Gli orti urbani e la tutela del bene comune
Si fa presto a dire orti urbani invocando la partecipazione popolare e auspicando il coinvolgimento delle comunità di quartiere. Nelle grandi capitali del mondo, e d’Italia, il fenomeno dell’orticoltura urbana ha preso piede negli ultimi vent’anni con l’idea di riconquistare spazi di dialogo tra la campagna e la città, stimolando al contempo l’impegno civico, finalizzato a valorizzare il bene comune e a generare inclusione (e la pandemia ha dato nuove occasioni per confermare la bontà della missione, ne è esempio la città di Nantes). Per questo sono sempre più numerose le associazioni di cittadini che si mobilitano per recuperare terreni abbandonati o degradati, che la coltivazione di un orto sottrae all’incuria e trasforma in centri di ritrovata socialità. In una città come Roma, che è il più grande comune agricolo d’Europa, l’urbanizzazione compulsiva non è comunque riuscita a cancellare gli ampi spazi agresti che coesistono con l’edilizia delle periferie ( e molte sono pure le aziende agricole “professionali” che operano in città o nelle immediate vicinanze), e la pratica degli orti urbani si è consolidata attraverso l’azione di molteplici associazioni (diverse hanno dato vita di recente all’iniziativa Zappata Romana), che ora sono sul piede di guerra.
Gli orti urbani di Roma
Il provvedimento della discordia è in procinto di essere varato in Campidoglio per sancire le nuove norme di gestione degli orti urbani in città. Inviato ai singoli Municipi per conoscenza, prima di procedere col voto in aula, il testo fa discutere soprattutto per la volontà di richiedere un canone di locazione agli ortisti, chiedendo di fatto il pagamento di una concessione su terreni che nella maggior parte dei casi sono stati ricavati da situazione di forte degrado. Per questo le associazioni insorgono: la manutenzione di questi spazi pubblici sottratti all’abbandono (oggi se ne contano 150 in tutta la città, e molti hanno reso nuovamente fruibili aree verdi altrimenti infrequentabili), spiegano, è stata finora completamente a carico degli ortisti, secondo un codice etico che ogni comunità si ripromette di rispettare.
Il nuovo regolamento per gli orti di Roma
Il nuovo regolamento, invece, oltre a imporre il versamento di una quota d’affitto, vorrebbe arrogare al Comune la pretesa di individuare le aree da coltivare e imporre norme di manutenzione dello spazio molto rigide, e stabilite dall’alto. Dietro alla protesta, dunque, non c’è solo la preoccupazione per le nuove spese da affrontare, ma una presa di posizione contro quello che viene letto come un tentativo di snaturare la filosofia dell’orto urbano, che nasce dal basso e si autoregolamenta in virtù del bene comune. Attualmente, nella Capitale, la regolamentazioni degli orti urbani è demandata a una delibera del 2015, cui la giunta Raggi aveva già messo mano alla fine del 2018, apportando una serie di modifiche. Il nuovo provvedimento, invece, andrebbe a revocare il precedente regolamento, partendo però da un iter che, a detta del presidente dell’VIII municipio Amedeo Ciaccheri - tra i più agguerriti detrattori del testo, nel municipio che vanta in commissione ambiente l’ex portavoce degli ortisti capitolini, Luigi di Paola – pecca per metodo e sostanza. In primis, argomenta Ciaccheri, perché nessuno, dal Campidoglio, ha chiesto un confronto con le parti interessate, per comprendere a pieno la materia: le associazioni non sono state consultate, mentre ai Municipi sono stati dati venti giorni di tempo per proporre modifiche, a partire però dallo scorso 8 agosto, in un periodo decisamente poco indicato per indire tavoli di lavoro. E negli esiti, perché “mentre il vecchio regolamento lasciava alle associazioni il compito delicato di attivare un processo di comunità per realizzare gli orti, ora invece si prevede che nascano su impulso del Comune, che stabilisce quali aree utilizzare e in che modo”.
Affitto e regole di assegnazione
A difendere il regolamento è l’Assessore alle Politiche del verde Laura Fiorini: “Si tratta di un canone simbolico di 50 euro l'anno per due ettari, solo per rispetto della normativa sulle concessioni. E da questi possono detrarre le spese. Lo strumento del comodato, precedentemente previsto, non valorizzava il fenomeno, essendo un istituto puramente privatistico equivalente ad un prestito temporaneo e precario”. Per quel che riguarda la mortificazione della libera iniziativa (e su questo punto, indubbiamente, c’è da migliorare l’approccio: basti pensare, in senso diametralmente opposto, al vademecum per la realizzazione degli orti scolastici appena varato dal Comune di Milano), invece, l’assessore puntualizza la buona fede del Comune: “La disciplina sulla scelta dei terreni da parte degli ortisti è rimasta identica. Abbiamo aggiunto solo un articolo in cui il Comune si riserva in più la possibilità di mettere a bando dei terreni scelti dall'amministrazione, anche per diffondere questa pratica in tutta la città”. Nello specifico, il nuovo regolamento prevede una differenziazione tra orti e giardini urbani, in base alla destinazione d’uso e all’estensione del terreno; in funzione della tipologia, la concessioni variano dai due ai sei anni, e potranno essere rinnovate una sola volta. Terminata l’assegnazione, i terreni dovranno essere riconsegnati “liberi da manufatti entro tre mesi dalla fine del ciclo vitale delle coltivazioni”. Per aggiudicarsi la concessione, invece, sarà dirimente la prossimità dei richiedenti: chi abita a meno di un chilometro dall’area potrà ottenere il massimo del punteggio, e anche l’età giocherà a favore degli under 40, premiati con punti in più.
a cura di Livia Montagnoli