Quello della ristorazione, anche dopo il Covid, è ancora un settore che non conosce crisi? Viene da chiederselo dopo che per mesi e mesi, siamo stati costretti tra le mura domestiche, con i consumi fuori casa praticamente azzerati e le formule tradizionali all’improvviso diventate impraticabili. Ma, forse, la risposta corretta è che la ristorazione non conosce crisi soprattutto dopo il Covid. Perché se non è bastata una pandemia mondiale a bloccare la sua creatività, allora siamo davanti a un modello che non deve temere nessun ostacolo.
Cresce la domanda per le professioni legate alla ristorazione
D’altronde, basta dare un’occhiata agli ultimi dati del rapporto Unioncamere per rendersi conto di quanto la ristorazione oggi assorba molto più personale di qualsiasi altro ambito lavorativo. Alla voce “borsino delle professioni richieste” nell’ultimo trimestre (agosto-ottobre 2021), in testa, con oltre 217mila unità, figurano cuochi, camerieri e altre professioni dei servizi turistici. Ciò non significa che chiunque possa ricoprire questi ruoli. Anzi, per far fronte alla crescente domanda, oggi più che mai, è necessario incrementare il proprio know-how e iniziare il percorso con i più adatti strumenti di lavoro. Perché se la passione è indispensabile per lanciarsi nell’impresa, la preparazione è il passe-partout per un business solido e di successo.
I corsi della Gambero Rosso Academy
Nascono da questa convinzione Obiettivo Sala (al via il 4 ottobre a Roma) e Restaurant Managment 4.0 (sempre a Roma dal 24 novembre), due corsi realizzati da Gambero Rosso Academy in collaborazione con Noi di Sala: una formula consolidata il primo; una novità il secondo, incentrato sulla formazione di una figura altamente professionale in grado di operare in qualsiasi tipo di contesto ristorativo e alberghiero con una didattica che alterna lo studio alla pratica. Si rivolge a chi vuole accrescere la propria esperienza lavorativa, a chi intende aprire un un’attività o che, in prospettiva, desidera supervisionare e far crescere una realtà già esistente.
Per conoscere i segreti del mestiere e imparare a metterli in pratica, abbiamo intervistato uno dei docenti: Marco Reitano, chef sommelier del ristorante La Pergola dell’hotel Rome Cavalieri, oltre che presidente di Noi di Sala.
Non bastano passione e voglia di mettersi in gioco? Perché decidere di seguire un corso professionale?
Perché oggi la ristorazione è molto attrattiva ma, se non si parte da un solido bagaglio, dopo i primi entusiasmi, ci si trova travolti da una serie di intoppi e diventa difficile andare avanti. Il nostro compito è dare delle istruzioni utili alla professione: come si confeziona una carta dei vini, come si gestiscono gli stock, come si creano gli spazi adatti. Insomma, come si costruisce un’offerta vincente. E per farlo, bisogna coinvolgere tutta una serie di figure, che vanno dal sommelier all’architetto. Sembrerà strano, ma una cosa a cui si dà poco importanza e che, invece, andrebbe prevista sin dall’inizio è lo spazio per lo stoccaggio dei vini. Eppure, la costruzione di una carta valida parte proprio da questo.
Visto che hai introdotto l’argomento, eccoti servita la domanda delle domande: come si realizza la carta dei vini perfetta?
La carta dei vini va cucita addosso al proprio business e alla propria offerta gastronomica. Ci possono essere delle belle carte dei vini anche senza avere troppe etichette. Quello dipenderà, appunto, dallo spazio dedicato allo stoccaggio. L’importante, però, è essere tempestivi, avere le orecchie spalacante su quel che succede nel locale e saper rispondere alle esigenze, anche modificando l’offerta. Di certo non ci si può cristallizzare: i vini cambiano così come i gusti dei clienti. Ed è giusto che la carta segua questi cambiamenti con un frequente turnover.
Vietato restare fermi, quindi. Ma quali sono gli altri errori da non commettere?
Seguire il proprio ego, per esempio: il gusto personale può essere una chiave di lettura, ma non l’unico metodo da adottare nella scelta dei vini, altrimenti si rischia di diventare obsoleti. Altra regola: non proporre referenze sempre dello stesso produttore o affidarsi a pochi fornitori per mera comodità. La varietà è bella e premia. Altrimenti si rischia di avere una carta dei vini con poca personalità. Infine, occhio a non andare verso una direzione troppo modaiola.
