabolario milanese-italiano stampato fra il 1839 e il 1856, riporta: “Panaton o Panatton de Natal come una specie di pane di frumento addobbato con burro, uova, zucchero e uva passerina o sultana”.
Curiosità: i panettoni di San Biagio
Tra le usanze più curiose legate a questo dolce tipico milanese, quella di San Biagio è una delle più famose. Questa prevede che venga messo da parte una porzione del panettone mangiato a Natale fino al 3 febbraio, giorno in cui si festeggia il Santo. In questa occasione deve essere consumato insieme alla propria famiglia, rigorosamente a digiuno. Perché? È un buon augurio contro i mal di gola e i malanni, in quanto San Biagio è il martire protettore della gola. Una tradizione tipicamente meneghina in cui si uniscono religione e leggenda, tant’è che ancora oggi i negozianti di Milano il 3 febbraio vendono a prezzi ribassati i cosiddetti panettoni di San Biagio, nient’altro che quelli rimasti invenduti.
Il consumo del panettone e la sua evoluzione
Che il Panettone l’abbia inventato Toni, Ughetto o Ughetta, poco importa. I dati parlano chiaro, secondo una recente indagine Doxa, gli italiani non intendono rinunciare al panettone e il 60% ne acquista più di uno, prediligendo la versione classica che non può proprio mancare sulla tavola di Natale. Il 48% lo considera un lusso democratico da consumare in famiglia, e il 35% un dono perfetto da portare ad amici e parenti. Già da qualche anno la produzione industriale sta calando, a favore di quella artigianale, che invece registra una crescita maggiore al 10%, mettendo in evidenza come nelle scelte degli italiani vinca la qualità. E nel frattempo si allunga anche il periodo di massimo apprezzamento, da ottobre a gennaio si registrano le maggiori vendite, ma c’è anche chi porta avanti la sfida di proporlo in ogni stagione. Come il maestro pasticcere Vincenzo Tiri, il cui panettone è da vari anni tra i migliori della ricorrente classifica del Gambero Rosso e che ha dedicato al grande lievitato il suo locale di Potenza. Anche quello di Felice Venanzi è disponibile all year long nella sua pasticceria Gruè, indirizzo capitolino che ha appena conquistato le Tre Torte della Guida Pasticceri & Pasticcerie 2023.
Artigiano che vai, panettone che trovi
Nonostante in molti stiano lavorando per slacciare il consumo del panettone dal solo periodo natalizio, se c’è un mese di elezione in cui mangiarlo è proprio dicembre, quando si fanno le file fuori dalle insegne dei migliori artigiani della città o magari ordinando nelle piattaforme di e-commerce il proprio dolce preferito tra i molti proposti, ognuno con la sua impronta e i propri segreti, come ci ha raccontato Matteo Dolcemascolo. Ma non sono più solo le pasticcerie a sfornare panettoni, ma anche pizzerie, forni, ristoranti. La mania di produrre il famoso dolce delle feste contagia tutti, e ognuno ci tiene a mettere la propria firma, grandi chef inclusi, non rinunciando a picchi creativi. Si può innovare la tradizione, purché venga fatto con cura, così da quello al cioccolato o al pistacchio, si passa a quelli con erbe, fiori e spezie, e perché no a quelli accompagnati da creme spalmabili o salse. Senza considerare le versioni salate.
Il panettone dei mastri pasticceri in genere è quello più legato alla tradizione, con alveolatura larga e mollica filante, pizzaioli e fornai, abili nel maneggiare lievito madre, producono prodotti alti e ben lievitati, che si avvicinano più all'idea originale di pane dolce, mentre gli chef danno seguito al loro stile. Cosa fondamentale per tutti è la qualità delle materie prime, a partire dal burro, uvetta e canditi. Per riconoscere l’artigianalità di un panettone si deve far attenzione all’etichetta, che deve essere il più corta possibile, pochi ingredienti e bandito l’utilizzo di mono e digliceridi degli acidi grassi, che ne allungano la shelf life a sfavore della qualità. Noi vi aiutiamo nella scelta sempre più ardua, vista la moltitudine di buoni panettoni in commercio, con la nostra classifica 2022 che uscirà a giorni.
a cura di Vivian Petrini