La cucina è condivisione, ci dicono tutti. Ormai se non fai del “food sharing” sei solo un gastrofighetto tossico, un individualista alimentare, un sociopatico, uno il cui orizzonte finisce dove termina il proprio piatto. Ordino quindi sono. Il cibo è un fattore sociale, mangiare è un atto politico e ordinare tutti insieme è un gesto di piacevole collettivismo che mi sento di incoraggiare. Da ciascuno secondo le sue capacità, a ciascuno secondo i suoi bisogni. E l’ultimo boccone, se possibile, è il mio. Però la pagnotta, ecco, la pagnotta, mi spinge a un po’ di prudenza.
Addio cestino sciatto
Parlo della pagnottina che viene servita inesorabilmente a un certo punto di una cena di un pasto fine dining, non subito perché altrimenti ci si ingozza e non stiamo mica in trattoria, e che viene celebrata dal maître con comprensibile solennità: ne declama le virtù, gli ingredienti, la produzione propria, e insomma, ormai non ci si può rilassare nemmeno al momento del pane, e qualcuno ha anche trasformato il servizio dell’alimento più antonomastico in una voce del menu, e naturalmente in questo caso c’è da attendersi un congruo assortimento di burri di Normandia e di oli extravergine prodotti sempre da un amico dello chef (quanto tutti sono amici nel grande circo della gastronomia, i domatori se la fanno volentieri con i contorsionisti e con i clown).
L'igiene? Non pervenuta
Ma il punto non è questo. Il punto è che la suddetta pagnotta, che ha sempre una forma a cupola leggermente schiacciata, viene messa al centro del tavolo con un taglio a croce che produce quattro comode fette. Ehi, ho detto comode? Scusate, è stato un lapsus. Il taglio infatti è un po’ fake, non arriva fino in fondo perché altrimenti la pagnotta perderebbe la sua estetica integrità. Il taglio suggerisce più che dividere, evoca ma non conclude, è un po’ come quelle linee tratteggiate che indicano come vada tagliato un foglietto o un cartamodello.
Il risultato è che ciascun commensale, per tradurre il pensiero in atto e conquistare quindi la sua agognata fetta di pane, deve impugnare l’intera pagnottina e strappare con un adeguato uso della forza la sua quota parte. Ed è inutile cercare metodi creativi per svolgere questa biblica mansione, non c’è verso: il primo commensale toccherà l’intera pagnotta e quelli successivi ciò che ne resta. E l’ultimo si troverà con una fetta di magnifico pane gourmet con sopra le impronte digitali di tutti gli altri, ottime in caso di delitto, un pochino meno se non è previsto l’intervento della scientifica.
Evviva i grissini
Ora, non sono un tipo particolarmente schizzinoso. A me il pane multicereali e multismanacciato non dà particolarmente noia. Ma sono anche un osservatore e non mi sfuggono gli sguardi lievemente infastiditi di certi commensali al momento della suddivisione manuale. Li noto soprattutto quando mi trovo al tavolo in pranzi e cene stampa con colleghi a cui mi legano solo distratti saluti saltuari e il destino di esser finiti nello stesso tavolo quel giorno là. Ed è così che quel pane là finisce a volte nel piattino alla sinistra del piatto e non viene toccato, e a esso vengono preferiti più igienici grissini.
Questa moda – nata proprio nella stagione successiva a quella del grande distanziamento da pandemia – passerà e tra qualche anno le pagnotte in croce saranno solo un ricordo, nemmeno il più vivido. Ma nel frattempo è meglio se ci abituiamo a essere tipi un po’ alla mano.