Oltre al ragù alla napoletana, la città partenopea è famosa anche per la pasta alla genovese. Ma quali sono le origini?
La Pasta alla genovese
La genovese che tutti conosciamo è basata su un ragù bianco di carne, cipolle e pochi altri ingredienti che viene stufato lungamente fino a diventare un intingolo cremoso e profumatissimo che si serve sulla pasta con una buona spolverata di formaggio grattugiato. Si distingue essenzialmente dal ragù alla napoletana per il tipo di carne impiegata – che nella genovese è solo manzo - e per l’assenza del pomodoro.
La leggenda della Pasta alla genovese
Sono state avanzate le ipotesi più fantasiose per giustificare il nome di questo piatto, partendo dai genovesi presenti nelle bettole del porto napoletano durante la dominazione aragonese del XV secolo, passando per un geniale, quanto sconosciuto, gastronomo partenopeo soprannominato “o’ Genovese”, fino al celebre Ippolito Cavalcanti che nel suo ricettario del 1837 riporta diverse vivande “alla genovese”, tra le quali nessuna purtroppo assomiglia a un condimento per la pasta.
Le lasagne alla genovese
L’ultima citazione è però quella che più si avvicina alla realtà, perché nell’Ottocento uno degli “stili” o comunque delle indicazioni geografiche che contraddistinguevano alcune preparazioni, era proprio quella “alla genovese”. Insieme a questa, le più celebri erano quelle “alla lombarda”, “alla bolognese” e naturalmente “alla napoletana”, ma venivano richiamati anche altri luoghi come Milano, Roma, Venezia e la Sicilia.
Tra le specialità assegnate al capoluogo ligure, poco prima della metà dell’Ottocento nei ricettari italiani fanno la loro comparsa le “lasagne alla genovese” destinate ad avere una grande fortuna per il successivo mezzo secolo. Come spesso accadeva all’epoca, le versioni erano due: di “magro”, condite con un pesto di aglio, basilico e pecorino, e di “grasso” in cui gli strati di pasta erano intervallati da sugo di carne e parmigiano.
I maccheroni alla napoletana
Qualche decennio prima erano già saliti alla ribalta nella letteratura gastronomica i Maccaroni alla Napolitana, descritti per la prima volta da Francesco Leonardi nel suo “L’Apicio moderno” del 1790, e che saranno ripresi in seguito da diversi autori. La ricetta può essere considerata la capostipite di tutti i ragù alla napoletana e prescrive di condire la pasta “con parmigiano grattato, pepe schiacciato, e Sugo di vitella, o di manzo, ovvero un buon brodo di stufato, o garofanato”.
Questo piatto di pasta poteva essere quindi condito in due modi: con un sugo di carne (di vitello o manzo), oppure con il sugo di uno stufato di manzo (semplice o aromatizzato con i chiodi di garofano) a cui poteva essere aggiunto anche il pomodoro.
Il primo condimento, basato sul sugo di carne, accomunava quindi sia il metodo “alla napoletana” che quello “alla genovese” tanto che diverse pubblicazioni li accostarono nella medesima ricetta. Ad esempio la “Nuova enciclopedia agraria” del 1859 per i Maccheroni alla Napoletana prevede lo stesso condimento “che si pratica per le lasagne alla Genovese” ovvero con “sugo di carne e formaggio parmigiano”, o ancora la “Cucina borghese semplice ed economica” del 1863 che riporta una ricetta dall’inequivocabile titolo: “Maccheroni o lasagne di Genova o di Napoli alla borghese”.
Piccola parentesi: che cos'è il sugo di carne
Ma cos’è esattamente il sugo di carne di cui parlano questi autori? Si tratta di una base molto utilizzata come insaporitore a partire almeno dalla metà del Settecento che rimane in uso fino ai primi del Novecento. Viene descritta da moltissimi autori e di solito prevede una sostanziosa rosolatura di pezzi di manzo o vitello con lardo, prosciutto e ortaggi –il Leonardi indica carote, pastinache e cipolle – la cui cottura viene completata con brodo di manzo. Il liquido che ne risulta è fortemente aromatico con uno spiccato gusto di carne e veniva utilizzato per arricchire diverse vivande, creare salse, oppure, nel nostro caso, come condimento per la pasta.
Oggi il sugo di carne è praticamente scomparso dalle cucine casalinghe, ne rimane traccia in alcune preparazioni dell’alta ristorazione come “fondo bruno” che, nonostante il procedimento differente, utilizza lo stesso principio.
Genovese e Napoletana. Due nomi per tre condimenti
Riassumendo, nel panorama gastronomico italiano di metà Ottocento coesistevano due modi di condire la pasta: “alla genovese” e “alla napoletana” che prevedevano la medesima ricetta a base di sugo di carne e, per certi versi, erano indistinguibili. Il fatto è che con gli stessi nomi si indicavano anche altre due specialità: la Genovese indicava il condimento di magro, oggi meglio noto come “Pesto alla genovese” e la Napoletana era il nome dato al sugo di stufato che diventerà poi il famoso “Ragù alla napoletana”. Tutto ciò dovette generare più di qualche incomprensione, in particolare per le due versioni “alla napoletana” che condividevano molti ingredienti e una preparazione simile, ma si stavano lentamente separando a causa della presenza sempre più frequente del pomodoro nel sugo di stufato.
Durante i primi decenni dell’Ottocento le differenze tra le due preparazioni divennero pressoché costanti, costringendo in qualche modo a distinguerle e la scelta del nome per il sugo di carne in bianco cadde naturalmente sul suo alter ego, ovvero la Genovese.
Differenza tra ragù napoletano e la genovese
Nel corso Novecento i due ragù hanno continuato a evolvere in forme autonome: da una parte con l’utilizzo costante del pomodoro e l’inclusione di alcuni tagli di carne di maiale in quello napoletano, mentre la genovese ha visto crescere la presenza sempre più marcata delle cipolle. Anche se oggi appaiono due preparazioni autonome, queste due specialità discendono quindi dallo stesso ramo genealogico di origine napoletana che ha subito una biforcazione nella prima metà dell’Ottocento.
La successiva diffusione di altri condimenti per la pasta, alcuni dei quali ebbero un successo planetario (come il ragù alla bolognese) e l’abbandono quasi totale del sugo di carne in cucina, decretarono la scomparsa della genovese nel resto dello stivale e una sua persistenza solo nella città partenopea che le aveva dato i natali.
Nel resto d’Italia è sopravvissuta però la variante “di magro” della Genovese che prevedeva il condimento basato su basilico, aglio e pecorino. Ancora oggi il nome della città ligure è indissolubilmente legato al pesto che rimane una delle ricette più famose e replicate in tutto il mondo.
a cura di Luca Cesari
foto in apertura: la Genovese di Mimì alla Ferrovia