Continua il viaggio alla scoperta dei premi speciali della guida Oli d’Italia 2022. Oggi incontriamo l'azienda agricola bioogica Alba, novità dell'anno.
Nata nel 2011, di proprietà di Nicola Del Vecchio e altri due soci, è una realtà agricola biologica che si muove su più fronti, dalla produzione di formaggi, conserve e uova a quella dell'olio, potendo contare su 85 ettari di terreni, di cui 5 sono di oliveto con 1.200 piante.
Quali sono state le tappe principali nella vostra storia che vi hanno portato a questi risultati? Come si raggiunge un tale livello di qualità?
Oggi abbiamo un caseificio, degli orti, un laboratorio di trasformazione e qualche gallina ovaiola che scorrazza liberamente sotto un ettaro di bosco: ma Alba inizia con gli olivi, ormai undici anni fa. Nicola si era appena laureato in Scienze Gastronomiche a Pollenzo con una tesi che immaginava un’azienda agricola sistemica a ciclo chiuso. Il fatto che la famiglia possedesse dei terreni con olivi secolari in abbandono da decenni fece il resto. Ci dedicammo con pazienza al recupero di quelle piante, applicando i principi dell’agricoltura naturale e un approccio olistico: Alba era nata. Da allora non abbiamo fatto altro che continuare a lavorare seguendo gli ideali fondanti dell’azienda agricola, rispettandoli profondamente, mentre studiavamo per migliorare anno dopo anno la qualità dei prodotti affinando le tecniche di coltivazione e raccolta.
Come si muove l'azienda sul fronte commerciale?
Per il momento lavoriamo per lo più solo con clienti diretti, che conosciamo personalmente o ai quali ci proponiamo se li reputiamo in sintonia col nostro modo di concepire l’agricoltura, la gastronomia e più in generale lo scacchiere socio-economico internazionale e le sue prospettive.
Quali sono gli ostacoli più evidenti che vi trovate a dover affrontare da questo punto di vista?
Avendo optato per una produzione olearia improntata più alla qualità che alla quantità, l’unico ostacolo commerciale cui facciamo fronte è in effetti quello di non poter soddisfare le sempre più numerose richieste di fornitura. Cosa che comporta, per contro, il poter scegliere con chi lavorare; e ci permette di selezionare come clienti realtà in cui crediamo e delle quali condividiamo la visione. Siamo felici che il nostro extravergine stia ottenendo un ottimo riscontro in termini di domanda nonostante abbiamo effettuato scelte commerciali abbastanza impopolari, come ad esempio quella di non produrre oli monovarietali ma solo un olivaggio, il nostro “7”, per il quale come da tradizione contadina tutte le sette cultivar (per lo più autoctone) vengono molite in maniera corale. Cosa meglio di un olivaggio può incarnare la biodiversità di un territorio e le peculiarità complessive di un’annata?
Quali sono, a vostro avviso, le azioni necessarie per poter migliorare il comparto olivicolo?
Una questione pressante è quella legata alla tutela della dimensione economica e sociale dell’olivicoltura: quest’attività, da sempre legata a una dimensione familiare e artigianale, ha intrapreso una deriva generale in termini di spersonalizzazione e meccanizzazione che riteniamo preoccupante; in quanto aliena le lavorazioni dal rapporto diretto tra l’agricoltore, la pianta, e il territorio. Questo genere di processo impedisce il contatto visivo e tattile tra il coltivatore e le piante, col risultato che diventa impossibile seguire le evoluzioni degli oliveti e intervenire tempestivamente, e in maniera circoscritta, sulle eventuali problematiche che potrebbero verificarsi in campo. Inoltre la meccanizzazione richiede tipologie di impianto e potatura specifiche, con distanziamenti regolari tra le file di alberi e piante non più elevate a chioma ma a palmetta: ne risulta che il valore paesaggistico e antropologico delle colture olivicole, che da sempre caratterizza i territori ad alta vocazione olearia, ne risulta compromesso.
Come ovviare a questa situazione?
