La storia dell'azienda di Paolo Cassini, che porta il suo nome, è un intreccio di dedizione, romanticismo e indissolubile legame con i ricordi di un'infanzia passata dentro il frantoio di famiglia. Il nonno Jean assieme al padre Giovanni, infatti, nel 1962 installarono l'impianto nel piccolo borgo di Isolabona in Val Nervia in provincia di Imperia. «Avrò avuto 7 anni e appena uscito da scuola andavo subito in frantoio, mi facevo mettere il grembiule e cominciavo a darmi da fare. Il mio lavoro era quello di far funzionare il dosatore, una macchina che riempiva i fiscoli con la pasta delle olive appena uscita dalla macina in pietra».
La scelta tra lavoro e studio
«A quattordici anni, malgrado l'insistenza della mia famiglia per continuare gli studi, scelsi di lavorare in frantoio. Le cose però non andarono troppo bene, nel 1985 il gelo fece parecchio danno agli uliveti della zona, e mio padre decise di chiudere l'attività per un po'». A tal proposito va ricordato come quella gelata segnò una sorta di anno zero nel mondo dell'olivicoltura italiana causando la perdita di circa 30 milioni di ulivi con perdite del 90% in Toscana e di circa il 50% in Liguria e nel centro Italia. Una situazione drammatica dalla quale molti olivicoltori si ripresero solo dopo anni di duro lavoro legato soprattutto ai nuovi impianti.
La riapertura del frantoio e la ripresa dell'attività
«Dopo il servizio di leva, nel 1992 decisi di riaprire l'attività e per alcuni mesi mi dedicai al restauro del locale e delle macchine. Quell'anno in quel frantoietto impazzimmo, si lavorava 24 ore su 24: io stavo di notte e mio padre di giorno. Non dimenticherò mai quella annata. A fine stagione valutammo le cose, il lavoro era bello, romantico, ma massacrante. Era completamente manuale, si lavorava in 50 metri quadri, si pranzava e si cenava. Una cosa d'altri tempi», ci racconta Paolo emozionandosi. Il lavoro però non poteva proseguire con quella tipologia di impianto. Paolo ci racconta che con quelle condizioni, seppur con malinconia, il trasloco e il cambio di macchinari erano passi obbligati. «Nel 1993 installammo un moderno impianto a ciclo continuo, con lavatrice, molazza a tre ruote, gramole, decanter, due separatori. Un impianto modernissimo per i tempi e infatti fu un successo, ma io non ero soddisfatto del prodotto finale. Ho sempre cercato di migliorare cambiando in continuazione i macchinari, a volte anche sbagliando».
La svolta del frantoio a due fasi
Nella seconda metà degli anni Novanta Paolo decide di acquistare nuovi uliveti per poter aumentare la produzione di olio pur con la consapevolezza di voler restare piccoli per scelta. «Una scelta dettata dal romanticismo e dalla nostra passione, oltre alla voglia di dimostrare le mie capacità e le potenzialità della mia terra». Ma l'ultimo tassello del percorso aziendale avviene nel 2008 quando Paolo decide di passare a una lavorazione a due fasi: «La qualità è migliorata parecchio, ma ho continuato a modificare in continuazione il frantoio, fino ad oggi». Ed è così che nasce un prodotto come l'Extremum, un monovarietale di taggiasca che ogni anno si rivela una perla rara nel panorama ligure, in grado di esprimersi con potenza ed eleganza nei suoi sentori vegetali, erbacei e di frutta secca. Un olio che, avendo ottenuto per oltre 10 anni le Tre Foglie sulla guida Oli d'Italia del GamberoRosso, ha permesso a Paolo di avere il riconoscimento della Stella, che identifica le migliori realtà olivicole del Belpaese.