Immaginate un’isola di origine vulcanica in mezzo al mare, di 20 km quadrati in tutto, forgiata da secoli di onde e venti tumultuosi. Un’isola magnifica, ma al contempo così aspra e rocciosa da esser stata utilizzata per lungo tempo come carcere. Vi verrebbe mai in mente di scegliere un posto così per creare la vostra impresa agricola? Ebbene, la storia di Ortigrandi sull’isola di Capraia parla proprio di questo, della volontà umana di domare la natura e al contempo del coraggio di due giovani che hanno deciso di tornare all’agricoltura per continuare la storia secolare di addomesticamento della roccia da parte dell’uomo, trasformando quello che un tempo era un carcere in una splendida coltivazione di luppolo.
La storia di Capraia
A circa 40 miglia da Livorno e a 20 dalla Corsica emerge dalle acque del Tirreno l’Isola di Capraia, una delle perle del Parco Nazionale dell’Arcipelago Toscano, lunga circa 8 km e larga 4 km. Questo territorio aspro e roccioso caratterizzato prettamente da macchia mediterranea, ospita il comune italiano meno popolato fra quelli con sbocco al mare. Al contempo però è da sempre stata abitata, pare che i primi insediamenti umani da queste parti infatti possano risalire addirittura a II-I millennio avanti Cristo. Conosciuta sia dai Greci che dai Romani (che ne fecero una base navale per combattere la pirateria cartaginese), l’isola è stata nei secoli il rifugio perfetto per chi doveva allontanarsi dalla società; come per esempio i cristiani anacoreti che vi si rifugiarono durante le persecuzioni nel IV secolo e a seguire i monaci cenobiti detti Zenobiti che ebbero il merito di sviluppare l’agricoltura, dissodando la zona più fertile del piano e introducendovi la cultura di vitigni di origine africana.
Nel 1873 fu istituita sull'isola la Colonia Penale Agricola, successivamente denominata Casa di Lavoro all'Aperto e infine Casa di Reclusione di Capraia Isola; di conseguenza sorsero dormitori, refettori, celle di sicurezza. I detenuti, che arrivarono a essere fino 380, qui dovevano scontare la pena lavorando la terra, costruendo muretti a secco, producendo ortaggi, coltivando la vite e allevando bestiame, come racconta nel suo rapporto l’ispettore agricolo del Ministero di Grazia e Giustizia, nella sua relazione datata Roma, marzo 1940, che illustra un percorso di detenzione strettamente legato al lavoro della terra che durò circa un secolo. Ma nel 1986, la colonia penale fu chiusa e abbandonata, fino a essere parzialmente inghiottita dalla natura.
Il progetto di rilancio
Sfruttando la lungimiranza del comune di Capraia, che per il recupero decise di dare in concessione a uso civico i terreni dell’ex colonia penale, inizia l’avventura di Gabriella, ovvero la creazione di una nuova realtà agricola denominata Orti Grandi, che riprende il vecchio nome della zona destinata alla produzione di verdure fino alla chiusura dalla colonia penale. Sebbene la storia di rilancio di un ex carcere sarebbe già interessante di suo, il vero motivo per raccontarla è nell’intuizione del figlio di Gabriella, Federico, allenatore di pallanuoto, e del suo viceallenatore ed amico Matteo, che dopo 25 anni di legame e impegno sportivo decidono di diventare soci in una nuova avventura, stavolta a stretto contatto con la terra.
Il luppolo di Capraia
Se fino a quel momento Orti Grandi si era dedicata alla produzione di orticole, continuando la tradizione locale, a cui nel 2016 si era anche aggiunto anche l’impianto di barbatelle di uva ansonica (attualmente la superficie vitata è di ½ ettaro, ma in espansione) nel 2018 i due ragazzi hanno un’intuizione e provano a coltivare un'altra pianta, che sull’isola non si era mia vista: il luppolo.
E qui la scoperta: sui terrazzamenti di Capraia, il luppolo si trova a proprio agio, cresce bene e si allunga avvolgendosi a spirale sui fili e seguendo il sole raggiungendo altezze di 5 metri.
Anche sulle varietà si può osare; oggi l’azienda fa crescere il Cascade, il Saaz, l’East Kent Golding, il Centennial, il Fuggle, il Columbus e il Chinook. La raccolta avviene a maturazione delle infiorescenze, solitamente tra fine agosto metà settembre, esclusivamente con metodi manuali, poi il luppolo viene essiccato, messo sotto vuoto e congelato per conservarne la fragranza. Iil luppolo (così come la vite) è sensibile al tipo di terreno in cui viene coltivato, acquisendo alcune caratteristiche peculiari a seconda di dove cresce. Questo rende i luppoli di Capraia a modo loro irripetibili. Forzando un po' il concetto, si potrebbe dire che anche per la birre si esiste una sorta di determinante terroir.
La nascita delle birre
Visto che la terra vulcanica capraiese, incolta da decenni, permette un sano sviluppo delle piante e una buona resa del raccolto, lo step successivo alla coltivazione del luppolo, è decidere cosa farne e come impiegare questo raccolto. Nasce così il microbirrificio Ortigrandi, che da 2019 inizia sulla terraferma la produzione di birra, presso lo stabilimento di Quercianella, nei pressi di Livorno. In questo piccolo laboratorio, tutto viene prodotto con metodi manuali avendo come obiettivo primario la qualità.
A oggi le birre vengono proposte a Quercianella, nel piccolo locale adiacente la produzione e nei bar dell'isola, sono una blanche, una IPA, una bitter e una bionda, ma si sta lavorando per rendere ancora più territoriale la proposta con il lancio di una IGA (italian grape ale, uno stile di birra aromatizzato con mosto d'uva inventato in Italia ad alta fermentazione, e riconosciuta ufficialmente come stile di birra, inserita nella guida agli stili 2015 del Beer Judge Certification Program) nella quale verrà utilizzato il mosto ricavato dalla spremitura dell’uva ansonica coltivata nella stessa azienda agricola. Un’idea in più per raccontare un territorio ed un’isola che stanno trovando nel rilancio enogastronomico una propria identità che viva tutto l’anno e non solo legato al turismo estivo.
a cura di Federico Silvio Bellanca