Tra archeologia e campagna. I tesori di Tivoli
Può la tutela del patrimonio artistico convivere con la valorizzazione di un paesaggio antropizzato, e quindi con il ripristino dell’identità rurale di un territorio? Certo, se anche la tradizione agricola, consuetudine antichissima in gran parte della Penisola, contribuisce ad avvalorare il prestigio culturale di un sito storico-artistico. È il caso della Villa di Adriano, alle porte di Tivoli, una trentina di chilometri da Roma. Dal 1999 il sito archeologico che perpetua le memorie dell’imperatore-filosofo Adriano è tutelato dall’Unesco, per l’unicità del contesto che alterna terme, ninfei, luoghi di culto, appartamenti imperiali, parte della sontuosa residenza extraurbana realizzata nel II secolo d.C. per un centinaio di ettari di estensione; insieme a Villa d’Este – che con Villa Gregoriana forma la triade delle ville tiburtine – il complesso ha attirato nell’ultimo anno circa 600mila visitatori, garantendo al polo tiburtino un soddisfacente indotto turistico. Parte del merito si deve ad Andrea Bruciati, che dalla primavera 2017 è direttore dell’Istituto Autonomo di Villa Adriana e Villa d’Este e, al pari del collega Mauro Felicori (direttore della Reggia di Caserta) e di Valentino Nizzo (direttore del Museo Nazionale Etrusco di Roma, dove sono nati dallo scorso autunno gli orti basati sui ritrovamenti archeologici), ha subito scommesso su una valorizzazione del sito che recuperi il contesto territoriale di pertinenza, riportando in auge la dimensione agricola e paesaggistica delle origini. Quindi non solo conservazione e restauro, ma pure promozione e ricerca, con il supporto di un cospicuo finanziamento del Ministero della Cultura, che alla fine di settembre ha garantito la riapertura di un sito di grande attrazione dell’area, il Santuario di Ercole Vincitore, nelle campagne che presto torneranno a essere utilizzate, sempre per impulso di Bruciati.
L’olio di Adriano
Ma partiamo da Villa Adriana: nel parco che circonda le rovine, su circa 40 ettari, 3500 ulivi secolari costituiscono l’uliveto storico del sito, che dallo scorso autunno è tornato a produrre olio, l’Olio di Adriano, com’è stato subito ribattezzato. Questo perché riappropriarsi dei luoghi, e comunicarli attraverso la loro dimensione agropastorale, coinvolgendo l’intera filiera produttiva, è stata sin dall’inizio una priorità del nuovo direttore, che con lo stesso obiettivo, a poche settimane dall’incarico, promuoveva un bando di concessione per affidare i servizi di ristorazione e caffetteria nelle Ville ad attività, sostenibili, di street food, chiamate a valorizzare i prodotti del territorio. La raccolta delle olive dello scorso novembre, invece, ha permesso di ottenere una piccola produzione, 78 bottiglie numerate che saranno in vendita al bookshop del museo, per raccontare Villa Adriana da un nuovo (antichissimo) punto di vista. Lo scopo, chiaramente, non è quello di spingere la dimensione produttiva del luogo, ma dare il buon esempio, secondo Bruciati, è importante “per indicare un futuro sostenibile”, scommettendo sull’identità rurale dell’area.
L’uva pizzutella
Ecco perché anche Villa d’Este sarà presto coinvolta nel progetto, con il ripristino di un piccolo vigneto di uva pizzutella tra gli orti dei magnifici giardini voluti da Ippolito II d’Este. L’operazione, in questo caso, si carica di un messaggio ulteriore: anticamente il Pizzutello (caratteristica uva da tavola, dal chicco oblungo) si coltivava lungo la strada che saliva a Tivoli, circa 100 ettari di campagne progressivamente abbandonate, dagli anni Sessanta, per ripiegare su attività più remunerative. Il vigneto in villa, invece, proverà a rilanciare il modello agricolo che racconta l’identità di Tivoli, e della comunità che abita il territorio da secoli, “con l’auspicio di attirare aziende interessate a collaborare”. Chi l’ha detto che un’attività culturale non può proporre modelli integrati di sviluppo economico?
a cura di Livia Montagnoli