E poi esistono anche quei colpi da maestro che possono fare la differenza….
Certo. Ma anche questo dipende dal tipo di business. Se per esempio, nel tuo locale vuoi puntare sul vino, allora puoi pensare a delle verticali: tre, quattro annate di vini importanti. Oppure assicurarti l’esclusività da parte di alcuni microproduttori. Questo fa vedere che dietro c’è un lavoro personale di ricerca e, nel tempo, è una strategia che paga.
Infine, ci sono le ultime tendenze, che non vanno trascurate e che segnano l’evoluzione dei gusti. Che posto si stanno ritagliando bollicine e rosati nelle carte dei vini?
Inutile dire che sono due categorie che sono cresciute tantissimo negli ultimi anni. Per le bollicine, l’exploit è arrivato, non tanto con lo Champagne, quanto con la Franciacorta. Oggi è quasi un’invasione. La produzione si è moltiplicata anche in zone non vocate e si genera, a volte anche tanta confusione. Ma di sicuro c’è che la bollicina ormai si consuma anche a tutto pasto. Tendenza che ritroviamo ancora più marcata con i rosati. E questo, nonostante il rosato sia uno dei vini più difficile da produrre.
Come si è generata questa pink mania?
La cassa di risonanza è stata la produzione provenzale, che ha aperto la strada al successo italiano. Poi ci sono una serie di elementi che giocano a favore dei vini rosati. In primis il colore, che nel bicchiere fa il suo effetto e crea aspettative. Dal punto di vista gustativo, senz’altro l’aromaticità e la gradazione misurate, oltre che la capacità di essere abbinati a tutto pasto.
Sempre alla voce tendenze in corso, c’è tutto il comparto del cosiddetto salutismo: vino biologico, biodinamico, naturale, meno alcolico…
Su questo c’è ancora tanta strada da fare, anche perché la legislazione non è troppo chiara. Sempre più spesso capita che il cliente chieda questa tipologia di vino, senza però avere le idee chiare sulla denominazione o il territorio. Sta, quindi, a noi fare da guida. Consapevoli che è una tendenza che andrà a prendere gran parte dell’offerta. Va bene, quindi, avere una sezione vini naturali, purché questi siano affiancanti da altre sezioni, magari una selezione di classici, una dedicati ai “saranno famosi”, una ai piccoli produttori. E così via. Diciamo che l’eterogeneità è la strada giusta. Anche perché eterogenea è ormai anche la clientela.
Torniamo alla gestione dell’attività e alla cosiddetta capacità di problem solving. Come avete affrontato un periodo difficile come quello della pandemia? Oggi si può guardare avanti con serenità?
Nel caso specifico, ho avuto la fortuna di trovarmi in un posto (La Pergola dell’Hotel Rome Cavalieri; ndr) che non ha mai smesso di essere pieno in questi 25 anni. Anche il fatto di trovarci dentro a un hotel ci ha molto aiutato. Ma certo, le dinamiche sono cambiate anche per noi e abbiamo dovuto rivedere la selezione degli acquisti, anche in merito agli stock. Tuttavia, le cose si sono rimesse a posto rapidamente e, direi, che questo è un periodo fantastico, caratterizzato dalla voglia di uscire, tornare al ristorante e bere bene. Anzi meglio di prima, perché in questi mesi molte persone hanno avuto tempo per accrescere la loro cultura vitivinicola. Quindi la sfida è sempre più stimolante.
Lasciamoci con un consiglio. Cosa diresti a un giovane che vuole lavorare nella ristorazione e, in particolare, nel vino?
Prima di tutto di coltivare l’umiltà. Una caratteristica fondamentale perché siamo di fronte a qualcosa che è più grande di noi e che coinvolge tante persone che meritano rispetto. Altro consiglio è di ricordare sempre che, se fatto a livello professionale, il nostro è un lavoro faticoso: non basta leggere una rivista per diventare esperto di vino. Proprio mentre noi stiamo parlando, una zona vitivinicola sta crescendo da qualche parte nel mondo, nuove etichette stanno vedendo la luce, altre tendenze si stanno diffondendo. Insomma, non possiamo permetterci di restare fermi: la professione va allenata. Così come il palato. Bisogna leggere, viaggiare, essere curiosi. E soprattutto degustare, degustare, degustare.
a cura di Loredana Sottile
illustrazione di apertura di Gianluca Biscalchin
Questo articolo è stato pubblicato sul Settimanale Tre Bicchieri del 23 settembre 2021
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