Un rimedio a questo problema potrebbe essere una presa di coscienza da parte dei piccoli produttori che permetta sì di crescere, ma mantenendo come idea di fondo quella preservazione delle tipicità, sia in senso gastronomico, che tecnico e paesaggistico, che sono strettamente connaturate all’olivicoltura. Serve inoltre che fioriscano frantoi di qualità che permettano anche ai coltivatori che non sono provvisti di impianti di molitura interni di produrre un buon olio – bisogna fare educazione sull’importanza dell’estrazione a ciclo continuo e delle basse temperature, e offrire incentivi a chi opta per seguire queste buone pratiche. Infine bisognerebbe che i produttori di olio extravergine più “consapevoli” collaborassero, fino a formare una massa critica capace di influenzare il decision making su etichette e policies. Da un punto di vista strettamente agricolo e operativo, infine, sarebbe infinitamente utile per molti operatori del settore – noi inclusi – potersi avvalere della cooperazione di cooperative di lavoro che, oltre che di raccolta e potature degli olivi, potrebbero offrire pacchetti integrati che includono le lavorazioni orticole, il noleggio di macchinari (escavatori, trattori) fornendo servizi specializzati, e manodopera selezionata e affidabile.
Come andrebbe cambiata o migliorata secondo voi la comunicazione dell'extravergine di qualità?
È necessario anzitutto divincolare l’immagine dell’extravergine di livello dai cliché che caratterizzano il prodotto a livello internazionale. Bisogna sganciare il vagone delle produzioni di qualità dal treno delle iconografie pubblicitarie che vedono i carretti colmi di drupe trainati al calare del sole da anziani signori in coppola e braghe di tela: questo va fatto, diciamo, non perché tali immagini non siano poetiche o causino disaffezione; quanto piuttosto perché essendo quelle che citiamo - appunto - immagini pubblicitarie, vengono sin troppo spesso impiegate per travestire di buono realtà produttive ben meno idilliache, col risultato di produrre uno scollamento tra la qualità che ci si attenderebbe dai visual da piccolo mondo antico e quella effettiva dei prodotti che raccontano, spesso modesta (o peggio).
Quali sono le giuste parole chiave per incrementare l'uso di questo prodotto tra i consumatori?
Dovremmo invece puntare a raccontare in maniera fresca e contemporanea, accessibile al pubblico, le caratteristiche tecniche che rendono un olio extravergine un prodotto di qualità; dalla concentrazione di polifenoli all’acidità, dalle tecniche colturali alla potatura, dalle caratteristiche gustative agli effetti positivi in termini sociali sui territori e sulle comunità. La vera sfida è innanzitutto far capire al pubblico generalista che un olio extravergine di qualità anche solo media non può materialmente costare tre euro e mezzo al litro: le nostre parole chiave sono quindi educazione, informazione, e dato che reputiamo che questa sia un valore irrinunciabile per realizzare le altre due, trasparenza.
Qual è il vostro approccio al concetto di sostenibilità ambientale?
Come scrivevamo prima, per noi la sostenibilità non è un punto d’arrivo, ma un prerequisito: tutta l’attività di Alba è sorta e si è sviluppata intorno a un desiderio ragionato di sostenibilità ambientale, economica, sociale; che inevitabilmente ancora oggi regola tutte le nostre operazioni e le nostre scelte. Tutti i processi produttivi dell’azienda sono pensati in modo da minimizzare le esternalità negative, in modo che quasi tutti i prodotti tradizionalmente considerati “di scarto” possano essere reinterpretati come risorse e diventare input di altri processi: così, per esempio, i residui di lavorazione degli ortaggi e il siero prodotto in caseificio finiscono per integrare l’alimentazione delle nostre galline, le biomasse ottenute dalla potatura diventano compost e legna da ardere. Quest’ultima, a sua volta, unita a un sistema fotovoltaico ci consente di essere molto vicini all’indipendenza energetica; un traguardo importante che ci prefiggiamo di raggiungere presto.
Alba - Campolieto (CB) - Contrada Santa Lucia 3 - 351 5472288 - https://www.agrialba.farm
Oli d'Italia 2022 – pp. 544 – 13,90 euro - acquistabile in libreria e on line
a cura di Indra Galbo
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