Tra mito e storia
Il mondo delle ostriche, e l'immaginario direttamente collegato al loro consumo, può essere molto colorito. Per esempio, com'è successo di recente a Capalbio, può capitare di ritrovarsi ad assistere alla sfida da guinnes dei primati di apertura ostriche, davanti alla prova del campione mondiale della “disciplina”, Marcel Lesoille (bretone, ca va sans dire), che in un minuto, di gusci riesce ad aprirne ben 41. O di scoprire, curiosando in giro per approfondire il tema, l'esistenza di una confraternita “des chevaliers de l'Huitre de Bretagne”, nata in Francia all'inizio del Novecento su iniziativa di biologi marini, gastronomi allevatori e commercianti di ostriche - “per difendere il frutto di mare dal pericolo di estinzione e divulgarne le caratteristiche organolettiche in tutto il mondo”- che da tempo ha trovato sede, per la propria ambasciata italiana, a Venezia. Non una scelta casuale, e anzi un preciso riferimento alla storia dei popoli della Laguna di un tempo, i Paleoveneti, che lungo le coste della Bretagna trovarono condizioni favorevoli per stabilire proprie colonie, e sviluppare tecniche di allevamento ittico all'origine dell'ostricoltura. E questo ci introduce al tema ben più concreto del mestiere di allevatore di ostriche, da cui dipendono le sorti del mercato del pregiato mollusco, che richiede pazienza e grande conoscenza dell'habitat ideale per la crescita delle ostriche.
L'acquacoltura e l'allevamento di ostriche
In generale, i dati sulla richiesta di prodotti di acquacoltura raccontano di un mercato in espansione costante, che in ambito comunitario non ha però dato luogo a una crescita conseguente della produzione: l'Europa continua a importarne il 70% del consumo totale, mentre in Italia, negli anni Duemila la produzione di specie in acquacoltura (mitili e vongole per il 63%, trote, spigole e orate per il 35%) è addirittura calata (nel 2002 185mila tonnellate, già scese nel 2013 a 140mila). Ma le potenzialità del settore sono tangibili, specie quando la specializzazione degli allevamenti si concentra sull'ostricoltura. E allora la Sardegna ha pensato di finanziare uno sviluppo controllato del comparto che possa generare nuove fonti di occupazione attraverso la ricerca e l'innovazione applicate a un mestiere antichissimo (all'epoca dei Romani, per iniziativa di tal Sergio Oratus, risalirebbe l'idea di allevare ostriche in incubatoi nell'area della Gironda, tra Normandia e Bretagna, oltre 2000 anni fa).
Ostrinnova. La nuova ostricoltura in Sardegna
Il progetto è stato ribattezzato Ostrinnova, si innesta su una produzione regionale ostricola che è la più alta in Italia – la Sardegna sviluppa il 60% della produzione nazionale, ma l'Italia è ultima in Europa, con il suo 0,03%, in un quadro che vede primeggiare la Francia, con l'85%, anche se qualitativamente l'ostrica made in Italy è di grande qualità - ed è condotto dalla Fondazione IMC - Centro Marino Internazionale con la collaborazione delle agenzie regionali Agris Sardegna, Agenzia Laore e Istituto Zooprofilattico Sperimentale, e delle Università di Cagliari, Sassari e Stirling in Scozia, ma tutte le imprese del settore interessate a partecipare possono chiedere di entrare a far parte del progetto, al momento ancora in fase di monitoraggio delle aree individuate lungo le coste dell'isola. In particolar modo i ricercatori hanno già avviato progetti pilota in tre zone lagunari, a Santa Gilla, Tortolì e San Teodoro, mentre sono in fase di sperimentazione nuove tecniche di allevamento triploidi (per la specie Ostrea gigas triploide). Ma l'intero piano di sviluppo si articolerà per i prossimi tre anni (con il finanziamento di Sardegna Ricerche), mirando a promuovere la produzione sostenibile delle ostriche nel sistema produttivo della molluschicoltura in Sardegna, con particolare interesse per la produzione del seme, così che la filiera sia controllata dall'inizio alla fine, senza ricorrere a importazioni all'origine, di seme o ostriche da pre-ingrasso (una pratica molto diffusa, da cui restano immuni, al momento, solo gli allevamenti di San Teodoro e della Laguna di Scartovari, sul Delta del Po, dove l'introduzione dell'ostricoltura è una scommessa, vinta, a partire dal 2007, con i primi carichi di Perla del Delta disponibili sul mercato solo da un paio d'anni). Il monitoraggio garantirà di individuare aree ideali per la produzione e l'allevamento, di studiare gli aspetti qualitativi del prodotto in collaborazione con le marinerie sarde, di creare un protocollo di allevamento, produzione e maturazione delle ostriche in relazione all'habitat regionale. Mentre sul versante economico e occupazionale l'auspicio vorrebbe vedere rafforzata la capacità di innovazione delle singole imprese e l'importanza del settore agroalimentare isolano, in relazione però allo sviluppo di attività sostenibili e all'avanguardia.
Informazioni e scheda dettagliata del progetto
a cura di Livia Montagnoli