Organic Food Incubator. Le origini, gli obiettivi
Ha compiuto sei anni pochi mesi fa, e oggi, recentemente riallocato nel nord del New Jersey (30 minuti di auto da New York), l'Organic Food Incubator fondato nel 2011 da Michael Schwartz rappresenta un riuscito esempio di imprenditoria illuminata del settore alimentare. Quand'è nato (e fino all'inizio del 2017), con l'idea di offrire una piattaforma super accessoriata alle piccole realtà del food & beverage in cerca di un trampolino di lancio sul mercato, l'incubatore si trovava nel Queens, e metteva a disposizione delle società interessate uno spazio fisico con cucina e struttura produttiva di supporto, ma pure un pacchetto di servizi di consulenza e orientamento all'impresa. La particolarità, che è la peculiarità più significativa del business avviato da Mr. Schwartz (già chef a Le Cirque e poi docente all'Institute of Culinary Education) tra tanti acceleratori del food sorti negli ultimi anni a Long Island, è legata al comparto di interesse dell'OFI, che si rivolge esclusivamente alle aziende interessate a sfondare nel panorama dell'healthy food, tra condimenti fermentati, alimenti proteici poveri di grassi, produttori di curcuma e tè kombucha. Un'oasi felice che supporta lo sviluppo del cosiddetto organic food di fronte alla miriade di attività destinate a immettere sul mercato junk food e snack di dubbia qualità, sostenendo al contempo l'innovazione tecnologica applicata alla ricerca alimentare. Con il vantaggio di lavorare in coworking, influenzandosi positivamente a vicenda. E in uno spazio che oggi si presenta attrezzato di tutto punto, e all'avanguardia, dalla stanza adibita alla fermentazione all'area anti allergeni, alla moltitudine di cucine che le società possono affittare per condurre le proprie sperimentazioni sul prodotto.
Investire nell'organic food. Come funziona
Ecco spiegato come negli anni passati molte delle start up passate attraverso le maglie dell'OFI sono riuscite a trasformarsi in un business di successo (arrivando, per esempio, ad essere distribuite sugli scaffali di Whole Foods), facendo crescere rapidamente il numero di aziende interessate a partecipare al progetto. Con l'impegno a rispettare le regole della casa: tutto quello che entra in produzione nella fabbrica del cibo salutare di Bloomfield (l'indirizzo del nuovo quartier generale) dev'essere di origine vegetale, gluten free e preferibilmente biologico, senza conservanti e a ridotto contenuto di zuccheri. Ma come funziona, quindi, l'Organic Food Incubator? Ogni giorno la struttura può ospitare dieci ospiti di passaggio, che affittano lo spazio solo per qualche ora. Ma il vero core business dell'OFI è garantito dalle resident start up che si alternano per un periodo di diverse settimane, o mesi, fino a nove realtà differenti che spesso finiscono per interagire tra loro, scambiandosi suggerimenti e consigli per sviluppare un prodotto buono, salutare, orientato alle esigenze del mercato. L'acceleratore, dal canto suo, garantisce supporto per ottenere l'HACCP e, quando possibile, la certificazione biologica o quella kosher. I progetti che vanno per la maggiore? Prodotti fermentati, caffè cold brew, salse di origine certificata pensate per la ristorazione. E in passato, diversi progetti incubati tra le mura dell'OFI sono arrivati sulle tavole più importanti della città; come il pane gluten free di Free Bread, basato sulla ricetta sviluppata da Karen Freer (che lavorava in una banca e dopo la diagnosi di celiachia si è riscoperta panificatrice), che è approdato a Le Bernardin e sulla tavola di Dan Barber, al Blue Hill at Stone Barns. A oggi sono 55 le imprese che hanno collaborato o collaborano con l'incubatore, che, nonostante il trasloco fuori città, continua ad attrarre potenziali imprenditori del settore alimentare.
Whole Foods. È crisi?
E testimonia che il business dell'organic food non sembra ancora destinato a passare di moda, nonostante le recenti difficoltà economiche della più celebre catena di supermercati bio degli Stati Uniti – Whole Foods – tengano banco da settimane sui principali quotidiani statunitensi. Nell'ultimo anno e mezzo, infatti, la storica catena texana avrebbe perso quasi 14 milioni di clienti, per l'incapacità di restare competitiva di fronte all'avvento di nuovi concorrenti, Kroger in primis. E ora, dopo aver rallentato un piano d'espansione arrembante, il management dell'azienda annuncia un ridimensionamento dei prezzi. Mentre comincia a circolare insistentemente l'ipotesi che Amazon, sempre più influente nel segmento grocery, potrebbe essere interessato all'acquisto del gruppo. Per ora solo voci di corridoio, come finirà?
a cura di Livia Montagnoli