La tradizione di accogliere i nuovi vicini con cibo fatto in casa è l'abitudine di un'America che sta scomparendo. «Un tempo quando le porte delle case non si chiudevano mai a chiave», ricorda Marjorie A., la nostra vicina di casa a Los Angeles.
Usanza sempre più rara
Una tradizione che da certe parti ancora sopravvive, ma che avviene sempre meno di frequente. L'usanza esiste ancora in certe periferie (spesso meno abbienti), nelle piccole province e comunità rurali dove il gesto di ospitalità si esprime con il cibo fatto in casa. Dove ci si conosce un po' tutti. Nelle grandi città, dove la vita è più frenetica, e dove regna sovrano l'isolamento, questa tradizione si è un po' persa.
Complice il lockdown
Cosa è successo? Perché si è ridotto nel tempo il senso di ospitalità nei confronti dei nuovi vicini? Perché in USA si è sempre meno "friendly"? Molto dipende dalla paura. L'estraneo, in passato, era solo un nuovo arrivato. Adesso è un potenziale pericolo. Ognuno nel proprio microcosmo, protetto e al sicuro dietro una porta chiusa e tapparelle abbassate, non ci tiene a conoscere e farsi conoscere da quel pericolo. Il lockdown ha dato a questa tradizione vintage il colpo di grazia. Finiti i barbecue per strada dove partecipa tutto il vicinato. Finito l'affidare al vicino i bambini mentre si è al lavoro. Finita la fiducia. Il legame con i vicini di casa è diventato inesistente. Nel tempo la persona della porta accanto è diventata qualcuno da cui guardarsi. Vista la casistica, questa paura è più che giustificata. Avviare un primo approccio con un estraneo oggi è impensabile. Offrire una torta può essere anche frainteso per elemosina. Non si percepisce il gesto amichevole. Si legge solo invasione dello spazio. Per andare a fondo della progressiva fine di questa bella abitudine, ho contattato un campione di persone di diverse età, provenienze e percorsi di vita.
Storie di buon vicinato Made in USA, ieri e oggi
Mio padre, che oggi avrebbe 93 anni, quando mi sono trasferita a Napoli per lavoro si è raccomandato di presentarmi ai vicini con una crostata. Per esaminare l'evoluzione del pensiero e capire come da un'idilliaca fiducia e torte di Nonna Papera sul davanzale, si sia arrivati a diffidenza e sospetto nei confronti dello sconosciuto dirimpettaio, ho raccolto le testimonianze di amici e conoscenti dall'altra parte dell'Atlantico che hanno voluto condividere le loro esperienze. Il più delle risposte alla domanda "esiste ancora quel tipo di ospitalità al giorno d'oggi?" lasciano un po' di amaro in bocca.
«Non dimenticherò mai il nostro benvenuto nel quartiere», racconta Kimberly M., 64 anni «Ero nel vialetto davanti casa quando ho notato un uomo anziano, alto e magro, che camminava verso di me. Aveva un'espressione amichevole e portava un pesante scatolone di cartone. Arrivatomi davanti, ha chiesto: "Le piace il vino?". L’unica risposta corretta era "Sì!". Lo scatolone conteneva diverse bottiglie di vino. Dopo aver sbrigato questo importante rituale di benvenuto, si presentò. Era l’ex capo della polizia e lui e sua moglie vivevano a poche case di distanza. Da quando era andato in pensione, lavorava part-time in un'azienda vinicola locale. Fu l'inizio di una bella amicizia».
Doug S. 35 anni, non è d'accordo. «Assolutamente no. Ci siamo trasferiti in un nuovo quartiere due anni fa e abbiamo tre vicini. Uno di fronte e due famiglie su ciascun lato della nostra monofamiliare. Ancora non so chi siano. Detto questo, nemmeno io mi sono mai presentato.» «Negli anni Sessanta il nostro paesino aveva un gruppo di volontari chiamato Welcome Wagon», racconta Gail O., 71 anni «Il rappresentante del comitato andava a trovare le nuove famiglie e portava un piatto cucinato per dare il benvenuto nella comunità, di solito un casserole che è il classico stufato comfort food del benvenuto nel quartiere. Distribuiva anche volantini con informazioni sulla località e rispondeva a eventuali domande. Dubito che questo avvenga ancora. Da allora ho sempre vissuto in città e nessuno si è mai presentato a noi in questo modo.»
«Nel quartiere dove viviamo adesso, ce ne stiamo per conto nostro», dice Daniel F., 62 anni «I nuovi vicini devono presentarsi se vogliono conoscere le famiglie che li circondano. Dipende anche dagli impegni di lavoro e turni con orari diversi. Oggi regalare cibo agli estranei può anche non essere apprezzato. Non si sa se ci sono allergie o diete speciali. Io per esempio sono diabetico. Se un vicino mi porta dei biscotti, devo rifiutare l'offerta o buttarli via, un peccato. Molte cose che una volta erano considerate "buon vicinato" sono in realtà fastidiose per gli inquilini più giovani. I tempi sono diversi, la cordialità viene fraintesa.»
Bella H. 62 anni, fa una giusta osservazione: «Nei film, quando qualcuno si trasferisce nel quartiere, c'è sempre la casalinga che si presenta con una teglia di qualcosa o una torta. Ci eravamo appena trasferiti in una nuova città e stavamo cercando online una pizzeria con consegna a domicilio quando suona il campanello, era sera tardi. Abbiamo aperto la porta un po' sospettosi, e ci siamo trovati davanti una signora con una teglia di lasagne e guantoni da forno. Sinceramente ho pensato avesse bussato alla porta sbagliata, invece ci ha dato il benvenuto nel quartiere e detto di aver visto il camion dei traslochi e tutti i nostri bambini quella mattina. Quindi ha pensato di prepararci un po' delle sue "famose lasagne". L'ho ringraziata e abbiamo chiacchierato per qualche minuto, poi è andata a casa. Ammetto che ero un po' riluttante a servire ai miei figli cibo portato da un'estranea. Per quanto ne sapevo, poteva essere una pazza che ci voleva far fuori tutti. Forse perché all'università mi sono specializzata in Criminologia con laurea in Psicologia Forense, e di casi di vicini di casa strani ne avevo visti anche troppi. Mio marito ha ordinato le pizze per i bambini e ha fatto da cavia con le lasagne. Erano buonissime, le abbiamo mangiate tutti il giorno dopo a pranzo. È successo più di 20 anni fa. È stata la prima e l'ultima volta che qualcuno l'ha fatto ed è stato davvero bello. Non succede solo nei film, alcune persone sono davvero così.»
Victoria M., 39 anni, sostiene che «dipende dalla ricchezza e dall'etnia del quartiere. Nella mia esperienza, più ricco era il quartiere in cui vivevamo, meno amichevoli erano i vicini. Ora vivo in una zona meno elegante e, cosa interessante, ho di nuovo vicini amichevoli, socievoli e aperti a fare amicizia. Le persone ricche non preparano stufati da portare ai vicini, loro vanno a cena fuori. E di certo non preparano torte e biscotti!»
«Quando ci siamo trasferiti nel cul de sac, i nostri vicini hanno messo biscotti e una pagnotta calda nella nostra cassetta della posta», racconta Jackson S., 48 anni, «gli ho spalato la neve dal vialetto per presentarmi e ringraziare. Lui era un soldato in pensione e la moglie lavorava in uno studio legale. È stato un dolcissimo gesto di gentilezza di cui il mondo ha un disperato bisogno.» Una bella tradizione del passato che promuove senso di comunità, che stabilisce un tentativo di connessione. In un Paese così diviso, sarebbe utile ripristinarla.