Una realtà che ben rappresenta l’eccellenza olivicola campana, attiva dal lontano 1938, la Fattoria Ambrosio. La proprietà si estende su 100 ettari, di cui 25 a oliveto, con circa 7.000 piante, accanto a boschi e macchia mediterranea. Tra gli oli prodotti, il Crux Monocultivar Coratina: straordinario e potente mix di profumi, persistenza gustativa e carica fenolica che lo rende un protagonista in ricette dai sapori decisi. Per noi è il Miglior fruttato intenso. Della stessa proprietà è anche l'agriturismo La Petrosa (lapetrosa.it), una curata struttura dove poter godere di 6 comode camere e di un ristorante con specialità locali. A raccontarci l'azienda, il patron, Massimo Ambrosio.
Quali sono state le tappe principali nella vostra storia che vi hanno portato a questi risultati?
L’azienda è legata alla mia storia personale che mi vede sin da ragazzino costantemente a contatto con il mondo dell’olivicoltura e della trasformazione olearia. Parallelamente, il mio percorso di studio e di lavoro mi ha arricchito di conoscenze specialistiche nel campo della gestione di processo e dell’automazione. Poi, con l’analisi sensoriale, sono riuscito a intrecciare i due percorsi e a scoprire la possibilità di rendere misurabile la piacevolezza delle sensazioni. Così nasce in primis l’azienda, con nuovi impianti di oliveti su 30 ettari di campi monovarietali, e poi il frantoio aziendale, dove le soluzioni tecnologiche vengono personalmente progettate, realizzate, e più volte smantellate e ricostruite, alla ricerca del continuo miglioramento.
Come si raggiunge un tale livello di qualità?
Il vero motore, sembra banale a dirsi, è l’amore. L’amore per l’idea di poter realizzare oli extravergini freschi, fruttati, definiti e irreprensibili. È questo che ci spinge oltre, ci fa prendere decisioni irrazionali che ti portano su strade mai battute e risultati inattesi. E molto spesso questi risultati fanno la differenza.
Come si muove l'azienda sul fronte commerciale?
L’azienda, per la sua tipicità, si rivolge a clienti esigenti capaci di apprezzare la differenza tra prodotti banali e prodotti esclusivi. Clienti che non cercano semplicemente un buon olio, ma che desiderano un prodotto che trasmetta emozione attraverso i suoi profumi, la complessità, la definizione dei sentori e l’armonia complessiva. Proprio per questo l’avvicinamento di nuovi clienti è quasi sempre diretto e personale.
Quali sono gli ostacoli più evidenti che vi trovate a dover affrontare da questo punto di vista?
La comunicazione tradizionale e anche quella via social è estremamente dispersiva, perché la totalittà dei messaggi che affollano i media è rivolta al cliente generalista, che normalmente consente di fare consistenti volumi di vendita: i ristoratori cercano l’olio della cucina e le famiglie desiderano un “buon” olio a prezzo medio, purché prodotto da aziende percepite come affidabili. I nostri messaggi comunicativi difficilmente trovano idonea visibilità in tali contesti e pertanto la maggior parte dei nostri clienti hanno avuto un contatto personale con la nostra azienda o hanno ricevuto referenze positive sui nostri prodotti direttamente da esperti di settore.
Quali sono, a vostro avviso, le azioni necessarie per poter migliorare il comparto olivicolo?
Il miglioramento viene dalla convinzione di poter raggiungere il risultato che ci si è prefissati. Se si vive il comparto olivicolo-oleario avendo in mente il solo risultato economico, è normale che si trascura l’olivicoltura e si pensa a lavorare le olive degli altri: si sceglie il frutto coltivato altrove e se ne vende l’olio ricavato massimizzando i profitti e minimizzando i rischi. Nell’olivicoltura c’è l’amore per la natura, il contatto tra l’uomo e il frutto. Che effetto farebbe al consumatore medio vedere che l’olio a scaffale proviene da “catene di montaggio”, ovvero da olive raccolte da impianti con 2000 piante a ettaro? Spesso si è attenti a evitare le uova da galline allevate in gabbia e poi per l’olio non si fanno troppe domande.
Come andrebbe cambiata o migliorata secondo voi la comunicazione dell'extravergine di qualità?
La comunicazione di questo prodotto è di per sé un paradosso. Chi acquista qualcosa che non è di qualità dovrebbe accorgersene. Quante volte si legge di denunce per prodotti non conformi, riscontrati come tali dal consumatore finale e prontamente sottoposti all’attenzione degli organi di controllo? Eppure non si è mai sentito di un consumatore di olio che denuncia la presenza di morchia sul fondo di una bottiglia di evo, quando invece la “posa” (la morchia per l’appunto) è un difetto che non consente di classificare come extravergine il contenuto della bottiglia stessa. In tale contesto di disinformazione, anche tra noi produttori di extravergine di qualità potrebbe esserci la tentazione di approfittarne: ci si fa il nome, si fortifica il marchio e poi, viva il dio denaro, nella confezione ci si mette quello che si vuole. Io personalmente ritengo che la strada della qualità è un percorso senza ritorno. E dunque la comunicazione dell’extravergine di qualità dovrebbe essere: “Non ti fidare del nome… assaggiami prima e scegli consapevolmente”.
Quali sono le giuste parole chiave per incrementare l'uso di questo prodotto tra i consumatori?
Non ne vedo. Vedo piuttosto la tendenza dei piccoli produttori a migliorare la capacità di fare oli buoni ma a fare i conti con un mercato che continua a chiedere oli “dolci” a basso prezzo. Dall’altra parte, l’industria ha alzato il livello qualitativo degli oli in commercio e di qui a breve potrà offrire prodotti dignitosi a prezzi accettabili. Vediamo allora di combattere questa tendenza lavorando sull’immagine dei piccoli produttori che non coltivano le piante con lo spirito di chi alleva le galline in gabbia.
Qual è il vostro approccio al concetto di sostenibilità ambientale?
Non basta autocelebrarsi per aver installato in azienda un tetto fotovoltaico o un impianto a biogas per il recupero dei sottoprodotti: queste azioni sono spinte dal risparmio economico tout court, a maggior ragione se “aiutate” da meccanismi di incentivazione, e rappresentano il cosiddetto ambientalismo di facciata.
E allora quale è la vostra visione?
Personalmente vedo la sostenibilità ambientale come uno stile, una filosofia aziendale che viene percepita dai dettagli: il rispetto della biodiversità, l’architettura del paesaggio, l’integrazione con l’ecosistema. Ogni contesto ha un proprio equilibrio, nostro compito è attivare comportamenti per ristabilirlo o rafforzarlo con quanto ci mette a disposizione l’ingegno e le risorse disponibili.
Fattoria Ambrosio - Palazza (SA) - località Coste, 84070 - 335 412 467 - https://fattoriaambrosio.it
Oli d'Italia 2022 – pp. 544 – 13,90 euro - acquistabile in libreria e on line
a cura di Indra Galbo