Quest'anno il premio Panettieri Emergente per la guida Pane e Panettieri d'Italia è andato ad Andrea Cirolla, di Bergamo, classe 1983, non più giovanissimo - non ce ne voglia, lo diciamo con spensieratezza dato che chi scrive è coetanea - ma esponente convinto di un modo di fare imprenditoria in crescita: «Fare da solo, fare poco, concedendomi il lusso di poter lavorare il pane e poco altro». Un modello imprenditoriale che stride con la generazione di Andrea e quella che la precede, le generazioni con il culto dell'iperproduttività, per le quali lavorare tante ore rappresenta un vanto, ma che si sta facendo strada tra tanti nuovi artigiani (qui ne abbiamo parlato con il gelatiere Gianfrancesco Cutelli). Certo, l'essere «maniaco del controllo e poco incline a delegare» o l'essersi trasferito a Galatina, gli ha dato la giusta spinta.
Il panificio ispirato da Eugenio Pol
«Ho iniziato da Cascina Sant'Alberto a Rozzano, successivamente, dal 2017 al 2019, ho lavorato da Davide Longoni. Anche se il mio primo maestro rimane Eugenio Pol. Ho scoperto il suo pane da Ratanà a Milano, spesso andavo a “elemosinare” una micca di montagna lì, poi un giorno ho deciso di inviargli una lettera. Ne è nato un rapporto epistolare e poi un'amicizia, con Pol condividiamo la passione per il jazz e una certa letteratura». Ma di Milano Andrea si stanca. «Volevo recuperare una dimensione più tranquilla, dove avere un contatto diretto con gli elementi naturali. Mia moglie è salentina e io ho fortemente spinto per trasferirci in Salento, vari incastri fortuiti mi hanno assecondato e così ci siamo trasferiti a Galatina. Due mesi prima del primo lockdown». Ciononostante Andrea non si scoraggia e a marzo 2021 apre Settecroste, panificio contemporaneo che - con coraggio - resta aperto solo tre giorni a settimana.
Il pane di Settecroste
Non un panificio tradizionale, «la sensazione è quella di fare ingresso in un luogo d’eccezione. Essenziale, lineare, intimo», scrive l'ispettrice che è andata a visitare in anonimato il panificio. E continua: «Qui la biodiversità è la regola, con farine da grani selezionati e macinati a pietra, fattori che restituiscono profumi inebrianti: Duri del Sud con il grano duro che offre il territorio, le varietà al farro, all'orzo salentino, al grano Senatore Cappelli, Saragolla, Tummina e Urria, o ancora il Russello di Castiglione d’Otranto e segale integrale». Pani che hanno conquistato le persone del posto e non. «Circa la metà dei clienti arriva da fuori», ci racconta Andrea, «arrivano anche da Santa Maria di Leuca, vengono una volta alla settimana a far scorta», tanto il suo pane si conserva per giorni. Il nome Settecroste non è casuale.
Il mito del pane dalle sette croste
Un pane dalle sette vite. «C'è anche questo senso all'interno del nome Settecroste», spiega. «Poi il sette in qualsiasi cultura, religione, tradizione, mitologia è un numero fortemente simbolico». Ma nello specifico il nome del panificio deriva dal libro “Pane nostro” di Predrag Matvejevic: «Nel testo c'è il mito, che elabora lui chiaramente prendendo dei riferimenti dalla letteratura di ogni tempo, del pane dalle sette croste, legato ai destini degli ultimi. Un pane che dà nutrimento al corpo ma anche all'anima, un pane che accompagna. Vi leggo il passaggio dal quale nasce il nome del mio panificio perché ce l'ho stampato (e incorniciato, ndr) qui in negozio: “Molti sono i destini, collettivi e singoli che dipendevano e dipendono dal pane, in vari modi e in diversa misura. Ma alcuni esseri umani hanno forse patito di più degli altri: i santi, gli eremiti, i monaci, gli anacoreti, i pellegrini, i mariani, i carcerati. I mendicanti, gli zingari, e i poveri. Per tutti costoro il pane delle sette croste è stato ristoro del corpo e il sostegno dell’anima”. Da qui la scelta del grande formato e del tipo di lavorazione, con pasta madre, che per me è l'unica possibile. Un pane di lunga vita». Lunga vita al pane. E alla libertà di ognuno di scegliere il modello imprenditoriale che più gli si addice.